Buffon doveva ritirarsi nel 2018

Proviamo a spiegare il perché Gianluigi Buffon sta continuando a giocare all’età di 43 anni e probabilmente lascerà di nuovo la Juventus

C’è un momento nella vita professionale di ognuno di noi in cui, consapevoli o meno, arriviamo al punto più alto, quello in cui risulta impossibile andare oltre, fare meglio. Per innumerevoli ragioni, ma c’è comunque un punto di arrivo, per tutti.

È la cima della montagna. Quel perimetro in cui osserviamo tutto dal punto più alto, e, quando il raggiungimento della vetta è consapevole, con motivato orgoglio meditiamo sul percorso fatto. Nella peggiore delle ipotesi invece, diventa un breve momento di meritato riposo e respirazione controllata. Siamo ignari del fatto che quello sarà il punto più alto della nostra carriera.

Che sia consapevole o meno, il raggiungimento della vetta comporta una successiva discesa. Un crollo.

Una visione consapevole richiede sicuramente lucidità ma non tanto al momento dell’arrivo, ma molto prima, quando quel momento in cima viene fissato per la prima volta nella mente, diventa tangibile, un’immagine mentale da trasformare in realtà.

Per fare ciò però, sembra quasi controintuitivo scriverlo, bisogna fissarsi dei limiti. Il limite è la vetta, il momento in cui diventa poi impossibile fare meglio, ma piuttosto si è arrivati al massimo possibile delle proprie possibilità.

Non sarebbe d’accordo però uno come Gianluigi Buffon che in una lunga intervista rilasciata a L’Equipe, nel periodo di poco antecedente al suo approdo al PSG, disse proprio che tra le cose che aveva imparato dopo i 30 anni c’era la consapevolezza che porsi limiti fosse qualcosa di sbagliato.

“A 32 pensavo di smettere a 35. Dopo, alcune circostanze mi hanno fatto proseguire. Mi sono detto: dico basta a 38 anni, ma a 38 ho pensato ‘mi fermo a 40’. Oggi sono ancora qui”.

Anche se, in un’altra intervista, o meglio chiacchierata condotta da Gerard Piqué su The Players’ Tribune, Buffon ammetteva che: “Bisogna saper accettare che ci sono diverse fasi della vita, so che arriverà quel momento, ma non sarà una sorpresa”. Buffon ci ha abituato ad un’evoluzione della persone, del personaggio pubblico nel corso della sua lunga carriera. Al portiere istintivo e un po’ folle tra i pali, come ci piace definire i migliori che hanno interpretato il ruolo di estremo difensore, Buffon ha alternato il ruolo di capitano pacato e estremamente diplomatico in diverse uscite sia nella Juventus ma soprattutto con la Nazionale, prima di spazzare via tutto la sera dell’11 aprile 2018, quella passata alla storia per le parole contro Oliver, arbitro della celebre sfida di ritorno contro il Real Madrid in Champions League.

Pensare di descrivere in maniera lineare e del tutto coerente la carriera e le scelte di uno come Buffon diventa del tutto velleitario, unica cosa possibile forse è farlo disegnando un’ucronia, figlia quindi della soggettività e del desiderio di chi scrive.

È possibile allo stesso tempo rispondere ad una domanda che è stata sollevata a più riprese da tifosi, appassionati, media e opinionisti, ovvero, perché Buffon non si è ancora ritirato dal calcio?

Quale sarebbe il momento giusto per appendere scarpini e guanti al chiodo, per quello che è stato uno dei portieri (per molti il portiere) più forte della storia del calcio?    

La difficoltà nel formulare una risposta esaustiva, il più vicina possibile a quello che realmente pensa e ha pensato nel corso degli ultimi anni Buffon, sta nella straordinarietà e imprevedibilità della carriera del numero 1, già dalle prime battute, quando il campione del mondo del 2006 non ricopriva nemmeno il ruolo in cui è diventato una leggenda.

Il 13 giugno del 1991 il Parma lo acquista dal Bonascola versando nelle casse del piccolo club di Carrara (oggi militante in Terza Categoria) la bellezza di 15 milioni di lire. A voler fare una conversione con il mercato dei giorni d’oggi, staremmo parlando di quasi 8 mila euro, per un ragazzo di 12 anni che in quell’anno faceva il centrocampista. Questo ci aiuta a comprendere quanto fosse promettente la carriera di Buffon anche in mezzo al campo, o comunque quali fossero le aspettative su di lui senza nemmeno immaginare cosa sarebbe successo pochissimo tempo più tardi. Se questo non basta a farvi sgranare gli occhi, procediamo al momento in cui Buffon cambia posizione in campo. La consegna al ruolo di portiere, infatti, avviene con una sliding doors in cui tutti i portieri della sua squadra si infortunano e lui decide di retrocedere a difendere i pali con le mani. Lo stesso Buffon, intervistato per il sito della UEFA, commenterà declinando tutte le responsabilità della scelta al mero destino, episodio però che ha solleticato e non poco il suo istinto, quello un po’ folle, senza il quale tutto ciò non sarebbe capitato.

Il Parma avrebbe fatto retrocedere o promuovere temporaneamente un portiere dagli Allievi o dagli Esordienti, e poi tutto sarebbe tornato alla normalità. Buffon avrebbe esordito come centrocampista tra i più promettenti della Serie A 5-6 anni dopo subentrando negli ultimi minuti a Massimo Crippa, Brambilla o Dino Baggio per l’esordio, con la classica retorica che accompagna i giovani debuttanti nel nostro campionato, ma nulla più se non una grande carriera in mezzo al campo (mica poco).

Buffon invece, diventa titolare come portiere nelle giovanili dei ducali, impara un nuovo ruolo nel giro di pochissimo tempo e dopo circa 3 anni dal cambio di posizione debutta in Serie A. Tutto in maniera precoce, senza una linearità o una programmazione. Le uniche cose che si allineano nel corso della storia di Buffon sono ancora una volta il destino, l’istinto e quel pizzico di follia.

Il 18 novembre del 1995 Gianluigi Buffon risulta clamorosamente titolare nella distinta consegnata dal Parma in occasione della sfida di campionato contro il Milan. Da quel momento comincia, o meglio si raffigura una parte importante della storia del portiere più forte della storia del calcio.

Sono passati quasi 26 anni e ci stiamo interrogando sulla reale necessità di un suo ritiro dal calcio giocato. Come riportato all’inizio, la difficoltà nel formulare una risposta esaustiva e sensata sul ritiro del numero 1 della Juventus, sta nella straordinarietà e nella rarità della carriera di Buffon.

Quando Buffon ha raggiunto e superato uno dei tanti record che perduravano da anni in Serie A e che oggi portano il suo nome, nel dettaglio quello dei minuti di imbattibilità detenuto in precedenza da Sebastiano Rossi, il portiere si è concesso uno status sul suo profilo ufficiale di Facebook in cui ha descritto in maniera romantica il momento in cui ha deciso di diventare portiere.

 
 
 
 
 
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Gianluigi Buffon ha compiuto il 28 gennaio di quest’anno 43 anni. Ma ha raggiunto quella vetta alla quale segua la discesa e corrisponde la metafora del declino professionale, o c’è ancora della strada da percorrere? Dei miglioramenti e dei traguardi da raggiungere?

Sempre nella sua chiacchierata su The Players Tribune, Buffon dice che se a 40 anni sente ancora la necessità di giocare è perché sa che può continuare a migliorare. Insomma, non si parla di altri record, di altre coppe, ma di un miglioramento personale. Superati i 40 e una carriera irripetibile, Buffon sente ancora “lo stimolo a migliorare”.

Stando alle sue dichiarazioni, nonostante il pensiero del ritiro si sia paventato in più di un’occasione, Buffon non intravede un declino personale nell’interpretazione del suo ruolo in campo, ma semmai un ulteriore perfezionamento.

Se è vero che Buffon riconosce l’esistenza di “diverse fasi della vita” ed è consapevole ovviamente che “quel momento arriverà”, ad oggi non sembra che il ritiro possa dipendere comunque da un degrado delle prestazioni. Come se la vetta che tutti prima o poi raggiungiamo a livello professionale, per Buffon sia una meta e metafora inesistente. Come se la volontà dell’uomo e la felicità con cui sceglie ogni giorno di presentarsi al campo d’allenamento anziché restare a letto per qualche altra ora, sposti i limiti e il raggiungimento della vetta verso una dimensione sempre più lontana. Sempre di un giorno in più e quel giorno pare non arrivare mai.

Ma quanto il pensiero di Buffon è effettivamente una ricostruzione lucida e obiettiva della situazione, e quanto invece si tratta di una costruzione impacchettata e consegnata ai media, figlia dell’immagine pubblica che si è costruito negli anni?

Una costruzione ad hoc che vuole Buffon indistruttibile, leggendario e coraggioso. Un mito sceso in terra più che un umano con cui fare paragoni con gli altri colleghi.

Un uomo, un capitano che non si è mai rifiutato di mettere la faccia, come in occasione delle cocenti eliminazioni della Juventus dalle coppe, o della Nazionale (ultima proprio quella del 2017). Un coraggio che spesso si è rivelato un arma adoppio taglio per il numero 1, come nel caso del post-partita contro il Milan nel 2012 o nel già citato post gara di Champions League contro il Real Madrid.


“Se dicessi che non ho paura è una bugia, ma essendo una persona molto curiosa so che quando smetterò non mi annoierò mai, stimolerò sempre il mio cervello: è importante farlo. In questo, per me, sono uno che non si annoierà mai: non subirò l’uscita di scena dal palcoscenico. Per 23 anni però ho avuto persone che mi hanno organizzato la vita, lì dovrò farlo io e potrebbe essere una complicazione”.

Viene quasi spontaneo, come un riflesso pavloviano dopo aver letto alcune storie e passaggi della vita di Gianluigi Buffon, pensare (andrò a confessarmi e chiedere perdono appena sarò in zona gialla per quello che sto per scrivere) che lo stato depressivo affrontato anni fa possa essere uno dei motivi che spinge il portiere a rimandare il suo ritiro il più tardi possibile. La depressione, uno dei più grandi tabù della società contemporanea, una macchia terribile da raccontare e discutere negli ambienti sportivi soprattutto se si è grandi campioni, viene spesso malamente associata alla difficoltà di questi ultimi di stabilire relazioni umane vere e sincere. La solitudine, come se fosse una condizione sempre negativa, diventa la condizione scatenante della depressione, e di conseguenza, l’allontanamento dai riflettori del calcio giocato potrebbe diventare un problema.

Associare la depressione alla solitudine che travolge un grande campione dopo il ritiro dal calcio giocato però sarebbe deleterio oltre che controintuitivo. Lo stesso Buffon ha vissuto la depressione in attività, nel massimo splendore della forma fisica a 25 anni e con le migliori aspettative davanti a sé (doveva arrivare ancora il Mondiale del 2006 e diversi scudetti e coppe). Inoltre, uno come Buffon ha più volte manifestato la volontà di costruirsi una seconda carriera dopo il ritiro. Nel mondo del calcio troverebbe le porte spalancate anche da dirigente o allenatore qualora decidesse di intraprendere questo genere di percorsi.

D’altronde a Buffon va riconosciuto il grande merito di essere stato uno dei pochi sportivi di blasone globale a non aver nascosto i dettagli del periodo in depressione. Nel libro “Demoni” scritto da Alessandro Alciato, questa fase della vita di Buffon viene raccontata con minuzia di particolari.

C’è un passaggio che ci rende partecipi del grado di consapevolezza di Buffon che nel caso dovesse incappare in un ennesimo periodo depressivo, saprebbe approcciare la malattia con il giusto mindset, anche se averla superata una volta non include possedere una formula magica per altri casi:

“Il dottore mi disse che c’erano pasticche, io risposi che no, assolutamente, questa cosa qua era una roba che dovevo risolvere io, senza l’aiuto di farmaci. Se tu trovi sempre la situazione che risolve i tuoi problemi, non sarai mai in grado di risolverli veramente, di giudicarti e di pesarti per quello che vali. Cercherai sempre aiuti esterni, alibi, scuse. Devi vivere a seconda dei tuoi limiti e delle tue virtù. Devi cambiare le carte in tavola, devi trovare alternative e stimoli nuovi, differenti”. 

La questione di un ritiro che pare non voler e dover mai arrivare, potrebbe essere ricostruita, proprio nella straordinarietà della carriera di Buffon. Laddove sin dall’inizio il carattere straordinario di ciò che il portiere ha seminato in più di 20 anni di carriera ha rappresentato la difficoltà maggiore nella nostra lettura, questa volta potrebbe diventare la risposta più plausibile.

Il prolungamento a oltranza della carriera può essere dovuto alle diverse sliding doors che hanno costruito la magnificenza.

Il debutto, avvenuto in maniera così precoce, ha reso possibile la demolizione da parte di Buffon di qualsiasi record possibile e immaginabile nel calcio italiano e europeo. Una condizione che ha pesato e tutt’ora pesa e ha condizionato il suo ritorno alla Juventus dopo l’esperienza al PSG. Se Buffon non fosse stato così vicino ai record di presenze in Serie A, probabilmente avrebbe smesso prima. La sua grandezza, lo ha reso vittima di una carriera che non poteva concludersi 3-4 anni fa.  

L’altra sliding doors è raffigurata dalla scelta di non lasciare la Juventus dopo il caos di Calciopoli e la conseguente retrocessione in Serie B. Scelta che oltre ad averlo elevato a icona e leggenda del club bianconero, offrendo all’opinione pubblica un’altra ennesima versione del Buffon uomo e leader, ha costituito una deviazione in un percorso di crescita che sembrava naturale dopo Berlino 2006: ulteriori vittorie anche a livello europeo con la Juventus, oppure una maglia da titolare in una big mondiale, probabilmente il Barcellona che proprio in quegli anni gli avrebbe permesso di alzare la tanto agognata Champions League.

Senza la decisione di scendere nel purgatorio della Serie B, probabilmente Buffon avrebbe vinto la Champions League e avrebbe deciso per il ritiro. Questione di sliding doors appunto.

Ci sono stati diversi momenti in cui ci è sembrato che Buffon avesse raggiunto l’apice, la vetta della sua carriera. Uno su tutti ci ha fatto pensare che doveva andare diversamente e finire in quel momento.

Nel 2018 Gianluigi Buffon decide di ritirarsi

Alle 22:40 dell’11 aprile 2018 Real Madrid e Juventus si giocano un rocambolesco passaggio del turno verso la semifinale di Champions League. Rocambolesco perché dopo la gara di andata, sono davvero in pochi, nemmeno gli juventini, quelli disposti a scommettere qualche euro sul passaggio del turno dei bianconeri dopo la sconfitta per 3 a 0 nella gara di andata.

La Juventus, priva per altro di Dybala per squalifica dopo l’espulsione rimediata nella gara precedente, compie per 90 minuti un autentico miracolo sportivo rimontando i 3 gol di scarto. Il tabellone recita il risultato di 0-3 quando il quarto uomo sta per indicare la portata dei minuti di recupero. Se il risultato dovesse rimanere invariato, le due squadre andrebbero ai supplementari, con la Juventus che ha ancora dei cambi a disposizione e una condizione di trance agonistica per cui una montagna da scalare diventerebbe un piccolo cumulo di sabbia.

In quella che potrebbe essere l’ultima azione della partita Cristiano Ronaldo vola in cielo per servire una sponda al rimorchio di qualche compagno in area, a ridosso della porta difesa proprio da Gianluigi Buffon. Sulla palla spizzata da CR7 sopraggiunge Lucas Vasquez. Lo spagnolo è in anticipo su Medhi Benatia che lo tocca da dietro prendendo più uomo che palla, o forse il contrario. Secondo Michael Oliver non ci sono dubbi, l’intervento è da sanzionare con un calcio di rigore.

Dopo le numerose proteste nei confronti dell’arbitro mosse dai calciatori juventini e per giunta capitanate da Buffon, l’estremo difensore juventino chiude gli occhi, porta indice e pollice della mano destra in quella parte di volto tra fronte e naso. Un gesto di pura concentrazione nel caos delle proteste e delle grida dei tifosi madridisti in delirio per un’occasione insperata, letteralmente piovuta dal cielo.

Sul dischetto si presenta l’infallibile CR7, uno che vive di momenti e pressioni come queste. Il portoghese parte deciso e indirizza alla sinistra di Buffon, lo stesso lato scelto dal portiere per il tuffo che con un manata allunga la conclusione sull’esterno, fino ad esaurirla in calcio d’angolo. Il Real è moralmente a pezzi e crolla nei supplementari chiusi dalla Juventus con ben 2 gol.

Il 3 a 0 dell’andata si ribalta in un clamoroso e storico 5 a 0 del ritorno a favore dei bianconeri. Inutile ribadire quanto questa impresa abbia influito positivamente nel cammino successivo contro Bayern Monaco in semifinale e contro il Liverpool in finale.

Alla fine di quella stagione, raggiunto anche l’ultimo trofeo rimasto da conquistare, Gianluigi Buffon saluterà il suo popolo. Quello dei tifosi juventini, così come saluterà il mondo del calcio giocato.

Inarrestabile, il migliore di tutti.

La carriera di Gianluigi Buffon durerà così a lungo e sarà talmente speciale da permettergli di guardare con i propri occhi in campo, il ragazzino che batterà negli anni futuri i suoi record, Donnarumma, ironia della sorte, Gianluigi di nome.      

Per raccontare alle generazioni future questo momento, più che le scene del suo addio nell’ultima sfida casalinga contro l’Hellas Verona, c’è una bellissima e cruda immagine del documentario “First Team” girato dalla troupe di Netflix che riprende Buffon seduto da solo nel bus della squadra che sta girando per le strade di Torino nei festeggiamenti dello scudetto. Tutti gli juventini sono sul tetto del bus aperto, mentre ad un certo punto Buffon si prende un momento di meritata solitudine. Forse per rivedere in alcune immagini, cosa è stata la sua immensa carriera.

Buffon, che in alcune occasioni e interviste si definirà un “animale da competizione”, ha parlato del ritiro come “un lutto da metabolizzare”, evidenziando forse involontariamente la difficoltà di un momento rinviato il più possibile e difficile per chi non ha semplicemente giocato a calcio ma scritto la storia di questo sport.

“Cosa sarei stato senza calcio? Sarei stato una persona peggiore, sicuramente, poi forse un professore di educazione fisica, come han fatto i miei genitori: mi è sempre piaciuto stare in mezzo ai ragazzi e allo sport. Il calcio mi ha reso una persona migliore perché ho sempre concepito il gruppo come aspetto più importante, la condivisione con gli altri ti rende meno egoista e più altruista, una delle cose più belle che ti dà la vita. Diventando popolare, poi, ci sono aspetti positivi e negativi: quando fai qualcosa di sbagliato, vieni bacchettato da giornali e telegiornali in maniera esagerata. Ma questa punizione esagerata ti fa ragionare e pensare non sia bello che uno come te subisca questo, di conseguenza cerchi di fare un gradino ulteriore e diventare migliore”.

In un post su Facebook del 2012 invece, Buffon scriverà:

“Viaggiare è più bello che arrivare, battersi è più bello che vincere”.  

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