Cosa guardare nella stagione NBA 2019/2020

Le competizioni europee colpiscono, le Nazionali rapiscono, ma niente più della NBA stupisce.
In occasione dell’inizio della Lega che più di tutte accende le fantasie degli appassionati, i componenti della redazione cestistica di Crampi Sportivi parlano delle 5 cose che ritengono più sexy (sportivamente parlando) nella stagione della National Basketball Association ormai alle porte.


Claudio Pellecchia

1) NEVER UNDERESTIMATE THE HEART OF A (THREE TIME) CHAMPION
L’idea che i i Golden State Warriors come dinastia da tre titoli e cinque finali in cinque stagioni possano essere considerati “finiti” (abbondate con le virgolette) dopo la seconda Decision di Kevin Durant è condivisibile. Lo è molto meno metterli dietro chiunque – per quanto si parli del “Wild Wild West” più “Wild” di sempre – nei power rankings di inizio stagione, dimenticandosi di quel che sono stati prima di KD, con la migliore versione all time di LeBron James a impedire che una stagione da 73 W trovasse l’unico coronamento possibile. E in momento storico in cui chi ha un sistema di riferimento e ha cambiato poco potrebbe essere comunque favorito, gli Warriors hanno un sistema di riferimento e hanno cambiato poco. Nonostante KD, nonostante la corrispondenza tra Curry e Iguodala ormai possa proseguire solo su WhatsApp, nonostante il rientro di Klay Thompson sembri ancora troppo lontano, nonostante un D’Angelo Russell “precario di lusso” e non necessariamente per i soldi che prende. Occhio, che dai power ranking alle citazioni di Tomjanovich è un attimo.

2) D&D
Derrick e Damian, Damian e Derrick, Rose e Lillard,  Lillard e Rose, Pistons e Blazers, Blazers e Pistons, Est e Ovest, Ovest ed Est, in una connection non necessariamente immaginaria che lega due giocatori diversi ma uguali, da seguire sempre, comunque, dovunque, con e contro chiunque. Per modo di stare in campo e al mondo, per impatto tecnico ed emotivo sulle prestazioni di squadra, perché è ora di andare oltre l’iconografia del buzzer beater contro ciò che restava dei Thunder, perché “God told Derrick to rise and Derrick Rose”. Ancora una volta.

3) ITALIANS DO IT BETTER (?)
Marco a San Antonio in ricordo di quel che è stato e di quello che potrebbe ancora essere, Nicolò a New Orleans per provare a non fare solo la comparsa sull’allegro carrozzone di Zion e compagnia, Danilo a far compagnia, non si sa per quanto, a CP3 nell’anno zero di OKC. E, come cantava qualcuno tornato di moda recentemente, quel che sarà di noi (e di loro) “lo scopriremo solo vivendo”.

4) M-V-P!
Essere MVP è un onore. Essere MVP è una responsabilità. Essere MVP è un fardello da onorare a modo tuo nella stagione successiva e, prima ancora, ai playoff e (se ci arrivi) alle Finals. Che tu sia Giannis, James, Steph, Kawhi o LeBron, nella stagioni più incerta degli ultimi 20 anni alla fine è quindi solo un dettaglio. O forse no.

5) TRUST THE PROCESS FROM DOWNTOWN
Perché se si vuole che Sam Hinkie “non abbia dato la sua vita invano” è necessario che questa scena si ripeta più e più volte


Gianluca Viscogliosi

1) “TORNO PRESTO”: FIRMATO ZION WILLIAMSON
“Let’s dance”. Ci piace ricordarlo così il buon Zion, mentre fresco e imberbe di draft lanciava parole al miele a uno dei padroni di NOLA, Drew Breese. Si perché tra un sorriso per gli autografi, un bicipite mostrato in mondovisione e una schiacciata a piena potenza, ecco che il ginocchio del prodotto di Duke si gira e ci regala un inizio di stagione un po’ più triste. Soprattutto perché, dopo l’addio al Canada di Leonard, l’opening night tra i campioni in carica dei Toronto Raptors e i Pelicans perde così un altro assoluto protagonista. In dubbio quindi la corsa al ROY? Difficile, sia perché le alternative – Ja Morant e Barret su tutti – sembrano aver bisogno di più rodaggio sia perché le franchigie in cui giocano sono in piena ristrutturazione. Il suo impatto sulla lega sarà così da valutare, come quello dei suoi Pelicans: coach Gentry ha ricevuto una quantità di talento industriale da L.A., ma farlo girare nel modo giusto non sarà semplice. Gli ingredienti comunque ci sono tutti a New Orleans, sia per cucinare un gumbo eccezionale sia per una stagione cestistica di altissimo livello. PROFUMINO.

2) L’ENNESIMA ULTIMA STAGIONE
Si sta, tristi e perplessi, come Zeno Cosini davanti al suo pacchetto di sigarette. Di quella apatia e di quell’immobilismo senile che ingabbiava la vita e le azioni del protagonista dell’opera di Svevo, Vincet Lamar Carter ha poco o nulla. Anzi. L’ex Tar Heel ha approcciato il 22esimo e ultimo anno nell’NBA con la gioia e la freschezza del più frizzante Rookie. Anche perché di giovani da crescere sotto la sua sapiente ala saranno tanti: Collins, Huerter e soprattutto Trae Young, il prescelto a cui tramandare i segreti del mestiere. Non potrà però che essere una stagione emozionate, con omaggi e attestati di stima che arriveranno da ogni angolo d’America. Quell’ultimo giro di giostra che, insegnano Bryant, Nowitzki e Wade, non può mai lasciare indifferenti. “Voglio giocare tutte le partite della stagione”, ha assicurato Vince tra una battuta e l’altra. Noi saremo lì, a gustarci l’ennesima ultima schicciata di una carrier vissuta ad altissima quota. LEGGENDA.

3) SOGNO O SON DWIGHT?
Così snello e atletico forse non lo era stato neanche quando i Magic, con una scelta azzardata, avevano deciso di puntare su di lui per la prima pick assoluta al draft del 2004, snobbando il campione NCAA Emeka Okafor. Dopo un viaggio di 7 anni fatto di quattro franchigIe cambiate, kg persi e ripresi e un’evoluzione del gioco che ha portato le sue caratteristiche ad essere sempre meno funzionali, Dwight Howard è tornato a LA. Niente Kobe e Nash stavolta, ecco invece Lebron e Davis all’inizio della missione per riportare il giallo-viola al vertice della Lega. Le prime immagini hanno stupito e sconcertato tutti: massa grassa e parte di quella muscolare drasticamente ridotta, dread con punta ossigenata. Qualche difficoltà nelle prime uscite di pre season e poi il boom nell’ultimo scontro con gli Warriors: 12 punti, 13 rimbalzi e 6 assist. Al momento – chi l’avrebbe detto qualche anno fa! – McGee parte avanti nelle rotazioni ma noi, vecchi romantici amanti delle storie a lieto fine, speriamo che Dwight possa regalarci il comeback più importante della storia recente della NBA. ARABA FENICE

4) PUNTO INTERROGATIVO WARRIORS
Da sicurezza a dubbio. O quantomeno a lecita remora. Iniziando dall’impatto che avrà il Chase Center (ciao ciao Oracle Arena, è stato un bellissimo viaggio!). La stagione di Golden State sarà la più imperscrutabile degli ultimi anni. L’addio ai venerabili maestri Iguodala e Livingstone, compagni di tante avventure e vittorie; l’infortunio che terrà fuori per chissà quanto Klay Thompson; gli effetti tecnici e di mercato della trade Durant; l’impatto sul parquet e sull’equilibrio del gruppo di Russell. Probabilmente dinamitardo nel bene e nel male, soprattutto in quel modo personale e anarchico di interpretare il gioco maturato con forza nelle ultime stagioni a Brooklyn. Un calderone di ipotesi e possibilità con due certezze, Draymond Green e Steph Curry. Nel mare tormentato della baia saranno loro a dover dare aiutare Kerr a trovare le risposte giuste in una Western Conference con i fari puntati su Los Angeles. A San Francisco si partirà in sordina, sperando che il duro lavoro possa pagare e che Bob Myers peschi il coniglio dal cilindro. FARI SPENTI

5) IL RILANCIO DELL’UNICORNO (E DI DALLAS)
A metà della scorsa stagione lo scossone. Più o meno quando si è capito che sì, bravi tutti eh, ma quello con il #77 dalla Slovenia lo mettiamo a capo della situazione e scommettiamo forte sul futuro. E allora perché non creare (forse) la coppia di internationals potenzialmente più forte della storia della Lega? Chi ha racimolato sul web qualche immagine di pre season ha notato come la potenziale esplosività della combinazione Doncic-Porzingis. Tutto però dipenderà dal lettone, vero ago della bilancia della stagione Mavs. Le sue condizioni fisiche influenzeranno pesantemente le rotazioni di Carlisle, le ambizioni di Cuban e soprattutto le mosse di Nelson. Se il suo ginocchio risponderà bene, se il suo minutaggio andrà in crescendo allora sarà la dirigenza a dover battere un colpo. Firmare un eventuale terzo violino, creare il giusto supporting cast e lanciare la sfida ai colossi della western conference per la stagione 2020-21. RODAGGIO.


Alessia Malfettone

1) GIANNIS SARA’ IL NUOVO RE DELLA EASTERN CONFERENCE?
Dall’addio di LeBron alla Eastern Conference lo scorso anno, in quel lato del tabellone si è aperta una furiosa “lotta” a chi debba prendersi in eredità la corona. Se da un lato c’è sicuramente la coppia Simmons/Embiid, i neo arrivati Irving/Durant, a spuntarla potrebbe essere proprio il recente MVP Giannīs Antetokounmpo. Il greco, infatti, dopo la cocente uscita ai mondiali con la sua nazionale quest’anno è ancora più motivato ad arrivare fino in fondo e diventare campione dell’Est. Long live the new King!

2) MELLICANS
Nicolò Melli ne ha fatta di strada nei suoi 28 anni: giovanili nella Pallacanestro Reggiana, qualche anno a Milano che non l’ha proprio aiutato a crescere, ed infine palcoscenico europeo con Brose Bamberg e Fenerbahçe che lo hanno definitivamente consacrato come una delle migliori ali forti italiane e non solo. Tutto ciò gli è valso quest’estate una chiamata dall’altro lato dell’oceano e la possibilità di misurarsi con i migliori del mondo. Se è sopravvissuto ai timeout di Obradović, niente potrà fermarlo!

3) IL PLOTONE INTERNAZIONALE DEI JAZZ
C’erano una volta un francese, un australiano e un croato; no, non è una barzelletta, ma sono i nuovi Utah Jazz. La squadra di Salt Lake, nonostante punti sulla sua stella americana Donovan Mitchell, ha abbracciato come suoi diversi giocatori internazionali, qualcuno da anni, come Gobert e Ingles, qualcuno appena acquisito come Bogdanović. Seppure Dallas rimane sempre la squadra “europea” per eccellenza, quest’anno anche i giocatori dei Jazz potranno imprecare in più di una lingua.

4) BROOKLYN NETS: DALLE MACERIE A IRVNG & DURANT FIRMATI NELLA STESSA ESTATE
Alzi la mani chi sapeva che nello stato di New York ci fosse un’altra squadra oltre a Knicks. Se le mani alzate adesso sono poche, ben presto cresceranno di numero in quanto quest’estate i “cuginastri” dei Knicks hanno mosso le loro pedine (i.e. D’Angelo Russell) per poter mettere le mani su un terrapiattista con un ball handling sopraffino e uno dei migliori attaccanti in circolazione che sente il bisogno di dimostrare di poter vincere da solo (leggesi senza Steph Curry). Questo duo potenzialmente devastante deve stare attento solo a due cose: infortuni, che già li hanno trovati, e un “freak” che corrisponde al nome di Giannīs Antetokounmpo.

5) LUKA DONCIC vs TRAE YOUNG, VOLUME II
Il draft 2018 è stato uno dei più talentuosi negli ultimi anni, era (quasi) impossibile sbagliare scelta, a prescindere dall’ordine di chiamata, eppure due singole posizioni possono aver cambiato le sorti due franchise. Agli Hawks, con la terza scelta, è caduto dal cielo Luka Dončić (scelto dopo Bagley, un po’ come un certo MJ scelto dopo Bowie…) e, sebbene a caval donato non si dovrebbe guardare in bocca, con una mossa “kansas city” scambiano il più giovane MVP dell’Eurolega per Trae Young. Ai Mavericks, che dopo aver tankato proprio per lo sloveno, con la quinta scelta, non sembra vero di poter spedire con solo una futura pick il piccolo playmaker in quel di Atlanta. Tale mossa sembra, però, sembra aver innescato solo una rivalità unilaterale, in quanto, come detto saggiamente da un commentatore americano e dimostrato da uno straripante 98 a 2 nella corsa al ROY, “Luka ain’t no ordinary rookie”.


Roberto Gennari

1) COSA RESTERA’ DEL PROCESS DI PHILA?
Diciamocelo una volta per tutte: l’idea di costruire una squadra interamente tramite draft è ormai saltata. Nerlens Noel, sesta pick del 2012, non è più nei Sixers Dario Saric, dodicesima chiamata del 2014, nemmeno. Jahlil Okafor, dopo una promettente stagione da rookie, è stato avvistato di recente a New Orleans. Markelle Fultz, prima chiamata assoluta del 2017, ha giocato in due anni 33 partitetutt’altro che memorabili e ora è a Orlando. Restano Embiid e Ben Simmons, che comunque, beh, si lasciano guardare. Però dobbiamo dircela tutta fino in fondo: la squadra di adesso è fortissima, almeno come starting five. Il problema è che se questo titolo insiste a non arrivare, nella città dell’amore fraterno si sarà creduto al Process invano.

2) WESTBROOK E HARDEN INSIEME: FUNZIONERANNO?
Allora, a dire il vero i dubbi su entrambi permangono, anche se stiamo parlando di due che sono stati entrambi MVP della Lega, e non è che capiti spessissimo che due MVP siano contemporaneamente nella stessa squadra. Sono due giocatori estremamente individualisti, e se il mix con loro due (più Kevin Durant, scusate del poco) ha portato al massimo ad una finale NBA persa in modo piuttosto netto, prima della diaspora, beh, un qualcosa che non va c’è. A parole, sia Westbrook (che è comunque sia un lavoratore feroce, uno che veramente vuole vincere ad ogni possesso) che Harden hanno dichiarato di aver capito che non saranno le cifre individuali dell’uno o dell’altro a farli arrivare al titolo NBA. Già, a parole.

3) GLI SPURS DI COACH POPOVICH E MARCO BELINELLI FARANNO I PLAYOFFS ANCHE QUEST’ANNO?
Sì.

4) CHI ARRIVA SECONDO AL ROOKIE DELL’ANNO?
La notizia dell’infortunio di Zion Williamson subito prima del via della regular season arriva come un fulmine a ciel sereno perché appunto, con lui sano, per il premio come miglior debuttante sarebbe stata una corsa a chi arriva secondo. Augurando al numero 1 dei Pels di tornare al più presto, in questa ipotetica gara potrebbero mettersi in luce in diversi. A cominciare dal suo ex compagno di squadra a Duke R.J. Barrett: ai Knicks nessuno lo tratterrà dall’esprimere tutto il suo potenziale. Se si mette in testa di difendere almeno un po’, anche Ja Morant sarà un candidato, così come Darius Garland. Occhio infine a e Cam Reddish (uno buono, ma buono per davvero, che però viaggia a fari spenti proprio per aver giocato con gli altri due di Duke già citati).

5) CHE STAGIONE FARA’ STEPH CURRY? E JOEL EMBIID?
Per motivi diversi, sono due dei maggiori “osservati speciali” della stagione NBA che sta per iniziare. Il 30 dei Warriors, per la prima volta dopo sei stagioni, si troverà a giocare in un team che potrebbe fare meno di 50 vittorie in regular season (ma ovviamente tanto dipenderà dai tempi di recupero dell’altro Splash Brother Klay Thompson): se sarà in salute, aspettiamoci medie da record in carriera. Il centrone dei Sixers, invece, adesso più che mai deve dimostrare di essersi lasciato alle spalle quel famoso tiro di Kawhi Leonard che è rimbalzato quattro volte sul ferro prima di eliminarlo, e riportare i Sixers (almeno) a quelle finali di conference che mancano ormai dal 2001 a Phila.


Marco A. Munno

1) NIKOLA, THE RESIDENT JOKER
SPOILER ALERT: nel celebrato film di questo mese, Joker nella sua follia diventa un simbolo della ribellione verso le classi con più dotazioni. Da un certo punto di vista, lo slavo dei Nuggets funge analogamente da rappresentate per quelli che avrebbero voluto diventare giocatori ma non hanno potuto senza il giusto telaio: pancetta simil-alcolica invece di un fisico cesellato, movenze felpate e un pò goffe invece di atletismo strabordante e look da più figo della festa. Quando poi si scende in campo, sono le sue visioni però a dominare il gioco: nell’escalation di miglioramenti che l’ha portato ad essere uno dei migliori della Lega, non possono che essere in tanti in attesa che compia l’ultimo passo e riesca anche a conquistare la più bella dama a fine serata.

2) PERDERE E PERDEREMO: MA COME?
Banale ma reale: per ogni compagine vincente, ce n’è una sconfitta. E allora, nel dedicarsi alle celebrazioni di chi primeggia, non va dimenticato chi resta nell’oblio vedendo gli altri festanti. E che della sconfitta spera di trarne una filosofia, quella del sacrificio dell’uovo oggi per la speranza di una gallina delle uova d’oro, invece del solo testamento del proprio peggior livello. Cavaliers, Suns, Grizzlies, Hornets, Thunder, Knicks, Wizards: a voi risolvere il dubbio su quale dei due lati vi trovate.

3) STILL YOUR NBA CHAMPIONS: TORONTO RAPTORS
Ogni volta che una competizione inizia, il gold standard da superare per chi vuole arrivare alla vittoria finale è per definizione quello rappresentato dai campioni in carica. In un’estate così tumultuosa con la perdita di Leonard (e Green) è quantomeno difficile pensare ai Raptors come massimo riferimento della Lega, nonostante la presenza di Lowry, del neocampione del Mondo Marc Gasol e del piccolo grande VanVleet… però, finchè non ci saranno dei nuovi vincitori delle Finals, i campioni restano quelli della truppa guidata ora da Pascal Siakam, appena nominato grazie al suo nuovo contratto leader delle truppe del Nord.

4) CELTICS: THEY DON’T REALLY CARE ABOUT US
In fase di pronostico, nella scorsa stagione pochissime squadre si presentavano con il credito alto quanto quello dei Celtics; ne è seguita una stagione non certo idilliaca, con il mix mai creatosi e le potenzialità mai esplose. In scia, il pronostico di questa stagione invece vede i bostoniani con pochissima considerazione: eppure la star ritenuta principale responsabile del mancato exploit, Kyrie Irving, è stata sostituita con un giocatore meno appariscente ma non per forza meno valido, soprattutto visto il contesto, come Kemba Walker. E’ vero che la partenza di Horford si farà sentire, ma il nucleo che tanto faceva ben sperare è rimasto sostanzialmente in squadra: le basse aspettative che circondano i verdi potrebbero rivelarsi il vero colpo della famigerata luck of the Irish.

5) MI CHIAMO KAWHI, RISOLVO PROBLEMI
Agli Spurs aveva incarnato la transizione fra lo storico trio e il nuovo corso, ai Raptors ha trascinato quasi da solo la franchigia al più grande risultato mai ottenuto (e che probabilmente sarà ottenuto in breve tempo). Ora Kawhi tenterà la missione estrema di condurre all’anello la compagine per eccellenza più sfigata dell’intera Lega, al di là dei suoi componenti (anche se la transizione fra Paul + Griffin + Jeorge a Paul George + Harrell + Lou Williams sembra rappresentare un guadagno per i Clippers): riuscirà nell’impresa di eguagliare “Big Shot” Robert Horry e John Salley vincendo tre titoli in tre diverse città? Aggiungere questa medaglia darebbe al già ricco palmares del californiano un carattere di magnificenza difficilmente uguagliabile: per quanto complicato, sembra che la fortuna sia sempre pronta, se serve, a dare al numero 2 una spintarella…


Abbracciamoci tutti e vogliamoci tanto bene: la NBA è tornata.

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