Montaggio video di Gianluca Viscogliosi
Non è un mistero che il nome più famoso della pallacanestro mondiale sia quello di Michael Jordan.
Per i ragazzi dai 40 anni in giù, però, non è stato MJ il fenomeno che ne ha accompagnato le tappe della crescita: quelle in cui ci si appassionava, quelle in cui si tifava, quelle in cui si cercava il modello da emulare, quello che si ammirava perchè in fondo si voleva essere al suo posto.
Quello che prese per mano i ragazzini, li affiancò durante l’adolescenza per poi condurli nel percorso della maturità, anche nei confronti della propria passione, è stato Kobe Bryant.
Con i loro pensieri, alcuni dei ragazzi della redazione di Crampi Sportivi raccontano il Kobe riflesso in loro, inframezzati dalle immagini del ragazzo dal nome di bistecca scolpite nella storia del gioco: loro, e di tutti.
Sebastiano Bucci
Nelle fasi di elaborazione di un lutto il primo step è sempre la rabbia: ti viene da dar addosso a Dio, al destino o chissà chi. È una rabbia sordida e ovattata che accomuna in un’ espiazione di dolore collettivo Tutto il globo. Nel giorno di dolore che uno ha la Lega decide di usare il silenzio e ti omaggia con 24 secondi di luci basse e mosche che non volano, commosse anche loro, come noi.
Parafrasando il mio amico Daniele: “Non ci ha lasciati, è semplicemente andato a giocare da solo sull’isola”.
Claudio Pellecchia
Kobe è tutto.
Kobe è le notti in bianco a causa del fuso orario impossibile della Western Conference.
Kobe è la Courtside Countdown di ‘NBA Action’ il sabato pomeriggio, quando si trattava di scegliere tra la ‘kobiosity’, la ‘mcgradyness’ e la ‘vinsanity’ mentre i tuoi amici ti prendevano in giro perché non eri andato a giocare a pallone con loro.
Kobe è svegliarsi la mattina e rendersi conto che sì, ne ha messi davvero 81.
Kobe è la conferma che “me against the world” non è solo una canzone di 2Pac.
Kobe è vittoria e sconfitta, catarsi e redenzione, estasi e tormento. Perché “solo chi fa grandi colpi fa grandi errori” e “se non credi in te stesso chi ci crederà”.
Kobe è una lettera di amore al Gioco che avremmo scritto anche noi.
Kobe è un padre che dice che non ha bisogno di un figlio maschio che raccolga la sua eredità “perché ci penserà la mia Gigi”.
Kobe sono io, Kobe siete voi, Kobe siamo noi.
Un po’ più soli ma ancora qui. Because “all I was thinking in the back of my mind was Mamba Mentality”.
Roberto Gennari
Stavo guardando una partita quando il telefono ha cominciato ad impazzire di notifiche. “Che scocciatura, ma che vuole tutta ‘sta gente di domenica sera?”, ho pensato. Ho guardato al primo timeout, non riuscivo a crederci. Mi si è seccata la bocca. Niente di quello che vedo e scrivo mi sembra avere senso. Non posso dire che mi identificavo con Kobe Bryant, semplicemente perché lui era troppo talentuoso, troppo forte mentalmente, troppo agonista rispetto a me che sono un comune mortale. E allora provo a pensare a te in questi termini, penso al fatto che sei un padre di famiglia, che tra me e te c’è meno di un anno di differenza, che il fatto che tu abbia lasciato questo mondo in modo così improvviso ed insensato mi costringe a riflettere su quanto sia provvisoria la nostra condizione, su quanto davvero sia importante apprezzare ogni singola mollica di quello che abbiamo, sia esso un sorriso dei nostri figli, una buona pizza, un canestro che segniamo e che chiude una partita, che si tratti di una finale NBA o di un 3 contro 3 tra amici.
Luca Amorosi
In un cassetto ho ancora la sua maglia gialloviola con il numero otto che avevo voluto a tutti i costi per il Natale di non so neanche quanti anni fa… Mi stava talmente grande che ancora mi sta e ancora oggi la ritiro fuori e la metto con orgoglio. Perché se seguo un po’ la Nba e me ne sono appassionato anche se non so neanche cos’è il ‘pick and roll’ è grazie a Kobe, se ho fatto qualche notte in bianco per vedere i Playoffs o le Finals è grazie a Kobe, se ancora stringo i pugni dalla gioia quando vincono i Lakers è grazie a Kobe e persino se ho passato ore col joystick in mano e il videogioco della Nba inserito è sempre grazie a Kobe. Sono cresciuto insieme a lui, non ho creduto ai miei occhi ad ogni sua giocata, ho esultato per ogni sua vittoria e mi è venuto un nodo alla gola quando si è ritirato, a modo suo, piazzando 60 punti. Ieri, questo nodo alla gola è diventato quasi soffocante, appena ho saputo. Ciao Kobe, Legends are forever.
Armando Fico
Di Kobe Bryant mi hanno sempre affascinato il suo sguardo, le sue espressioni, i suoi atteggiamenti sul parquet. Da profano del basket, se credevo di star ammirando uno venuto da un’altra dimensione (sportiva ed umana) la naturalezza della sua azione mi spiazzava di continuo. Sembrava portare in sé tutta la conoscenza e l’intuizione della pallacanestro, per poi offrirla, nella sua forma più semplice di emozioni, spettacolo e passione, a chiunque volesse goderne. Ecco allora spiegata quella sensazione di vuoto – di smarrimento – alla notizia della sua scomparsa: era consapevolezza di non aver fatto a tempo a ripagarne la generosità… il destino di ogni Messia.
Matteo M. Munno
La morte di una leggenda aiuta tutti noi a ricordarci che siamo uomini. Fatti di carne, sangue e sogni. Kobe oltre a tutto questo è – perché al passato non si parla mai – mentalità. Icona.
Motivo di litigi, chiacchiere, giocate improbabili al campetto e soprattutto motivazione. Motivazione per chi ha pensato di non potercela fare sul parquet e poi… “Oh, ma da Reggio Emilia è diventato il Black Mamba”.
Di lui in questi giorni si dice tanto: le giocate, il passato, il nome legato a una bistecca, il gialloviola che era marchio di fabbrica, l’ossessione per la perfezione. Insomma, questo ci fa capire che Kobe è davvero larger than life.
The same but different, dicono tutti parlando di lui. Senza Kobe, però, diventa davvero difficile pensarlo.
Luigi Di Maso
Ho buttato lì una foto in pagina. Non me ne frega un cazzo delle interazioni. Non sono un esperto di NBA ma mi piglia davvero male. Non me la sento di dire altro sinceramente.
Marco A. Munno
Abbiamo l’abitudine di pensare che certe cose non accadano a noi, ai nostri cari, a chi lo diventa per come ci ispira e col suo status di fama mondiale ci pare un eroe immortale.
Coi ricordi dovremo farli restare fra noi, vedendoli per ciò che sono: mortali come tutti, perciò da ammirare ancora di più per le vette raggiunte.

Lo sport raccontato dal divano, Zidane e Rodman a cena dal Professor Heidegger.