Quello che Netflix non ha raccontato sul Calcio Storico Fiorentino

Abbiamo intervistato Roberto Torrini, presidente della squadra dei Verdi

Il calcio storico fiorentino è sbarcato su Netflix il 26 giugno di quest’anno. La piattaforma statunitense ha pubblicato Home Game, una docu-serie su alcuni sport, pittoreschi e pericolosi, giocati nei vari angoli del mondo. Il primo episodio, della durata di 31 minuti, è dedicato al Calcio Storico Fiorentino, sport unico nel suo genere che affonda le radici nella storia romana, ma che ha come data di nascita il 1530. È giocato da quattro squadre, i cosiddetti Colori che altro non sono che una rappresentazione dei 4 quartieri di Firenze: i Rossi di Santa Maria Novella, gli Azzurri di Santa Croce, i Bianchi di Santo Spirito e i Verdi di San Giovanni.

Il gioco, che vede due squadre da 27 giocatori contendersi la palla per segnare le “cacce”, è celebre sia per il suo lato tradizionale e folkloristico, ma anche per la violenza delle partite. I giocatori, detti calcianti, possono farsi strada in ogni modo, ingaggiando combattimenti contro gli avversari e rendendo il rettangolo sabbioso simile ad un campo di battaglia.

A causa del Coronavirus, il documentario Netflix non ha potuto raccontare il campionato di quest’anno, che è stato prima rimandato e poi sospeso, ed ha pubblicato un episodio con solo le riprese della finale 2019 fra Rossi e Bianchi.


Il piano della piattaforma di streaming era però diverso e a raccontarlo a noi di Crampi Sportivi è il presidente dei Verdi di San Giovanni, Roberto Torrini.

Nel 2015, Netflix ha pubblicato un documentario sul Palio di Siena di 91 minuti e l’idea era di fare lo stesso con il Calcio Storico Fiorentino. Il lockdown l’ha impedito, ma il progetto era di fare un prodotto unicamente su questo sport, riprendendo dall’inizio dell’anno fino a giugno. Questo che è stato pubblicato è una versione ridotta con riprese effettuate nel 2019.

Come racconta Torrini, Netflix avrebbe seguito diversi ragazzi di tutti i Colori, sia nella loro vita privata che durante gli allenamenti, nelle cene sociali. “Col lockdown non si è giocato, il Calcio Storico quest’anno non ha avuto un torneo e bisognerà aspettare l’anno prossimo, perché il Comune di Firenze, finché non ha la possibilità di mettere il pubblico, non può dare il permesso. C’era l’ipotesi di farlo al chiuso, al Nelson Mandela (palazzo dello sport di Firenze), e di montare il campo indoor senza montare le tribune”. Montare le tribune e il palco costa infatti al Comune circa 650.000 euro e senza un rientro via biglietti non è possibile. L’idea che circolava a febbraio era di farlo al chiuso e di trasmettere le partite su RTV38, la tv locale, ma la difficoltà di allenarsi ha portato a scartare anche questa ipotesi. “Sugli spalti c’è posto per 4.500 persone, pochissime. In pochi minuti i biglietti vengono esauriti. Tutti i colori hanno infatti la prelazione sui biglietti della loro curva, o i tifosi fiorentini non riuscirebbero mai a vedere le partite. I biglietti restanti sono acquistati in blocco dagli alberghi, dai tour operator”, racconta Torrini. Senza quella partecipazione, l’evento non ha senso di esistere.


Il Calcio Storico Fiorentino ha ottenuto un grande successo in questi anni e l’attenzione mediatica è cresciuta molto. Anche prima di Netflix, sono state diverse le emittenti interessate, come Pif con una puntata de “il Testimone” per MTV nel 2014 e l’anno scorso Italia1 ne ha fatto un documentario, trasmesso nel luglio 2019. Eppure, la differenza di fama con il Palio di Siena è ancora grande.

Per Torrini, il motivo è che “il Calcio Storico non è pubblicizzato dal Comune di Firenze quanto il Palio da quello di Siena. Nel Palio, un fantino prende 200.000 euro, un calciante prende 0. Ci sono interessi diversi. Il Palio viene trasmesso sulla Rai. Il Comune non sponsorizza molto il Calcio Storico perché è uno sport violento”.

Di conseguenza, anche in grandi sponsor non sono ben disposti a legare la propria immagine con uno sport così violento. Negli ultimi anni, però, le cose sono cambiate grazie ad un regolamento approvato nel entrato in vigore nel 2011. “Prima tutto era ammesso, si giocava e ci si picchiava, ora si viene squalificati. Gli scontri sono ancora ammessi in testa a testa, ma devono essere accettati: se un calciante, che nella vita gioca a pallavolo, si trova davanti un pugile, può non accettare lo scontro. Da lì hanno iniziato ad entrare molti ragazzi che giocano a rugby, che fanno lotta. Questo grazie al Comune e ai quattro Colori, perché prima c’era parecchia rivalità anche fuori dal campo. Io e gli altri presidenti ci siamo accordati, abbiamo deciso insieme e questa collaborazione ha portato anche più tranquillità con l’amministrazione”.

Quindi col nuovo regolamento si può essere squalificati. Ma quali azioni portano alla squalifica?

“Si viene squalificati se colpisci da dietro o lateralmente, mentre l’avversario non guarda, o colpendo un avversario a terra. Non si può placcare da dietro”.


Diceva che ora il clima fra i Colori è migliorato, qual è il motivo delle tensioni che c’erano in precedenza?

“Il motivo è che in passato il presidente contava poco, le figure più importanti nella dirigenza della squadra erano il capitano e l’alfiere (colui che porta in campo la bandiera). Io, avendo giocato per 26 anni prima di essere il presidente dei Verdi, posso sia parlare con le autorità che essere ascoltato dai membri della squadra. Dei quattro presidenti attuali sono l’unico ad aver giocato, oltre a quello dei bianchi che ha giocato una sola volta, ma hanno saputo circondarsi dei soggetti giusti, ex calcianti con un peso nello spogliatoio”.

In Campo 27, ma quanti calcianti possono far parte della squadra?

“Non esiste un massimo. Noi Verdi abbiamo circa 120 atleti tesserati. Tre mesi prima della partita, il Comune chiede che vengano comunicati 90 nominativi. Un mese prima bisogna stringere la rosa a 60 e quindici giorni prima si arriva a comunicarne 35. Il giorno stesso verranno comunicati i 27 che scendono in campo e nessun altro, non essendoci sostituzioni. Negli allenamenti, invece, scendono in campo circa 50 o 60 calcianti. Di meno è impossibile perché bisogna simulare una partita, dopo la preparazione atletica. Non possono tutti allenarsi contemporaneamente, a parte per lo spazio, ma soprattutto per i loro impegni lavorativi. Va ricordato che i calcianti non percepiscono nulla”.


Quanti allenamenti vengono fatti?

“Iniziamo ad allenarci a febbraio, e nei primi due mesi facciamo 2 allenamenti a settimana. A Pasqua c’è il sorteggio delle partite, dopo di che ci si allena per tre volte a settimane”.

Un impegno non da poco per uno sport che viene giocato al massimo due volte all’anno…

“Sì, ma lo sforzo fisico è altissimo: 50 minuti sulla sabbia, con più di 30 gradi, senza sostituzioni, lotta, corsa. Tanti che giocano si allenano per il Calcio Storico tre volte alla settimana, ma si allenano poi altre tre volte per conto proprio”.

Il fascino è anche questo, il fatto che senza retribuzione spinga comunque ad un impegno totale. Ma come fa ad essere così sentito?

“Il Calcio Storico si gioca a Firenze dal 1530, è stato fermo per molto tempo, ma è ripreso ufficialmente nel 1930 e da allora si è fermato solo per casi molto gravi, come la Seconda Guerra Mondiale, l’alluvione (1966) e ora il coronavirus. Si fermò anche per problemi fra i Colori: nel 2006 ci furono molti problemi, specialmente fra Bianchi e Azzurri. Fino a qualche anno fa, il Calcio Storico Fiorentino non andava in nessuna televisione. Ora invece, il documentario su Netflix ha avuto 52 milioni di visualizzazioni, così come l’anno scorso quello di Italia1, trasmesso in seconda serata, ha avuto più di un milione di visualizzazioni. Sono numeri che noi prima non avevamo. Stiamo andando sulla strada giusta”.

È possibile che in futuro i calcianti vengano retribuiti?

“Difficile, dietro ci devono essere sponsor importanti. La speranza è che si riesca ad ottenere un’assicurazione per gli infortuni sul campo, perché per ora è impossibile trovare una società che assicuri una partita di Calcio Storico Fiorentino. È necessario anche perché i calcianti sono persone che lavorano. Quindi hanno le loro personali assicurazioni. Anche per questo si gioca solo una volta l’anno, se ci fossero più partite sarebbe impossibile riprendersi dagli infortuni e mantenere un impiego”.

Esistono amichevoli per giocare anche nel resto dell’anno?

“Sì, a parte le due partite di Giugno, il 17 febbraio c’è la partita commemorativa, con le vecchie glorie. È un’amichevole, ci sono solo placcaggi, niente scontri. I ritmi sono per persone di 50 anni”.

2018, gli azzurri decisero di non giocare per problemi legati alle denunce. Bianchi e verdi composero una squadra di riserve e giocarono il primo turno contro i rossi

I Verdi non vincono da parecchio, perché?

“È dal 96 che non vinciamo, l’ultimo torneo lo vinsi io. Negli anni ’90 gli azzurri erano fortissimi e le partite erano molto contese, ma i problemi sono stati tanti: nel 2005 abbiamo vinto contro i Bianchi, ma la partita durò solo 20 minuti perché si ritirarono. La madre di uno di loro denunciò due calcianti Verdi, che sul campo avevano rotto la mandibola del figlio. Scattò la denuncia per rissa, che coinvolse 15 Bianchi e 15 Verdi e per la seconda partita anche 15 Rossi e 15 Azzurri. Iniziò il processo penale e io presi 10 mesi di condanna al primo appello, anche se dopo sei anni siamo stati tutti assolti. L’anno dopo, Bianchi e Azzurri si picchiarono fin troppo e il gioco fu sospeso per due anni. Nel 2009 ci fu una partita mista, perché per la paura delle denunce Rossi e Azzurri non giocarono. Lo stesso nel 2010, quindi per risolvere la cosa abbiamo creato il regolamento e limitato il tipo di azioni in gioco. Negli anni in cui non abbiamo giocato, i campi erano chiusi e i ragazzi non venivano. Siamo ripartiti nel 2011, quando sono diventato presidente dei Verdi, e ad allenarci eravamo solo 20. Non avevamo nemmeno la squadra per giocare, quindi siamo ripartiti da zero. Abbiamo fatto alcune finali negli ultimi anni, ci siamo ripresi, ma i Rossi sono forti, hanno preso diversi rugbisti”.

Come è cambiato il gioco dopo il regolamento?

“Prima si vinceva o perdeva per mezza caccia. Ora si vince 10 a 3. Prima le partite erano più tirate e molto più pericolose. Non era un gioco per tutti, ora è un gioco per gli sportivi. Prima bisognava essere tanto altro. Solo chi aveva le palle restava in campo. Ne ho avuti tanti, rugbisti, pugili, che il giorno prima decidevano di non venire”.

Anche i pugili avevano paura?

“Nel Calcio Storico Fiorentino abbiamo avuto gente a livello olimpico, ma il fatto è che quando un calciante era forte veniva affrontato anche da tre avversari insieme e veniva picchiato per bene. Hai voglia a fare pugilato! Ora è diverso, come prendere i gladiatori romani e farli allenare con le spade di legno. Noi ci allenavamo con quelle vere”.

Come funziona la scelta del Colore? È davvero così rigida, legate al proprio quartiere?

“No, uno può andare ad allenarsi dove vuole. Se uno è nato nel quartiere azzurro può andare ad allenarsi nel quartiere verde. Però, una volta che si è tesserati, non si può più cambiare Colore. Con me hanno giocato ragazzi che per qualche anno si sono allenati negli Azzurri, ma non hanno mai giocato con loro. Una volta che si è tesserati si può cambiare solo se la società ti rilascia un nullaosta, ma non succede mai. Prima del nuovo regolamento, tutto era possibile. Non c’era un vero e proprio tesseramento. Però il vero calciante, una volta giocato per un Colore, non cambia più. Io ho giocato 26 anni nei Verdi e neanche per un milione di euro giocherei per altri Colori”.

A cura di Marcello Caponigri

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