A che punto è la stagione NBA?

C’è stata la trade deadline, dove tra scambi di sostanza ed altri di facciata, ci siamo visti i Pelicans che trollavano i Lakers su twitter e Magic Johnson che ha offerto anche la propria casa per avere Anthony Davis.

C’è la tradizionale pausa per l’All-Star Game, da sempre uno spartiacque per le stagioni NBA.

Ci sono stati milioni di post sui social che hanno diviso i sostenitori di Harden dai suoi detrattori, con una foga vista raramente in passato a queste latitudini.

Ci sono stati gli scazzi tra Draymond Green e Kevin Durant.


C’è stato purtroppo l’infortunio di Oladipo, che toglie probabilmente di mezzo una delle contender più credibili della Eastern Conference.

Insomma, si sono già visti diversi eventi degni di nota in questo 2018/2019 della Lega e in redazione abbiamo fatto delle considerazioni, com’è nostra abitudine, tra un boccale di birra e un tiro libero di Harden.


Si è parlato un sacco di James Harden, dei suoi viaggi in lunetta e di tutto quello che ci ruota attorno. È una superstar troppo tutelata, è il suo tipo di gioco, è il mare che impetuoso al tramonto salì sulla luna… Insomma, Harden sì o Harden no?


(Davide Piasentini) Harden si, sempre e impetuosamente si.

Il suo gioco è personale ed estremamente affascinante dal punto di vista individuale.

Il suo isolamento con step back three rappresenta, in tutto e per tutto, la contemporaneità della NBA e, in un certo senso, anche la sua narrazione epica.

Per quanto riguarda i suoi viaggi in lunetta e la “tutela” da parte degli arbitri, si potrebbe disquisire all’infinito. Mi limito a sottolineare che ogni riflessione finalizzata a migliorare la gestione dei fischi all’interno di una partita mi trova, quasi sempre, d’accordo.

Discuterne educatamente, senza strumentalizzare il tutto attraverso la propria “simpatia” o meno sul giocatore o sulla squadra, non può che far bene alla lega americana.

Ad Harden vengono fischiati anche falli che mi trovano profondamente in disaccordo? Si.

L’andare in lunetta ripetutamente “falsa” in qualche modo le sue statistiche? No, l’impatto sarebbe lo stesso a livello di numeri (basta fare un controllo incrociato).

Harden è tutelato dagli arbitri? Si, come tante altre superstar.


(Roberto Gennari) Oh, gente, alla fine non resta che arrendersi. Cioè, alla fine i Rockets hanno fatto una partenza di stagione quasi disastrosa (11-14 dopo 25 gare) e adesso sono abbastanza confortevolmente in zona playoff.

Tira tanti liberi? Sì, quanti ne tirava MJ nel 1987 quando segnò 37,1 punti a partita.

Non ha avuto Paul per un bel pezzo? Amen. Catch and shoot.

Andrebbe migliorata la percentuale da tre? Sì, ma non dipende da lui, o almeno, non solo.

Perde tanti palloni? Vero.

Difende sporadicamente? Vero.

Tutto vero. Però lui se ne frega, continua a prendere, tirare, segnare. La realtà è che forse ci siamo semplicemente un po’ assuefatti alle sue magie. Non sarà un giocatore che vincerà mai un titolo? Il tempo ce lo dirà.


(Marco Antonio Munno) Se fosse facile, lo farebbero tutti. E invece, di giocatore che crea vantaggi con la sua impressionante continuità in tutti i modi possibili, dal tiro da fuori alla penetrazione e che non sia egoista ma punisca gli aiuti difensivi (appurato che 1 vs 1 non sia sostanzialmente possibile fermarlo) ce ne sta solo uno.

Fermarsi a guardare qualche episodio senza accorgersi di come tutti gli accessori intorno siano funzionanti, perchè il motore che li attiva è eccezionale, corrisponde a guardare il dito quando si indica la luna.

Può piacere o meno, ma dal punto di vista di ciò che crea per sè o per gli altri, fermarsi alla seconda striscia di partite più lunga di sempre con almeno 30 punti realizzati è quasi riduttivo.


(Giacomo Manini) Per rispondere a questa domanda attingo a piene mani dal Vangelo secondo Flavio Tranquillo.

Il punto non è essere pro o contro Harden, io osservo ciò che fa e mi rendo conto non sia mero “talento”.

Non è che quando ha preso una palla da basket in mano sapeva fare lo step back a destra o a sinistra, ci ha lavorato tanto. Ha una capacità di sviluppare una pallacanestro solipsistica che pochi hanno.

Per il discorso viaggi in lunetta, non possiamo ridurre a 2-3 episodi una partita, una stagione, una squadra, un giocatore, solo perché è divertente discutere su Harden sì-Harden no, sulla base di 7 clip e 4 post, questo tipo di approccio per me è inaccettabile.

Mi sento di aggiungere solo una cosa sul suo stile di gioco: Harden gioca un miliardo di isolamenti non solo “perché gli va”, ma anche perché sa che la sua squadra ha bisogno di lui per almeno 82 partite, e se lui vuole/deve performare ad un certo livello, non può spingere sull’acceleratore attacco e difesa per ogni possesso e quindi tenere tanto la palla in mano.

Accontentarsi di alcuni tiri forzati e riposare andando in lunetta, sono degli espedienti più che funzionali alla causa.

Questo stile e quello ideale di D’Antoni sono esattamente ciò che metterei sul dizionario alla voce SINCRETISMO.

Gli scivolamenti difensivi, le penetrazioni in area, i blocchi, i tiri in sospensione, gli isolamenti, la comunicazione difensiva, sono tutti elementi della pallacanestro.

Se ti piace questo sport, vedere l’esecuzione al massimo livello possibile di ogni elemento deve essere un piacere.


(Alessia Malfettone) Harden… ni.

E’ fuori ogni ombra di dubbio un giocatore fenomenale, con diverse armi a sua disposizione nel suo arsenale, in primis uno step back da tre punti abbastanza letale, discreto palleggio e una straordinaria abilità nel cambiare velocità, dote non comune a tutti;

è in grado di caricarsi la sua squadra sulle spalle a suon di quarantelli e cinquantelli a serata.

D’altra parte è altresì vero che è un giocatore che usufruisce molto del tiro dalla lunetta (con 11.9 tentativi a partita), tanto da poterlo forse etichettare anche “tutelato” dalla lega e dagli arbitri, e che quindi spesso ha un tabellino che non corrisponde proprio ad un’altissima qualità di gioco;

si può inoltre osservare che la gran parte dei suoi punti non provengono da assists, anzi, a volte sembra quasi giocare uno contro cinque, che per quanto dimostri la sa forza individuale, mal si concilia con il basket che è essenzialmente uno sport di squadra.

In conclusione la giuria non è ancora convinta su Harden.


(Gianluca Viscogliosi) Difficile iniziare, argomentare e concludere un discorso riguardante James Harden senza far riferimento a The Unguardable Tour, il teatro dell’irreale che ha messo in piedi dopo essere rimasto praticamente solo sul parquet del Toyota Center a causa degli infortuni dei compagni.

Harden sì, partiamo da qui, soprattutto se parliamo di capacità realizzativa, leadership e impatto sulla sua stagione e su quella della squadra.

E la vagonata di record individuali raggiunti e frantumati in queste prime 50 e spicce partite di RS ne sono una prova inconfutabile.

C’è però quella parola ‘INDIVIDUALI’ che ci fa andare cauti: un sì con riserva, perché dopo i PO dello scorso anno Houston ha giuste e condivisibili ambizioni di provare lo step over. Chissà però se anche lo step back più barbuto d’America sia in attesa, come tutti, che l’estate scombussoli il panorama NBA e perturbi il cielo sereno sopra Curry e compagni.

Potrebbe in questo senso ‘accontentarsi’ di un altro premio da MVP e di un’altra convincente cavalcata playoff.

Ma ce lo vedete voi, quello lì con la barba, ad accontentarsi?



Di solito, comunque, dopo la pausa dell’All Star Weekend comincia un’altra stagione: chi farà passi avanti e chi indietro, e perché?

(DP) Mi aspetto una grande lotta a Ovest, dove vedo come assolute certezze solamente Warriors e Thunder.

Per le altre, chi più chi meno, ci sarà da sudare per ottenere un posto nei Playoffs.

Denver e Portland sono molto avanti nel loro percorso ma non devono assolutamente rallentare, mentre mi aspetto passi avanti dai Lakers e continuità dagli Spurs.

A Est, nonostante gli ultimi risultati, credo che alla lunga caleranno molto i Pacers. L’infortunio di Oladipo è troppo importante per non creare ripercussioni. Se possibile, si creerà ancora più bagarre per gli ultimi posti disponibili per la post season.

Il mio euro lo spenderei per i Brooklyn Nets, nonostante l’assenza di Dinwiddie nelle prossime partite.


(RG) A Est i giochi sembrano già fatti, nel senso che a parte le posizioni nella griglia, le otto per i playoff potrebbero essere quelle attuali, con Detroit forse unica squadra capace di insidiare Miami e Charlotte.

I miei due cents per il primo posto vanno a Toronto sui Bucks, non tanto perché dubiti della bontà del lavoro di coach Budenholzer, quanto piuttosto perché vedo i Raptors come squadra più “scafata”.

A Ovest invece i giochi sono decisamente più aperti: Lakers (col rientro di LeBron e sul mercato chissà), Kings (squadra comunque molto futuribile) e T’Wolves (con un Derrick Rose davvero commovente), potrebbero insidiare l’ottavo posto ad oggi in mano ai Clippers, ma anche Spurs e Jazz non possono sentirsi completamente al sicuro.

Fa un po’ tristezza vedere che ci sono già oggi QUATTRO franchigie che hanno come unico interesse la prima scelta al draft. Amen.


(MAM) Come solito, per la restante parte di stagione le franchigie si faranno un esame di coscienza: vogliono fare i playoffs o “cassare” la stagione puntando alla prossima?

Alcune hanno già abbracciato la seconda filosofia, mentre per le prime, si scatenerà presumibilmente nelle battute finali la corsa al piazzamento: soprattutto ad Ovest, con più squadre in corsa, la situazione è fluida e vedrà tutte le squadre che non si chiamano Warriors impegnate nei calcoli per la propria qualificazione e per accoppiamenti ritenuti vantaggiosi.

A proposito: ad oggi, LeBron James sarebbe fuori dai playoffs.

Pensate che appena si rialzeranno le palle a due non passi in modalità Super Sayan per prenderseli?


(GM) Bella domanda, tendenzialmente per dare una risposta più logica ci dobbiamo servire del calendario e della lista di infortunati.

Sicuramente Indiana farà passi indietro per l’assenza di Oladipo, ma i playoff sono stati praticamente già raggiunti.

Restando ad Est direi in calo Detroit e in crescita Philadelphia che piano piano si assesterà sempre di più dopo le trade effettuate. Mentre per quanto riguarda l’Ovest è pronosticabile un buon finale di stagione per i Jazz che hanno un calendario abbordabile, da Pelicans, Grizzlies mi aspetto un ulteriore tracollo e forse i Kings potranno finire la stagione in calo, anche se sono la squadra meno pronosticabile della NBA.

Le due franchigie di Los Angeles verosimilmente termineranno la stagione in modo diametralmente opposto, i Clippers non hanno più come obiettivo il raggiungimento dei playoff; mentre i Lakers spingeranno al massimo per assicurarsi uno spot in postseason.


(AM) Superato il traguardo di metà stagione (e la tradeline), sia ad Est che ad Ovest, ci saranno chiari obiettivi per ogni squadra che condizioneranno la classifica: c’è chi si darà al tanking sfrenato come Knicks, Cleveland, Chicago, Atlanta, Phoenix;

chi si troverà a metà strada tra sconfitte ricercate e semplicemente incapacità di vincere come Orlando, Detroit, Washington, Memphis.

E Chi proverà a strappare un pass per la post-season come Dallas, Minnesota, Sacramento; poi chi vorrà semplicemente ottenere il miglior record per partire con il fattore campo ai playoff come Toronto, Boston, Philadelphia, Milwaukee, Golden State, Houston, OCK, Denver.

Infine tutte le squadre che cercheranno di ottenere il miglior piazzamento possibile come Indiana, Brooklyn, Miami, Charlotte, Lakers, Clippers, San Antonio, Portland e Utah.


(GV) Abbiamo assistito a una trade deadline tra le più scoppiettanti di sempre, causata a est dal vuoto di potere lasciato sia dall’addio di LeBron, sia da una difficoltosa stagione dei Celtics.

Elementi questi che hanno fatto accendere la spia del NOW OR NEVER sugli spogliatoi di alcune franchigie.

C’è Phila, che ha accelerato il processo quest’anno prima con Butler poi con Harris; oppure Toronto, con l’opera ‘Convinciamo Kawhi’ rinverdita dall’arrivo di Gasol. Ma ancora Milwaukee, con Mirotic ottimo nei momenti in cui Lopez potrebbe soffrire quintetti e avversari più piccoli.

Da amante dei fari spenti però, la curiosità non può che non andare a ovest, alle vicende dei Mavs.

Affascinato dalla futuribilità dell’euro duo Porzingis-Doncic, sarà interessante capire e osservare la gestione prettamente mediatica di Carlisle e Cuban, ovvero di quello che sarà il percorso verso l’estate più importante per la storia recentissima dei Mavs.


P.S. Lacrimuccia teutonica per il farewell tour di Dirkone nostro :’(



La NBA delle partite giocate a mille all’ora è un fenomeno passeggero, una cosa destinata a durare, un’evoluzione del gioco, un’involuzione, un complotto dei poteri forti o che altro?

(DP) Non è un fenomeno passeggero ed è profondamente orientato dai Golden State Warriors e dal loro dominio in questa lega. Chi vince detta legge, da sempre.

Credo non si tornerà più indietro in tal senso e la NBA stessa, con le ultime modifiche del regolamento, sembra andare verso questa direzione. Prediligere l’alto numero di possessi, gli attacchi sulle difese e, soprattutto, lo spettacolo.

La pallacanestro “Run and gun”, ora, non si vede più solo al playground.


(RG) Io non lo so se il gioco si evolve o si involve, non me ne intendo abbastanza.

Credo tuttavia che la parte essenziale del basket dal punto di vista offensivo sia creare un vantaggio sull’avversario e sfruttarlo al meglio. Shaquille O’Neal ai Lakers era un vantaggio, così come lo era stato prima di lui Kareem Abdul-Jabbar, ed è perfettamente logico impostare un set offensivo su un giocatore che ti sposta così tanto gli equilibri, per dirla alla Bonucci.

Oggi, al netto di Steph Curry che è un giocatore difficilmente riproducibile, se non per certi aspetti dal già citato Harden, a creare un vantaggio è lo sfruttamento sempre più rapido delle situazioni di transizione, perché attaccare una difesa schierata è sempre un casino.

Poi magari ci saranno dei giocatori che fanno saltare il banco, penso tipo a Ben Simmons o a Jokic, ma è tutto da vedere.


(MAM) E’ nella natura umana cercare l’imitazione di ciò che ha successo.

Da quando i Warriors hanno mostrato come la strada tracciata dai Suns dei 7 seconds or less potesse portare al trionfo e non solo a tanti highlight, si è scatenata l’emulazione.

Se alcuni concetti cestistici sono trasversali, come le spaziature o il maggior ritmo che porta ad un numero di conclusioni (e quindi di possibilità di segnare) proporzionalemente maggiore, applicare un copia&incolla non garantisce certo la resa dell’originale: di giocatori dalle stesse qualità di Steph Curry non ce ne sono così tanti in giro.

Quando qualcuno avrà il coraggio di proporre un’alternativa (come ad esempio i Grizzlies ad inizio decade), come solito, si scoprirà che le risposte in uno sport di situazione, non possono essere sempre le stesse, quando per loro natura le situazioni non sono immutabili.


(GM) Risposta seria: un complotto dei poteri forti.

Risposta fantasiosa: sicuramente una forte influenza sul pace l’ha avuta il cambio del riciclo del cronometro dai 24 ai 14 come in ambito FIBA.

Questo ha di per sé aumentato il numero di possessi a disposizione.

Un altro fattore che ha concorso in questo cambiamento è il ragionamento che hanno fatto molte franchigie di basso livello. Partendo dal presupposto di non avere grandi giocatori di talento offensivo puro nel roster, è più facile produrre avendo molte chance offensive e stancando/prendendo di infilata le difese avversarie (Hawks primi con 104.94, Kings 104.08, Thunder 104.08, Lakers 103.69).

Questo è un tipo di ragionamento che ha senso e avrà sempre più senso con il continuo aumentare delle doti fisiche e atletiche degli sportivi, chiaramente si possono avere dei principi di base, però poi devono conciliare con le caratteristiche dei giocatori.

Non so dire se è un bene o un male e francamente non mi interessa, è un cambiamento interessante e come tale è bene starci attenti e analizzarlo.


(AM) Guardare una partita NBA in questi giorni significa non strabuzzare più gli occhi quando si leggono punteggi da All Star Game, anzi è quasi strano quando le partite non finiscono con score altissimi: ormai si viaggia ad una velocità impensabile fino a qualche anno fa.

Ma non bisogna stupirsi più di tanto, questo è uno sport in continuo cambiamento, nuove tendenze sono sotto i nostri occhi ogni giorno, quello che vediamo oggi sarà diverso certamente da quello che si vedrà tra dieci anni, ma non per questo meno bello o meno apprezzabile.

Qualche purista storcerà il naso e dirà “e ma prima il basket…” dimenticando che il “loro” basket era già cambiato rispetto alla generazione precedente e così via.

Apprezzare questo sport significa capire che non è statico, ma dinamico e rendersi conto che i cambiamenti non sono involuzioni ma semplicemente novità che sono parte della storia del gioco.


(GV) L’ipotesi dei poteri forti mi piace: ha sempre il suo fascino, specialmente nella terra del pastafarianesimo, del big foot, di Walt Disney massone e dell’occhio nella piramide nella banconota da un dollaro!

Ma torniamo al basket.

Si corre molto in questa NBA: aumentano il numero di possessi grazie anche al riciclo a 14 e non più a 24 secondi del cronometro, si tira quindi di più e in maniera più frequente, soprattutto da tre, con una attenzione difensiva non sempre al massimo.

Warriors ha dato un input forte a questa evoluzione, soprattutto Curry, con la sua interpretazione del gioco. Un’interpretazione figlia del sistema di Kerr e delle caratteristiche fisiche e tecniche di Steph.

Un’interpretazione spesso criticata, ma che ha affascinato la lega, la quale contestualmente spostava l’attenzione su specificità fisiche diverse da prima. Addio big man classici, benvenuti lunghi capaci di correre, aiutare sui cambi e con un buon range di tiro;

sdoganato il 3-and-D, oro per coach e franchigie, con mani calde sugli scarichi.

Un’evoluzione del gioco questa. L’ennesima, non la prima e neanche l’ultima. Cambierà, muterà ed evolverà. Come tutto! That’s the game…



Un pronostico secco: chi arriva in finale NBA, chi vince il titolo e perché proprio i Golden State Warriors?

(DP) Io dico Boston Celtics e Golden State Warriors. Se Green, Cousins e Durant non si picchiano in spogliatoio e non fanno a cazzotti con le proprie personalità, non vedo possibile un risultato diverso dal three-peat per i ragazzi di coach Kerr.

Il tutto, ovviamente, al netto di possibili infortuni che, la storia ha insegnato, possano cambiare totalmente il senso di ogni serie di Playoffs.


(RG) Su come i Golden State Warriors possano perdere il titolo abbiamo già disquisito qualche tempo fa.

Mi piacerebbe che Paul George (fin qui il mio MVP), Steven Adams e Russell Westbrook confezionassero uno scherzetto ai Warriors, ma in una serie di 7 non credo che né loro né i Rockets ce la possano fare.

Su chi sarà lo sfidante, fino a prima della trade deadline avrei probabilmente detto i Boston Celtics nonostante tutto, perché boh, su Philadelphia continuo a non essere convinto del tutto, e i recenti movimenti di mercato mi portano a pensare che siano anche un po’ loro stessi i primi a non “Trust the process”.

Ora con l’arrivo di Marc Gasol ai Raptors, punto il mio deca su Toronto perdente in finale NBA.


(MAM) L’obiettivo dei Warriors è di raggio più ampio rispetto a quello del resto delle squadre della Lega: non vogliono essere la miglior squadra della stagione, ma vogliono essere una fra le migliori squadre di sempre.

Con questa ossessione, ovviamente escludendo gli infortuni, semplicemente il roster costruito è coerente con la filosofia suggerita dalle caratteristiche delle proprie super stelle;

chi arriva dopo (leggasi Cousins), per quanto possa aver qualità, diventa costretto a piegarsi alle regole cestistiche sperimentate già con successo.

Ad Est, la squadra che forse meglio si accoppia con l’armata di Kerr per il personale umano a disposizione sono i Celtics;

tuttavia, la loro discontinuità potrebbe essere pagata, quando nella stessa Conference è presente una squadra dalle tante armi come i Toronto Raptors, che se non bastasse è in totale modalità win-now visto il possibile saluto del miglior giocatore mai visto nella franchigia Kawhi Leonard e la carta d’identità del nuovo arrivo Marc Gasol.


(GM) In finale arrivano i Golden State Warriors con i Toronto Raptors.

Ad Est c’è tantissima competizione, per un motivo o per un altro sono tante le squadre a poter andare fino in fondo e a non poterlo fare per altri motivi.

Semplificando: Phila la vedo in grado di dominare una serie contro chiunque, ma non ancora pronta a vincere 3 serie playoff consecutive di livello. I Bucks sì perché hanno un coach grandioso e un dio greco in squadra. Ma anche no, perché il dio greco non è ancora pericoloso al tiro e ai playoff le difese si estremizzano.

I Celtics hanno il roster più lungo, hanno un grande closer, un allenatore superlativo e l’anno scorso sono andati a centimetri dalle Finals, ma non so quanto questo roster riuscirà ad amalgamarsi al meglio e a trovare delle rotazioni vincenti ai playoff. Dopo i Raptors sono comunque loro i miei favoriti ad Est.

Vincerà però Warriors perché nessuno è in grado di batterli 4 volte su 7 in condizioni normali, poi un anno si è fatto male Curry, un anno i Rockets si sono giocati gara 6 e 7 senza Chris Paul, un anno Green si è fatto squalificare per una partita decisiva e LeBron&Co. hanno messo insieme una rimonta storica.

Insomma nei playoff c’è sempre (o quasi) un momento di panico e non è scontato che i più forti riescano a superarlo. In condizioni normali non c’è storia, ma le condizioni normali sono tutt’altro che la norma.


(AM) Quest’anno finalmente la finale NBA non è più scontata: o meglio, la finalista ad Ovest rimane la stessa, i campioni in carica dei Warriors, ma ad Est non ci sarà più Cleveland guidata da LeBron ma presumibilmente una tra Boston, Toronto e Philadelphia.

Se dovessi chiudere gli occhi in questo momento e immaginarmi Gara 1 delle Finals, vedo Steph Curry tirare una tripla dal logo in faccia a Kawhi Leonard. Poi vedo Kevin Durant schiacciare a tutta velocità, vedo Klay Thompson chiudere tutti con la sua difesa.

Posso immaginare anche Gara 2, Gara 3 e così via fino a raggiungere una combattutissima Gara 7 che vedrà portare a casa l’anello a Steph e compagni;

e chissà se per la prima volta non riesca a portare a casa anche il premio di MVP delle Finals. Si, la finale non sarà scontata, ma il risultato probabilmente sì: long live the Warriors dynasty!


(GV) Aspetta: quindi devo dire per forza Golden State Warriors? Non ho capito…

Facciamo così allora: perché Warriors è la favorita?

Perché hanno ancora la squadra, intesa come insieme di individualità tecniche e insieme di meccanismi tattici, migliore delle 30.

Hanno aggiunto Cousins, uno dei tre migliori centri della lega – quando è in condizione psico-fisica giusta – e Jerebko dalla panchina è un lusso per pochi. Inoltre anche i ragazzi della baia sanno che questo potrebbe essere l’ultimo anno della magia: le situazioni contrattuali spinose sia di Boogie sia di Durant, le carte di identità ingiallite di Livingston e Iguodala, le continue intemperanze di Green e le lusinghe losangeline per Thompson.

Questa sensazione generale da ultimo ballo, chissà, potrebbe ulteriormente motivare gli Warriors e azzerare la concorrenza.

Quale può essere la concorrenza? Chiudiamo così allora. I Bucks. Giovani, freschi e pazzi. E poi volete mettere che spettacolo Giannis alle Finals?!



Come dite? C’è stato l’All-Star Game? Ecco, sì, una cosa: come si potrebbe rendere la Partita delle Stelle un po’ meno circense e un po’ più “vera”? In MLB per un breve periodo si era tentato l’esperimento “chi vince l’ASG ha il fattore campo a favore nelle World Series”: sareste favorevoli ad una cosa simile anche nel basket?


(DP) L’unica cosa che mi viene in mente sarebbe quella di dividere le squadre in USA e Resto del mondo ma, onestamente, non credo sia da dare per scontato l’impegno dei giocatori coinvolti nemmeno in questo caso.

L’All Star Game è un evento che riveste, oramai, un significato quasi esclusivamente mediatico e commerciale. Difficile, forse impossibile, invertirne la tendenza in maniera drastica.


(RG) Io tendenzialmente sarei favorevole a provare l’esperimento MLB, anche se alla fine nel baseball si era tornati indietro perché i proprietari non erano felicissimi di far scegliere il fattore campo ad una parata di stelle.

Credo che molto stia al carattere dei giocatori: negli anni 90 gli ASG erano partite “vere” perché c’era gente che non ci stava a perdere neanche a briscola, oggi si predilige lo spettacolo fine a sé stesso ed è abbastanza normale che una partita del genere si trasformi in una esibizione degli Harlem Globetrotters. Che vi devo dire? Una nottata in meno da passare svegli…


(MAM) Dare il vantaggio del campo alla vincente porterebbe a recriminazioni sulla composizione delle squadre, sul livello magari diverso per Conference, sui vari infortuni. Premi in denaro potrebbero forse motivare, ma per chi guadagna milioni di dollari, un versamento ulteriore farebbe la differenza come un riccio in più nella capigliatura di Branduardi.

D’altro canto, chi glielo fa fare ai giocatori di rischiare il resto della stagione per una gara che resta fine a sè stessa, che interessa ai tifosi per una competizione fra le stelle in una partita che di natura non lo è, e quindi difficilmente la susciterà? Sinceramente, memore del suo passato glorioso, ad oggi sarei netto: abolirei l’intero All Star Weekend.


(GM) Sarei fortemente contrario e probabilmente farei tutto ciò in mio potere per contrastare una decisione del genere.

L’All Star Game non deve minimamente influire nell’esito dei playoff NBA perché è un’altra cosa!

Già mi fa parecchio strano che i contratti dei giocatori presentino ‘bonus’ per la partecipazione o meno all’evento e sono cose che incidono sul salary cap e quindi sulla franchigia in generale. Per renderla meno “circense”, ammesso che si voglia farlo perché si può benissimo non vedere o vedere di sfuggita senza lo spirito critico di una comune partita NBA e finisce lì.

Un incentivo serio può essere solo economico a mio avviso. Piccoli incentivi invece sono il cambiamento del formato, da conference a capitani, oppure l’istituzione di un premio MVP difensivo della partita, o far apparire la squadra vincitrice sulla copertina di una versione speciale di NBA2K o fare USA versus Resto del Mondo o qualcosa del genere.

Io sono convinto che la NBA fosse già in difficoltà per le recenti edizioni “pre-capitani”, ma allo stesso modo credo che alla lega non convenga una partita giocata al massimo, con il rischio di infortuni più elevato e meno intrattenimento.

Un tempo era diverso perché l’All Star Game era una vetrina per la NBA, ora invece non è più quella la leva da mostrare per attirare nuovi fan, ma serve per far spendere tanti soldi in pubblicità, merchandising e far divertire il pubblico (specialmente molto giovane) poco interessato al basket giocato.

L’obiettivo della lega è farla diventare una manifestazione festosa con una partita che intrattiene per un paio d’ore, permettendo l’inserimento di numerose inserzioni pubblicitarie.

Quindi tutto sommato basta fare meglio degli ultimi anni senza bisogno di rivoluzioni.


(AM) L’All Star Game, come del resto questo sport, è cambiato abbastanza in questi anni e spesso la competitività è scesa per lasciare libero spazio allo spettacolo, rendendo questo evento sempre più godibile per i fan.

L’idea di mettere “in palio” il fattore campo per chi vince questa gara sarebbe poco fattibile, perché questo presupporrebbe che solo giocatori di squadre playoff siano ammessi all’evento e che le squadre siano organizzate in un certo modo, e inoltre poco godibile, in quanto l’ASG è e deve rimanere un evento di intrattenimento, staccato dalla stagione regolare o la post-season.

Se si volesse rendere più competitivo l’evento ci sono altri modi: ad esempio la squadra vincitrice potrebbe essere riconfermata in blocco per l’anno successivo, bypassando così voto popolare, media, giocatori e coach, oppure si potrebbero ottenere dei bonus e così via.


(GV) Chiariamo il primo punto all’ordine del giorno per il nostro personale Restyling Crampistico dell’ASG: bisogna vendere canotte e alimentare il mercato, ne siamo consapevoli.

Per quale motivo però non giocare la partita delle stelle ognuno con la maglia della propria franchigia RIGOROSAMENTE vintage? Magari facendo scegliere ai tifosi con sondaggi social, televisivi o direttamente negli impianti, quale debba essere la livrea indossata da chi scenderà sul parquet.

Mutuare invece dalla MLB la questione fattore campo ha certamente senso e darebbe quel quid in più a livello agonistico. La perplessità riguarda il discorso solito, ma non per questo meno importante, circa la componente di riposo di tutto l’All-Star Weekend, ritenuto da giocatori e da molti addetti ai lavori l’unico o comunque l’ultimo momento di relax prima del rush finale in RS e dei PO.

Inoltre sarebbe giusto aggiudicare il fattore campo sulla base di una singola partita e non su 82 partite? Butto nella mischia una proposta finale: se riducessimo un po’ il tempo della partita in modo da concentrare giocate e spettacolarità?



A cura di Davide Piasentini, Roberto Gennari, Marco Antonio Munno, Giacomo Manini, Alessia Malfettone, Gianluca Viscogliosi

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