Dopo quasi due stagioni, 19 mesi per la precisione, alla guida della Sampdoria, Claudio Ranieri ha annunciato che non estenderà il suo contratto con il club di Corte Lambruschini
L’ha fatto a modo suo, con lo stile elegante ed eloquente che l’ha sempre contraddistinto, alla vigilia dell’ultima di campionato a Marassi contro il Parma, in una conferenza stampa “chiusa”, senza giornalisti presenti, con un senso di gratitudine totale (quasi) nei confronti del mondo blucerchiato. Ha ringraziato proprio tutti, Sir Claudio, “dimenticandosi” di menzionare il vertice più alto della società, e in poche parole, dette con una sensibilità e chiarezza disarmante, si è congedato. L’umiltà autentica di un allenatore che conosce il suo valore, tecnico e umano, ma che nella sua lunga carriera non ha mai anteposto il suo ego alle necessità del club di appartenenza, si è mostrata anche nell’ultimo passaggio della conferenza stampa.
Ranieri ha detto, rivolgendosi direttamente ai tifosi blucerchiati: “Spero con tutto il cuore di essere stato un rappresentante che a loro è piaciuto come allenatore del Doria”. La risposta, almeno per il sottoscritto, è una sola: “Si Claudio, hai indossato con orgoglio e senso di responsabilità i colori della Sampdoria”.
I motivi a sostegno della mia tesi sarebbero tanti, e non tutti facili da raccontare, ma è doveroso ugualmente provarci perché nel calcio italiano sono pochi gli allenatori, o meglio gli uomini, in grado di lasciare un segno così profondo, sia in termini tecnici che culturali, del loro passaggio. Claudio Ranieri è certamente uno di questi.

Un miracolo che è poi la salvezza
A Ottobre 2019, quando la Sampdoria decise di esonerare Eusebio Di Francesco, protagonista di uno score davvero esiguo (una sola vittoria nelle prime 7 giornate e ultimo posto in classifica), per affidare la guida della prima squadra a Ranieri, la situazione ambientale del club era tra le peggiori che si potessero vivere e respirare a pieni polmoni.
Durante l’estate, dopo l’addio a Marco Giampaolo, il club era andato vicinissimo al passaggio di proprietà, con i tifosi a trascorrere notti insonni nell’attesa di veder sorgere il sole con Gianluca Vialli presidente della Sampdoria. Un sogno accarezzato più volte, diventato quasi un’ossessione, concretizzatosi anche in una lettera d’intenti che aveva fatto esplodere di gioia il cuore del popolo blucerchiato. Gianluca Vialli presidente del Doria sarebbe stato come celebrare la conquista del “secondo scudetto”.
Il fallimento della trattativa per il cambio di proprietà e un inizio di campionato drammatico avevano poi scavato un fossa profonda, quasi abissale, sotto i piedi della squadra, sfiduciata ed estremamente vulnerabile. L’esonero dell’integralista Di Francesco, non certo esente da colpe per l’andamento terribile dei suoi ragazzi, e il successivo arrivo di Ranieri cambiarono subito le prospettive tecniche e mentali del Doria. Con una narrativa societaria in tumulto, irrimediabilmente lontana del cuore pulsante della tifoseria, e una situazione sportiva apparentemente destinata alla retrocessione, Sir Claudio riuscì in poco tempo a dare contenuti e, soprattutto, un’identità ai suoi giocatori.
Nella conferenza stampa di presentazione, Ranieri fece immediatamente chiarezza sull’obiettivo, la salvezza, su quello che avrebbe preteso dai suoi calciatori e mise pure un punto ben deciso sulla questione societaria: “Bisogna dare orgoglio ai nostri tifosi. Io voglio dalla mia squadra il massimo. Chi mi darà il massimo avrà la possibilità di giocare e gli altri dovranno aspettare. […] Come motivazione, determinazione, voglia di sacrificarsi per il compagno non ci deve battere nessuno. Io sceglierò undici persone che hanno voglia di lottare. […] Il nome del giocatore non mi interessa. Io sono venuto qua per salvare la squadra. Chi mi fa vedere che ha voglia di salvarsi, è quello che io prendo subito in considerazione. Io ho a disposizione 26-27 giocatori. Sono 26-27 caratteri differenti…io sono solo uno. Loro devono capire come sono fatto io, quello che voglio io. Così è molto più facile. Io, loro e il pubblico dobbiamo diventare una cosa sola”.
Ranieri si mostrò risoluto e chiaro anche sulla società e le insistenti voci di una cessione: “A me dell’assetto societario non interessa nulla. Io penso a salvare la squadra. Poi se il presidente sarà lui (indicandolo) o un altro, a me e ai giocatori non deve interessare”.

Insomma, nessun alibi, nessuna suggestione. Ci si deve salvare a tutti i costi e per farlo, indipendentemente dal risultato finale, quella che non deve mai mancare è la prestazione. Credere in se stessi e in quello che si fa è fondamentale per poter sfidare l’impossibile. E Ranieri quella Sampdoria sfiduciata e incapace di guardarsi allo specchio saprà salvarla.
Sistemando la fase difensiva e poi, piano pano, salendo fino a quella offensiva. Un gioco dai concetti onesti e diretti, aggressivo nella pressione e propositivo nella verticalizzazione. Niente possesso palla fine a se stesso perché se si può andare in porta con 2-3 passaggi non ha senso farne 10-15. La Sampdoria di Ranieri, modellata attorno a un 4-4-2, più frequentemente 4-4-1-1 con Gastón Ramírez, eroe della salvezza, in versione Shinji Okazaki dietro all’unica punta, è una squadra vera, che sa quello che deve fare e che non molla mai. Sotto la guida del tecnico romano, il Doria riesce a salvarsi con 4 giornate d’anticipo nella lunga ed estenuante estate caratterizzata dal Covid.
Dopo la ripresa del campionato, bloccato a causa della pandemia, e le prime tre sconfitte consecutive, contro Inter, Roma e Bologna (in casa), la Samp vince gli scontri diretti con Lecce (1-2), Spal (3-0) e Udinese (1-3), completando il capolavoro con il successo interno sul Cagliari (3-0) e quello esterno, 3-2 in rimonta, al Tardini di Parma.
Un miracolo sportivo in piena regola firmato dal tecnico testaccino, l’ennesimo della sua carriera. Ranieri ha avuto il merito di dare un’organizzazione alla squadra, facendole interpretare alla perfezione il ruolo che doveva recitare e ha restituito l’anima ai colori blucerchiati. Una comunicazione a giocatori, stampa e tifosi onesta e coerente, che ha unito e compattato tutti attorno all’obiettivo, anche quando ogni cosa sembrava irrimediabilmente perduta. Ranieri ha valorizzato i calciatori che aveva a disposizione (su tutti Tommaso Augello e Morten Thorsby, dimenticati da Di Francesco ma punti fermi del suo “undici”) e nascosto il più possibile i limiti evidenti della rosa. Il tutto con classe, educazione e competenze.

La conferma
La stagione 2020/2021 è stata quella della consapevolezza per la Sampdoria di Claudio Ranieri.
Una squadra rinforzata nel mercato con gli arrivi di Antonio Candreva, Keita Baldé, Adrien Silva e del giovane Mikkel Damsgaard, oltre alle conferme dei giocatori più significativi, come il capitano Fabio Quagliarella e il portiere Emil Audero.
Ranieri ha fatto esattamente quello che ci si aspettava da lui. È ripartito dai contenuti tecnici e caratteriali cementati nella stagione precedente e li ha portati al livello successivo. Il Doria non è mai stato in zona retrocessione, togliendosi la soddisfazione di battere anche alcune grandi come Inter, Lazio, Atalanta e Roma, ed ha chiuso l’annata al 9° posto con 52 punti, obiettivo espressamente richiesto ai suoi giocatori a salvezza acquisita.
Un campionato “tranquillo” come la nostra cultura calcistica popolare ama definire.
Una tranquillità troppo spesso snobbata dai tifosi, ciclicamente rivalutata nelle stagioni a rischio retrocessione e poi nuovamente dimenticata. La Sampdoria è stata pragmatica e quadrata, si è esaltata in contropiede e nelle sofferenze, primeggiando in cinismo e generosità in svariate occasioni. Ranieri ha spremuto fino all’ultima goccia di talento i suoi ragazzi, che l’hanno seguito e si sono immedesimati in lui, senza mai lasciare nulla di intentato.
Ci sono stati momenti complicati all’interno del gruppo, come in tutte le squadre che vivono il calcio così intensamente, ma l’allenatore è stato bravo a superarli, dimostrandosi credibile e solido agli occhi dei suoi calciatori. Ai tifosi dai palati fini, che desiderano il bel giuoco e filosofeggiano da un pulpito di pura e supponente teoria, chiedo: dove sarebbe potuta arrivare la Sampdoria con un allenatore diverso da Ranieri?

Sarebbe potuta classificarsi in posizioni superiori alla nona? Difficile, verosimilmente improbabile. Per raggiungere l’Europa, questo è certo, la rosa non era attrezzata adeguatamente. Va da se, dunque, che un miglioramento significativo non fosse realmente fattibile.
Avrebbe potuto il Doria, invece, terminare sotto il 9° posto, magari rimanendo invischiato in una drammatica lotta retrocessione fino alla fine, come Fiorentina, Cagliari e Torino? Possibile, anzi probabile.
Claudio Ranieri ha dato tutto quello che aveva alla Sampdoria ed è riuscito nell’impresa di restituire un’identità solida e coriacea alla squadra, garantendo ai suoi tifosi un luogo sicuro in cui potersi abbandonare totalmente. Ha migliorato il rendimento dei suoi calciatori e ha conferito loro il suo spirito da combattente. Ma la cosa più importante di tutte è un’altra. Claudio Ranieri ha vestito i colori del Doria con classe, eleganza e rispetto per la sua storia.
Valori e stile
È arrivato il momento in questa sorta di monografia di Ranieri alla Sampdoria, di aprire il mio cuore lasciando alle spalle l’approccio giornalistico.
Così, in prima persona. Da tifoso della Sampdoria, mister Ranieri, non posso che ringraziarti. Ricordo ancora il tuo debutto allo stadio Ferraris, in un vigoroso match interno contro la “tua” Roma, finito 0-0. Al tuo ingresso in campo hai lanciato uno sguardo verso la Sud e ti sei commosso. Lì ho capito che saresti stato l’uomo giusto per noi. L’uomo che avrebbe potuto restituirci la voglia di sognare. Si, mister Ranieri, sei stato “un rappresentante” straordinario dei nostri colori. Li hai nobilitati ed elevati ad una dignità alla quale nella nostra storia eravamo sempre stati abituati.
Al momento del tuo arrivo a Genova, la Sampdoria aveva bisogno di una guida credibile, che sapesse vivere le emozioni del calcio per poi trasferirle ai suoi giocatori. Ci sei riuscito, mister Ranieri. Una salvezza miracolosa lo scorso anno, perché solamente noi tifosi della Samp sappiamo davvero quanto lo sia stata, raggiunta con largo anticipo, con lo stadio sempre vuoto e contro ogni pronostico. Avevamo bisogno di un uomo come te per vedere di nuovo lo “stile Sampdoria” e respirare dei valori veri, quelli che ci hanno fatto innamorare di Lei e che ci fanno venire i brividi ogni volta che ascoltiamo “Lettera da Amsterdam“.
Hai fatto la differenza e ci hai restituito dignità.
Per questo provo dolore autentico, al di là di qualsiasi valutazione tecnico-tattica, nel vederti andare via. E malgrado sia terribilmente difficile ascoltare la schiettezza delle tue motivazioni, il tuo “non ci sono contenuti e presupposti per restare”, e guardare con un soffio di positività al futuro, l’unica cosa che mi colpisce nell’anima è il fatto che la Sampdoria possa perdere un uomo della tua levatura.
Uno vero, di quelli che non se ne fanno più così.

Da sampdoriano, sono stato orgoglioso di aver vissuto le mie domeniche di passione assieme a te. Da amante del calcio, ti dico apertamente che solamente tu potevi salvarci la passata stagione.
E poi ti voglio dire un’altra cosa, caro mister Ranieri.
Il presidente Paolo Mantovani sarebbe stato fiero di avere un allenatore, o meglio un uomo, come te alla guida della sua splendida creatura.
Ti auguro il meglio per la tua vita. Sarai sempre nel mio cuore blucerchiato.

Padovano, classe 1986, sono figlio di Seattle e del grunge degli anni Novanta. Amo le storie tormentate di quelli che si sono bruciati in fretta, illuminando, però, ogni cosa. Ho scritto dei libri sulla pallacanestro ma non sono un vero scrittore. Mi occupo di NBA per La Gazzetta dello Sport e collaboro con Overtimebasket.com. Al liceo i professori mi dicevano che ero un buono a nulla. Ne vado fiero.