Benvenuti (o bentornati) su ABC, la rubrica in cui arte e calcio si incontrano all’insegna del comune denominatore: la bellezza, insita nelle giocate frutto dell’estro, dei riflessi, dell’egoismo. Soprattutto dell’egoismo.
Abbiamo avuto il mondiale femminile, gli europei degli under, la ICC.
Non ci è bastato.
Così come non ci sono bastate le emozioni del mondiale di basket e di Wimbledon, che hanno solo in parte alleviato il dolore. Il dolore per qualcosa che manca, che riempie i weekend di tutta la nostra vita.
Ora, dopo un mese e mezzo lo possiamo dire di nuovo: è cominciato il campionato.
Perché quello è, nella sua accezione più pura e univoca. È campionato. Poco importa se linguisticamente è un sostantivo che può accompagnare anche gli altri tornei calcistici, se c’è chi non lo chiama così perché troppo giovane, lasciandosi andare ad un legittimo “Serie A”.
È campionato, ed è indissolubilmente legato a quel torneo che profuma d’autunno e di prime piogge. Di ritorno allo studio e al lavoro. Profuma di abbracci al bar con il tuo amico per un goal che chiude la partita, di dribbling riusciti di quel talento che visionasti qualche anno fa su Football Manager.
Sia chiaro, questa narrativa estetizzante è radicata nella nostra visione del calcio, o meglio del campionato, e non è oggettiva. Perché nessuno vede quello che vediamo noi quando viene fischiato il calcio d’inizio.
Come quando Gauguin spiega a Van Gogh che fissando la stessa porzione di paesaggio non ci sia la benché minima possibilità di dipingere lo stesso quadro. Così è anche per noi e per chi non è come noi, ossia quella categoria di persone che vede un prato con ventitré persone che corrono avanti e indietro per un’ora e mezzo.
Vedi? Non saremmo d’accordo con loro nemmeno sulla durata di una singola partita, il più oggettivo dei dati. Quella non è un’ora e mezzo, sono novanta minuti.
Bentornati su ABC, la rubrica mensile in cui 89 minuti e 50 secondi di calcio mediocre possono essere oggetto di redenzione di fronte alla sacralità di un tunnel, di uno stop al volo, di una sassata all’incrocio.
ABC: Arte, Bellezza e Calcio, anche quest’anno, accarezza le sinestesie che collegano inconsciamente le tre giocate più belle dell’ultimo mese di campionato e tre opere che hanno segnato la pittura del ‘900.
Dybala è Francis Bacon

O meglio “Dybala è”, e questo ci fa già tirare un sospiro di sollievo. Essere è prima e fondamentale condizione per esistere, cosa che ultimamente non era più scontata per il numero dieci di Laguna Larga.
La condizione di esistenza per Dybala si è però modificata con il passare delle stagioni. Da assoluto protagonista a faro intermittente e difettoso di un parco attaccanti che, dall’ultimo Allegri fino ad ora, non riesce più ad illuminare.
Anche Francis Bacon ha fatto della continua lotta con se stesso uno dei pilastri della propria arte. Bacon interrompeva in continuazione il processo di pittura per cercare nuovi strumenti con cui dipingere il quadro: tappi, maglioni, tubi e qualunque cosa gli si capitasse di fronte. Al perché di tale complicazione, egli rispondeva:
“…per interrompere il processo. Metà della mia attività è dedicata a sovvertire ciò che so fare con facilità”.
Francis Bacon
Così anche Dybala, che interrompe ore intere di gioco spento e opaco per far spazio a pochi secondi di luce e colore. Il tunnel è quella giocata d’estro naturale, egocentrica e liberatoria. Un momento soltanto, ma che anche stavolta ci fa dimenticare tutto il resto. Se fosse (come direbbe Lessing) l’attesa della giocata di Dybala, il senso di Dybala stesso?
Ribery è Pablo Picasso

A San Siro è andato in scena uno spettacolo tutto nuovo. L’attore, deforme e spiacevole alla vista, si è reso protagonista di una performance di un eleganza assoluta, diventando MVP alla scala del calcio.
Pensare che dentro il corpo di Franck Ribery ci sia un calciatore così armonioso ed elegante ci riporta ai quadri di Pablo Picasso, che ignorava ciò che vedeva per dar spazio a ciò che sentiva. Ma allo stesso tempo il tutto era molto più complesso di così: le scelte astratte di Picasso venivano prese nonostante la perfetta conoscenza dell’anatomia umana.
In tre parole se ne fregava.
Ed è lo stesso anche per il francese mentre, con tre tocchi di destro, manda al bar mezza difesa del Milan nell’azione che porta al rigore dell’ 1-0, primo lampo di luce di una serata da fuoriclasse, col corpo deforme.
Benvenuto su ABC, Franck.
Belotti è Chagall

Marc Chagall dipingeva la sua ossessione.
Più di un sogno, più di un pensiero fisso, semplice ossessione per il volo.
E la sua bacheca ne offre la dimostrazione: nell’astrazione magica della sua arte, il pittore bielorusso dipingeva uomini e donne volanti su sfondi confusi e immaginari, spesso notturni.
In Il gallo rosso, è appunto un galletto ad accompagnare marito e moglie nel viaggio.
Ora, non sappiamo quanto sia umano il Gallo Belotti e quante notti abbia passato a sognare di volare, ma di sicuro ogni tanto ci riesce. Contro il Milan, giovedì notte, Belotti ha spiccato il volo ancora, per l’ennesima volta.
Il discorso è analogo a quello di Ribery: come può un uomo di quella stazza fare così tanti gol a gambe all’aria? Come fa a girarsi in una frazione di secondo e ribaltare allo stesso tempo una partita che era in mano al Milan fino a qualche minuto prima?
Vola ancora, Gallo granata, anche se Chagall ti ha dipinto rosso.
Bentornati su ABC dunque, ma questo è solo l’inizio.

Per sempre grato al serve and volley, al piano sequenza e al doppio passo.