In una delle opere più conosciute di Anthony Shaffer, benché scritta con Robin Hardy, un poliziotto viene chiamato su un’isola britannica perché c’è bisogno di lui per risolvere dei problemi in una comunità piuttosto libertina, o almeno così pare. A preoccupare è la scomparsa di una bambina.
In quel romanzo poi diventato film – si tratta di The Wicker Man -, la mentalità bigotta del protagonista si scontra con quella indigena. Alla fine sarà proprio questa differenza a portarlo verso il ruolo di vittima sacrificale.
Shaffer, deus ex machina della sceneggiatura, è morto il 6 novembre 2001.
Le coincidenze esistono perché forzatamente, vogliamo che accadano. Ecco quindi che il 6 settembre 2001 a Collecchio arriva un uomo chiamato a risolvere problemi e che, alla fine, diventerà solo un capro espiatorio: il Parma assume Daniel Alberto Passarella come allenatore.
Parma è l’isola felice del calcio italiano degli anni Novanta e inizia il ventunesimo secolo con un piazzamento ai preliminari di Champions League.
A raggiungerlo, dopo due cambi di panchina in pochi mesi, è Renzo Uliveri, che allora come adesso non può non essere citato senza scadere nella retorica del toscanaccio comunista e via discorrendo. Ulivieri compie un miracolo: risale la classifica grazie all’invidiabile talento della sua squadra e lascia in UEFA Milan e Inter.
Il 2001-02 però, parte male: eliminazione in Champions col Lille, otto punti in otto gare, zona retrocessione a un passo. Ulivieri lascia dopo un 2-2 col Verona al Tardini, agguantato in extremis grazie a Bonazzoli. La famiglia Tanzi ha bisogno di qualcuno in grado di risollevare una squadra di qualità creata per imporsi in Italia e in Europa, nonostante le pesanti cessioni estive.
Cannavaro, Di Vaio, Nakata, Lamouchi e compagnia bella hanno bisogno di un allenatore in grado di valorizzarli.
In attesa di deliberare, Tanzi sceglie Pietro ‘Gedeone‘ Carmignani, fedele di Arrigo Sacchi e nello staff ducale da circa due anni. Carmignani esordisce il 4 novembre con un 2-1 sul Perugia, doppietta di Di Vaio con rete decisiva nel recupero.
Non sarà la sua ultima partita da allenatore in gialloblu.
Ecco che il 6 novembre 2001 il Parma annuncia l’arrivo del suo uomo di vimini, Daniel Alberto Passarella. Ora, se per Ulivieri la retorica del mangiapreti con la C aspirata è stucchevole, le frasi fatte su Passarella lo sono ancor di più. I giornali italiani, nei quali sono ancora giovani le penne che in futuro stupreranno la carta stampata, accolgono l’argentino col soprannome più noto, Caudillo.
Daniel Passarella è “un sergente di ferro” nella più educata delle ipotesi, “un uomo vero con le palle” in quella più edulcorata. Quarantotto anni, ha giocato in Italia con Fiorentina e Inter, ha vinto due Mondiali con l’Argentina, ma soprattutto è ricordato per la tempra. Parla per lui il calcione dato a un giovane raccattapalle a Marassi, costato cinque giornate di squalifica e cinque milioni di vecchie lire.
A proposito di lire, a pochissimi giorni dall’entrata in vigore dell’euro, i quotidiani nostrani dimostrano di non volersi abituare al nuovo conio e lanciano titoloni sullo stipendio del sudamericano. Passarella firma fino al 2003, guadagnerà 3 miliardi all’anno con la possibilità di salire a 4. Fa il suo ingresso a Collecchio con a fianco il suo vice, Alejandro Sabella, un uomo dal volto candido che risulterà il ct dell’Argentina col miglior risultato al Mondiale dal 1991 ai giorni nostri.
Passarella è reduce dall’esperienza con l’Uruguay e prima ancora da quelle con River Plate e Argentina, non solo prima squadra ma pure selezione olimpica. Era in panchina con l’albiceleste nella assurda finale di Atlanta 1996, quando l’oro andò alla Nigeria.
Firma con il Parma dopo una serie di no, sia suoi sia di altri.
Il primo è quello all’Uruguay, si dimette non contento del rapporto con club e federazione. Il secondo arriva dall’Inter: Luciano Moggi, nella primavera del 2001, è convinto che il Caudillo sia il nuovo tecnico dei nerazzurri, i quali però vireranno su Hector Cuper. Il terzo e il quarto sono targati Parma. I ducali hanno vagliato due profili prima di Passarella, Marco Tardelli e un altro. Tardelli salta perché non c’è troppa convinzione attorno al suo nome.
L’altro è un sogno di Tanzi, ma ha già scelto il Milan. La pausa per le nazionali è foriera di esoneri, il Diavolo ha cacciato Fatih Terim e lo ha rimpiazzato con Carlo Ancelotti. Corteggiato dal Parma, Carletto sceglie col cuore e non con il navigatore satellitare e torna a Milano. Come lui, prima di lui, aveva fatto in estate Manuel Rui Costa. Da qualche parte esiste una darkest timeline in cui il Parma batte la Juventus a Manchester nel maggio 2003.

Passarella mette la sua roba nell’armadietto a Collecchio e inizia a lavorare. Come detto, c’è di mezzo la pausa per le nazionali, ciò significa due cose: notizie pazze di calciomercato (comunque inevitabili quando c’è un cambio di guida tecnica) e continue speculazioni su qualsiasi dichiarazione.
Partiamo dall’ultimo punto.
Passarella non si sbilancia troppo: “Sono convinto di poter tirare il Parma fuori da questa situazione difficile, sono contento di tornare in Italia e spero di rimanere a lungo. Posso dare molto al Parma“. Vengono tirate fuori alcune sue vecchie frasi, una delle quali si sposa bene con la mentalità italica:
La gente dimentica tutto fuorché i risultati, quelli fanno la differenza nel calcio.
Daniel Alberto Passarella
Si parla anche di calciomercato perché “un uomo di Passarella” è Ariel Ortega, transitato a Parma tra sparuti incostanti sprazzi di bellezza. L’altro profilo accostato agli emiliani va ben oltre le già citate retoriche e dimensioni spazio-temporali, è Juan Roman Riquelme. Né el Burrito né el Mudo prenderanno il volo per Parma, un po’ perché non esiste il diretto da Buenos Aires e un po’ perché sono solo illazioni di mercato.
Il Caudillo si dimostra Caudillo anche nello spogliatoio (nota a margine: non è un caso se quel soprannome lo ha avuto anche Francisco Franco). Comportamenti ligi al dovere, rispetto delle regole e no ai capelli lunghi, in linea con la verità mascherata da leggenda che lo portò a escludere Redondo dall’Argentina.
I capelli lunghi portano i giocatori a pensare a sistemarli, non si concentrano sul gioco.
Sempre lui, Daniel Alberto Passarella
In pratica porta a Collecchio la sua disciplina ferrea, che però non si sposa con i risultati (e, spoiler, non si sposerà mai).
Il 18 novembre 2001 l’esordio è il peggiore possibile, perché è senza tre titolari (Sensini, Marchionni, Bolaño) e a Torino con la Juventus. Sceglie un 4-4-2 di sostanza, lasciando per la prima volta in panchina Hidetoshi Nakata: Frey, Sartor, Djetou, Cannavaro, Benarrivo, Appiah, Lamouchi, Almeyda, Junior, Bonazzoli, Di Vaio. Entreranno proprio Nakata, Torrisi e Boghossian.
La sfida si mette male e al 9′ la difesa sfaldata del Parma lascia Trezeguet libero di segnare. La speranza si chiama Lamouchi, il quale al 23′ trova il pari con un tiro da fuori deviato. I gialloblu finiscono la partita al 39′ per un rosso ad Almeyda da parte del signor Paparesta di Bari. Passarella assiste nella ripresa al forcing bianconero, che si tramuta in 2-1 e 3-1 con Del Piero e Trezeguet nei minuti finali.
La prima da allenatore va male, ma c’era da aspettarselo.
Le polemiche per l’arbitraggio (una costante del Parma se si incrocia la Juventus), fanno capolino nelle pagine sportive dei giorni successivi. Nessuno si sofferma sul gioco del Parma, pressoché assente.
Qualcuno se ne rende conto in una fredda serata di Coppa UEFA, un 1-1 scadente col Brondby pochi giorni dopo, ma la testa è ormai alla sfida di Serie A del 25 novembre.
Al Tardini arriva Ancelotti col suo Milan, alla ricerca della prima imposizione in A da allenatore dei rossoneri. Passarella sceglie ancora una volta un Parma accorto e raccolto, il suo 4-4-2 scolastico fa a meno della fantasia, ma riaccoglie Boghossian tra i titolari. Lo stadio sembra più interessato ad Ancelotti, ma quando Borriello fischia l’inizio, tutto il Tardini vuole spingere il Parma alla vittoria, o quantomeno a un riscatto. Che non arriverà.
Un Milan senza Costacurta, Maldini, Gattuso, Pirlo e Ambrosini (e con Donati, Davala e Chamot) vince con un gol di testa di Inzaghi, lasciato solo su calcio piazzato. Il Parma calcia solo da fuori e solo dopo azioni personali. Lo spirito di gruppo richiesto da Passarella non si vede, neppure dopo il rosso a Davala. Due partite, due sconfitte.
Il Parma non fa punti e non brilla. C’è chi ricorda come Passarella sia da sempre avversario della fantasia e del talento, non solo per il suo gioco duro, ma anche per la presunta inimicizia con Maradona. Il calcio di Passarella è per uomini veri – “Non convocherò mai calciatori gay” disse ai tempi dell’albiceleste – ma, purtroppo per lui, in campo sono i piedi a parlare. La panchina non scricchiola, ci mancherebbe altro, ma ai piani alti si aspettano qualcosa in più.
“Arriveremo al quarto posto” è la frase attribuita a Passarella che i media tirano fuori beffardamente in quei giorni.

La partita del cambio di passo è (e deve essere) Udinese-Parma, domenica 2 dicembre al Friuli. I ducali sono in zona retrocessione, non accadeva da anni. Il Caudillo, come tutti gli uomini veri, non cambia le proprie idee tattiche e schiera un altro Parma granitico, ma meno sterile. Al 4′ i gialloblu sono avanti 0-2.
La scelta di Mboma titolare premia, così come la difesa altissima di Hodgson: sono i fattori che portano Di Vaio a segnare una doppietta lampo e a far esultare Passarella, sempre elegante in panchina. A fine primo tempo Muzzi ha già ristabilito la parità grazie a due orrori della difesa parmense, nella ripresa il 3-2 dell’Udinese è una prodezza di Jorgensen. Dopo i due gol il Parma si spegne, lasciando l’Udinese a comandare: nessuna tenuta né mentale né difensiva. Tre partite, tre sconfitte. Passarella è agitato.
La Coppa UEFA fa rifiatare: a Copenaghen il Parma schianta 0-3 il Brondby e va agli ottavi. Non è un caso che vinca schierando un po’ più di qualità (leggi, Nakata titolare). Passarella sarà come sarà, ma probabilmente sa leggere tra le righe.
L’impietoso calendario lo mette di fronte alla Roma il 9 dicembre e il mister argentino cambia, poco ma cambia. Se il ventunesimo secolo è contraddistinto dalla scomparsa dei dogmi, lo si deve anche all’inserimento di un trequartista nell’undici titolare di quel Parma? Probabilmente no, ma è lecito concedersi il beneficio del dubbio.
I giallorossi inseguono Inter e Chievo in classifica, il Parma è quartultimo con undici punti. Nell’ultimo confronto i gialloblu hanno fatto da camerieri in livrea alla festa Scudetto romanista, ora servono punti e Passarella lo fa presente nelle interviste prima del match. La Roma domina, ma al 30′ Falsini crossa in mezzo, Mboma si scontra con Antonioli e San Marco Di Vaio mette in gol. Come sia successo non si sa, ma il Parma è vivo e sembra un’altra squadra. Almeno fino alla ripresa, quando sparisce – costante del passarellismo.
Assunção al 49′ rende merito alla fama di campione di Paperelle di cui parlerà Totti in un libro quasi vent’anni dopo e pennella una punizione al sette; Fuser al 77′ segna il gol dell’ex da lontano con deviazione di Cannavaro. Nel mezzo, il Parma torna indietro a difendere e lo fa malissimo. A fine partita arriva il ko, quarto in quattro gare per il mister ex River.
Questo Parma non va, è sceso al terzultimo posto e non si capisce come faccia a non ingranare, questo si legge sui quotidiani dell’epoca.
A naso, gli addii di Thuram, Buffon e Amoroso hanno pesato. Tanzi, convinto di aver preso un campione come allenatore, comincia a pensare di aver sacrificato non solo un candidato in panchina ma anche diversi soldi.
In una notte Mary Shelley concepì Frankenstein. La stazione di Nanlong, in Cina, è stata costruita in nove ore. Georges Simenon completava i romanzi in poco più di una settimana. Un mese e dieci giorni dopo il suo arrivo, alla quinta panchina in Serie A in carriera, Daniel Alberto Passarella è già a rischio esonero.
Un preludio della società iper veloce e dinamica di oggi.
Il Parma deve vincere contro l’Atalanta di Vavassori e, per farlo, può di nuovo contare sui rientranti Diana, Micoud e Bolaño (purtroppo Jorge e non Roberto).
“Il parmigiano lo grattugiamo” scrivono i tifosi della Dea, profetici. In tribuna siedono Cesare Maldini e Arrigo Sacchi, e non è un buon segno visto che entrambi sono allenatori senza squadra. Passarella, con occhiali alla Venditti, schiera un Parma senza anima e senza neppure quella Joy scritta sulla maglietta. Berretta, Sala, Doni, Comandini. All’ora di gioco è 4-0, che diventa 4-1 grazie a Micoud. È una vera e propria umiliazione, che vale il penultimo posto in classifica.
Il 19 si gioca a Torino il recupero della sesta giornata – rinviata per uno slittamento di gare di Champions dovuto all’attentato alle Torri Gemelle – ma già il 18 dicembre Daniel Passarella non è più l’allenatore del Parma.
“Il Parma calcio comunica che, con decorrenza immediata, il signor Passarella – dice un comunicato della società emiliana – è stato sollevato dall’incarico di allenatore. Il Parma calcio coglie l’occasione per ringraziare il tecnico e il suo staff per il lavoro svolto in questo periodo“.
Passarella non la prende bene, ma si intasca comunque una succosa buonuscita: si parla di cinque miliardi di lire per cinque sconfitte in cinque partite. Quarantatré giorni di lavoro, uno in meno di Clough nel Maledetto United, il Leeds.
“Col Torino parlerà il campo – dice -. Sono sorpreso e deluso, come è deluso Stefano Tanzi“. Poi qualche parola di conforto, da uomo vero, benché esonerato dopo una figuraccia: “So che il Parma non retrocederà e andrà avanti nelle coppe“.
della mia assenza
vedi, ho pagato già
il mio soldo di verità
Il bilancio dell’esperienza di Passarella al Parma è fallimentare.
L’uomo che le grandi italiane volevano come allenatore diventa un tecnico qualunque, per non dire un reietto. Se ne va da Parma a testa alta perché glielo impongono il personaggio e la narrazione che ci sta dietro, ma non c’è niente di cui andare fiero.
Prima di lasciare, però, si toglie qualche sassolino: “Pensavo di avere ancora due partite a disposizione. Il calendario adesso è migliore di quello che ho trovato io. Il male del Parma? Sto zitto, è meglio, in società c’è una situazione controversa. Quando sono arrivato la squadra era quartultima, non prima in classifica“.
L’ha presa quartultima, ha perso tutto quello che c’era da perdere, è arrivato penultimo ed è rimasto a undici punti in quattordici giornate, meglio solo del peggior Venezia di sempre.
La squadra passa a Gedeone Carmignani, in attesa – si dice – di Mauro Tassotti. Come Rui Costa e Ancelotti, ma come pure Toldo, il Tasso tra Milano e Parma sceglie Milano e la storia gli dà ragione.
Come è finita la stagione del Parma?
Carmignani salva la squadra e vince la Coppa Italia, dando lustro a una stagione così così. Passarella, prima di andare in Messico e tornare al River Plate in mezzo ai guai, intasca i suoi miliardi e saluta il Tardini.
L’ultima immagine che abbiamo di lui è una gigantesca statua di vimini in fiamme poco lontano da Collecchio.

Nato e cresciuto in Toscana, con un pizzico d’Umbria. Amante dei centrocampisti completi, della letteratura italiana e sudamericana, dei primi di pesce, delle verticalizzazioni e dei piani sequenza. All’attivo collaborazioni con numerosi blog e testate calcistiche, attualmente scrive per gonews.it. Solitamente non parla di sé in terza persona.