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8 luoghi comuni da smentire su Pep Guardiola - Crampi Sportivi

8 luoghi comuni da smentire su Pep Guardiola

Pep Guardiola è di nuovo fuori dalla Champions League e la notizia ha fatto chiacchierare parecchio

Per il terzo anno di fila eliminato ai quarti, e per giunta stavolta l’eliminazione è avvenuta per mano del più modesto Lione (settima forza del campionato francese d praticamente Cenerentola del torneo 2020 insieme all’Atalanta).

La sintesi della partita l’ha fornita lo stesso Pep nel post gara: “In questa competizione la tattica non è la cosa più importante”.
Laconico, lucido, spietato, soprattutto con sé stesso.

Queste parole (ma già qualcuno lo aveva anticipato al triplice fischio tra siti specializzati e tv) hanno ovviamente amplificato l’ennesima disfatta europea dell’allenatore catalano, e dato il via ai puntuali processi (sciovinisti e revisionisti) sul suo operato, la sua storia di allenatore, le sue colpe, le sue mancanze. Insomma, tutto pur di sciorinare una volta di più ciò che sentiamo dire ormai da dieci anni: che il Guardiolismo è finito – o almeno sta lì lì per andare in mille pezzi (era il 2010, l’Inter volava in finale di Champions e Guardiola guidava il Barcellona da nemmeno due anni).

Uno dei primi grandi scricchiolii del Guardiolismo

Ci è venuto allora spontaneo raccogliere e smentire alcuni dei luoghi comuni che hanno infarcito le analisi di questi ultimi giorni.

  • Guardiola pensa più al giuoco che a vincere

Di questa espressione sarebbe entusiasta un genio della psicologia sociale e dell’euristica come Robert Cialdini: la miglior soluzione ad un problema non necessariamente è quella più razionale, ma spesso è quella più intuitiva e veloce.

Ma è davvero così, o piuttosto siamo di fronte ad un paradosso? É infatti singolare che un professionista sleghi il miglioramento della propria performance dal risultato della performance stessa.
A meno di non accettare che Guardiola sia nel mezzo di una deleteria spirale solipsistica, il miglioramento del proprio stile di calcio è chiaramente orientato alla vittoria. Questo è fuori di dubbio.

Volendo prendere il buono di questa riflessione, certamente si persegue l’obiettivo nobile di raccontare il Guardiolismo come filosofia metacalcistica – quasi di vita, ma c’è il rischio di scollarsi dalla realtà e di finire a raccontarci qualcosa di diverso che forse nemmeno esiste.
O esiste solo nelle nostre teste.

  • Il Guardiolismo

Chiunque abbia letto un po’ delle biografie dedicate a Pep Guardiola sa che proprio il catalano è una persona che rifugge gli “-ismi”.
Nel suo gioco, come nella sua filosofia di vita, non c’è nulla di assoluto o definito.

Lo dice chiaramente Miquel Angel Violan in “Coaching Guardiola”: per Pep non si può vincere sempre, e nemmeno si può pensare di poter perdere per sempre. Vittoria e sconfitta arriveranno comunque, è solo questione di tempo. L’unica differenza è nel lavoro che c’è dietro ogni partita.
Il lavoro ti cambia giorno dopo giorno e non si è mai uguali al giorno prima.

Il Guardiolismo è solo un etichetta utile per semplificare e soddisfare una curiosità superficiale. Perché Pep è una persona che si mette continuamente in discussione (per questo ha uno staff così ampio e fidato), ed anche perché i suoi obiettivi professionali escludono a priori la comfort zone di un qualsiasi personalismo. Guardiola deve vincere: è assunto e pagato per quello.

  • Il suo gioco è cervellotico

Anche qui altra etichetta (sotto sotto anche un po’ dispregiativa) di una narrazione distorta ma funzionale a dividere il campo in due estremi: sapientoni contro pragmatici o piuttosto belgiuochisti contro risultatisti.

É l’arte di servire al pubblico qualcosa per cui tifare contro (sperando che le cose gli vadano pure male per dire di aver avuto ragione dall’inizio), e tutti ci cascano.

Il gioco di Guardiola è invece il più semplice possibile: arrivare nelle zone del campo dove segnare è più facile e fare gol. Il gol di De Bruyne proprio nella sfida di Champions contro il Lione ne è l’esempio: attacco della profondità sull’esterno, palla al centro per l’accorrente calciatore libero da marcature, gol.

Possiamo concedere tutt’al più che il gioco di Guardiola sia sofisticato in fase costruzione, ma questo aggiunge solo positività al messaggio che si vuole trasmettere. Che fa già tutta la differenza del mondo.

  • Il tiki taka di Guardiola

Di tutti i luoghi comuni su Pep, il più inflazionato. Guardiola non ha mai fatto tiki taka, anzi lo odia.

Io odio il tiki taka. Il tiki taka è passarsi la palla per il gusto di passarsela, senza un chiaro scopo. Il Barcellona non faceva tiki taka” ammette lui stesso in “Pep confidential” di Marti Perarnau.

  • Gli avversari ormai lo conoscono

Dalla sua prima Champions League vinta col Barcellona sono passati 12 anni, ed il calcio è entrato nell’era dei match analyst, dei data analysis, dei droni e degli atleti neuronali.
Il sospetto che qualcuno abbia vivisezionato il modo di giocare di Pep è più che lecito, ma dare per scontato il lavoro che c’è dietro la preparazione di un match (o addirittura di una stagione) è una banalizzazione davvero troppo naif – soprattutto poi nello sport a maggior vocazione episodica come il calcio.

Ma poi “gli avversari ormai lo conoscono” significa tutto e niente: è Guardiola che allena sempre allo stesso modo? I suoi schemi da calcio d’angolo o su punizione sono sempre gli stessi? O magari il suo gioco è sempre uguale a se stesso?
Viene da chiedersi allora perché non valga lo stesso anche per i suoi avversari, ugualmente studiati ed analizzati; e soprattutto viene ancora da chiedersi perché a questo punto il calcio non sia lo sport più noioso al mondo.

  • Guardiola la perde nei dettagli

Quando si sente o legge questa frase è perché chi parla o scrive non ha capito fino in fondo il piano gara di Guardiola.
Nel caso della sconfitta col Lione – ma accade ad ogni sconfitta del City – è il risultato che determina la ricerca di quel dettaglio che ha orientato il match e a cui Guardiola doveva prestare più attenzione.

E pazienza se poi le cause sono altre, alla narrazione sportiva ne occorre almeno una che spieghi l’evento.

Col Lione è accaduto lo stesso anche se Pep ha deciso di non approcciarsi alla partita come consuetudine sua e del City. La difesa a tre Pep l’ha voluta per avere superiorità e dominio del pallone partendo dal basso; per far partire così la manovra senza rischiare col 4-3-3 di sbattere contro il blocco centrale dei francesi.
Col Lione in costante superiorità numerica a centrocampo, la manovra degli sky blues sarebbe stata soffocata (probabilmente) anche con tutti i fantasisti Foden, Bernarndo Silva e David Silva in campo contemporaneamente.

Ed infatti il gol del 2-1 nasce proprio da una giocata forzata di Laporte a centrocampo, con tutte le linee di passaggio offuscate dagli uomini di Garcia.

  • Guardiola cambia in corsa nelle partite decisive e toglie certezze alla quadra

Ecco, detta così, Guardiola è pazzo. Un matto che nel momento topico della stagione si diverte a rovinare tutto il lavoro di un anno, suo e degli altri.

Eppure è stata l’analisi andata per la maggiore nel post Lione. La stampa inglese ha parlato di “overthinking” da parte sua: cioè, Guardiola pensa troppo fregandosi da solo nei momenti chiave della stagione.

A supportare questa tesi niente di meno che il capitolo di “Herr Pep” dedicato alla disfatta del suo Bayern contro il Real Madrid di Ancelotti (2014, 0-4 all’Allianz Arena).
Peccato: quella parte del libro meritava più attenzione per quanto ricca di sfumature e dettagli del Guardiola-uomo.

All’epoca infatti, Pep optò per 4-2-4 (poi rivelatosi suicida) supportato da una “richiesta” della squadra: giocare aggressivi, verticali e a tutto campo per rimontare l’ 1-0 dell’andata e stracciare il Real. Pep fece l’errore di farsi trascinare da un’atmosfera frenetica attorno a lui, ed il 3-5-2 pensato inizialmente si trasformò prima in 4-3-3 e poi in un 4-2-4 che snaturò la squadra.

Ironia della sorte, ancora il 3-5-2 che ritorna beffardo, e chissà se con la mente sarà tornato a quella notte di Monaco, per chiedersi se in fondo anche in quel caso le cose non sarebbero poi andate diversamente.

  • Pep è un gran paraculo

Ed invece è uno (dei pochi) che dice spesso la verità davanti a microfoni e telecamere. É piuttosto chi sta dall’altro lato della barricata che si perde in retropensieri figli di una sottocultura sportiva e sociale cui purtroppo nessuno ha ancora trovato una cura.

“In questa competizione la tattica non è la cosa più importante”, frase pronunciata a fine gara, è l’esempio più fresco e lampante della sua genuinità ed onestà intellettuale: Pep è uno abituato a dire la verità prima a stesso.

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