Questa rubrica si propone di andare controcorrente, per esplorare le similitudini tra le giocate più belle del mese e i quadri che hanno fatto la storia dell’arte
È il 23 aprile del 2005 quando 17 camere da presa, guidate da Douglas Gordon e Philippe Parreno, seguono per 95 minuti Zinedine Zidane.
L’obbiettivo è quello di isolarlo dal contesto, allontanarlo il più possibile dagli altri 21 calciatori presenti sul campo da calcio per poterne studiare ogni movimento, ogni smorfia, ogni goccia di sudore.
Ne esce un docu-film di 90 minuti in cui si assiste a Real Madrid – Villareal con il pallone, e tutto quello che accade in campo, elementi centrali solo per pochissimi secondi.
Il focus sul franco-algerino partorisce una micropuntata della sua vita e della sua carriera.
Un corpo che si trascina innaturalmente per il campo, dalla sudorazione quasi animalesca, ma che si trasforma in un ballerino di rara grazia quando entra in contatto con la sfera.
Zidane: a 21st Century Portrait scava alla ricerca del legame che unisce il calcio e l’arte, studiando ogni secondo di una partita qualunque, giocata da uno dei giocatori più eleganti della storia.
Scherzo del destino di un finale memorabile: al 95esimo minuto Zizou viene espulso, elemento che impreziosisce ancora di più la non-sceneggiatura dell’opera, trasformandola in una tragedia.
Se questo Sport non è solamente un gruppo di uomini che fanno entrare il pallone in una porta, ma un’arte i cui protagonisti sono ventidue atleti che si danno battaglia, lo possiamo intuire anche da questo ritratto, che annoierà solo chi è d’accordo con la prima definizione.
ABC è l’ennesimo tentativo di dimostrarlo, avvicinando i dipinti che hanno fatto la storia del Novecento alle giocate più belle dell’ultimo mese di Serie A.
1) Composizione “finale”: Joaquín Correa è Mondrian.

E non lo suggerisce solo l’incredibile geometria che il suo gioco produce, ma la naturalezza con cui trasforma giocate dalla complessità elevata in secondi di calcio puro solo all’apparenza scontati.
Per questo facciamo un piccolo strappo alla regola e accettiamo su ABC un gol di Coppa.

Come il pittore olandese, Il Tucu ha il dono di concettualizzare l’astratto, convincendo chi guarda che il gesto appena compiuto non sia poi così difficile. Per questo il calcio espresso da Correa ci appare nella norma, o addirittura sostituibile.
Nel gol che decide la semifinale di Coppa Italia (tanto per), l’argentino riceve un pallone leggermente lungo e di eccessiva potenza da Immobile.
Tuttavia, nel secondo che passa dal primo controllo e l’arrivo di Reina, Correa spedisce il pallone in porta con un vellutato esterno destro, facendolo passare nell’unica porzione di spazio che collega il suo piede alla rete, ossia sotto le gambe del portiere spagnolo.
Il gol, malgrado non sia appariscente, è di elevatissima fattura. E non è esagerato ipotizzare che tra i giocatori presenti sul campo in quel momento, solo l’argentino aveva i piedi per fare quel gol.
Benvenuto su ABC, Joaquín.
2) Sulla città (di Bergamo)

La capacità di staccarsi dai limiti dati dalla natura stessa del proprio corpo e librarsi attraverso le capacità dello spirito. Chagall ha dipinto sulla tela i suoi sogni più ricorrenti e i suoi desideri più ambiti.
Il concetto di limite si sposta di anno in anno anche per l’Atalanta, che trova ciclicamente negli sconosciuti dei nuovi astri, e nei volti noti delle sempre più verdi giovinezze.
Tra questi ultimi c’è Andrea Masiello, che ignorando bellamente i limiti del suo fisico usurato, gira il remake della scena iniziale dello spot Nike più bello degli ultimi anni.
In parole povere, si trasforma in Fabio Cannavaro.
Meno spettacolare quello andato in onda nel Monday match di pasquetta, ma sicuramente è un salvataggio che prende per mano la Dea e la fa volare. Destinazione Europa.
L’istante, cristallizzato attraverso la Goal Line Tecnology, dipinge un quadro di cui Masiello è autore e protagonista.
3) Rodrigo nel silenzio

Vedendo i quadri di Hopper la parola chiave, usata da molti esperti del settore, è inquietudine.
Le ambientazioni ben illuminate, i colori brillanti ma non vivi, il silenzio percepibile, sono le caratteristiche ricorrenti di una pittura realista che strizzava l’occhio all’inconscio.
Non dipingo quello che vedo, dipingo quello che provo
Edward Hopper
I soggetti perduti al centro della tela son spesso soli e silenziosi, l’ambiente in cui sono immersi proviene da un sogno. Dal regno dell’incomunicabilità.
Sembra un quadro di Hopper la stagione di De Paul e dell’Udinese tutta.
Deludente, silenziosa, appena sopra il livello della natura morta. Al centro, destinato alla solitudine, c’è il calciatore argentino che pennella momenti di bellezza settimanale, memore di una patria albiceleste che viene fuori orgogliosa, nonostante tutto.
Il controllo di suola e il destro che va a baciare il palo lontano, nella sfida contro l’Empoli, spiegano la leadership tecnica del numero 10.
Spiegano anche il mondo artificiale in cui è costretto a lottare fino a maggio quando poi, crediamo e speriamo, sarà affidato ad un progetto tecnico all’altezza del suo talento. Dove non sarà più isolato, come nei quadri di Hopper.

Per sempre grato al serve and volley, al piano sequenza e al doppio passo.