Qualche giorno fa, sul Divano di Crampi, vi avevamo consigliato un po’ di incontri sportivi da rivedere in questo periodo di quarantena e per il football americano avevamo proposto il Super Bowl XLII tra Giants e Patriots. Partiamo da qui perché si dà il caso che i due quarterback protagonisti di quella sorprendente finale, Eli Manning e Tom Brady, abbiano intrapreso di recente una svolta decisiva nella loro vita, prima ancora che nella loro carriera. Chi in un modo e chi in un altro, i due hanno così messo fine a un’era nella NFL del terzo millennio.
Proviamo a spiegarvi perché.
Partiamo da Eli Manning, in cabina di regia per i New York Giants dal 2004. Mi è difficile rimanere imparziale senza lasciar trasparire il mio tifo per la franchigia della Grande Mela e forse, tutto sommato, non voglio nemmeno farlo, così come non voglio nascondere la mia simpatia per questo antieroe troppe volte screditato dai più, per anni vissuto all’ombra del fratello Peyton e protagonista di stagioni tormentate ma anche di assoluti trionfi. Sì, perché in fin dei conti il buon Eli è riuscito a portare a casa due titoli, pareggiando il conto con il fratello: uno al termine del Super Bowl di cui parlavo in apertura e l’altro quattro anni dopo, di nuovo contro i Patriots di Belichick e Tom Brady. Corsi e ricorsi storici: “Voglio un nemico fidato, voglio guardarlo negli occhi”, cantano i Ministri, e loro un nemico fidato l’hanno trovato l’uno per l’altro. Soprattutto Eli, che ben due volte è riuscito a battere il gigante. Entrambe le volte, infatti, i Giants erano nettamente sfavoriti: nel 2012 arrivarono all’ultimo atto addirittura da Wild Card, con tutte le difficoltà del caso. E in entrambe le circostanze, ci vollero delle giocate da assoluto fuoriclasse da parte del numero 10 (e dei suoi ricevitori, a onor del vero) per sviluppare i drive vincenti che avrebbero permesso alla franchigia di New York di conquistare il Lombardi Trophy. “Sliding doors” che voglio farvi rivedere:
Tutto questo per dire che Eli Manning, che nell’ultima stagione conclusasi il 3 febbraio col successo dei Kansas City Chiefs era stato messo in panchina per dare spazio al rookie Daniel Jones, ha annunciato il ritiro proprio al termine della stessa. Quanto meno in casa Giants, quindi, finisce un’era senz’altro altalenante ma capace di regalare due enormi gioie ai propri sostenitori e di arricchire la propria bacheca dopo i titoli del 1987 e del 1991. È quantomeno la fine di un’era per i Giants e a livello personale. Per me che ho sempre tifato per gli underdogs, gli sfavoriti, i più deboli sulla carta e che ho accolto come idolo e punto di riferimento non certo il più forte sulla piazza, ma quello capace di cogliere l’occasione, di avere la folata di classe e il lampo di genio al momento giusto, non sarà più la stessa cosa. Eli forse non sarà la storia del football, ma è la storia del mio football.
Se Eli ha rappresentato le fiammate improvvise e personifica la mia dimensione soggettiva di questo sport, Tom Brady e i suoi Patriots sono stati il fuoco costante della NFL del terzo millennio e individuano, invece, la sua dimensione più oggettiva e incontrovertibile. Dal 2000 a oggi, la squadra di Foxborough ha vinto sei Super Bowl e ne ha persi tre. Pensate, nove apparizioni in finale in vent’anni, a dimostrazione di una continuità forse mai vista nelle massime leghe sportive professionistiche americane. Ecco perché Tom, pur non ritirandosi come il suo “nemico fidato”, dà il via a una nuova epoca: non giocherà più in Massachusetts, non avrà più Belichick come head coach, non vestirà più quella maglia che ormai era come una seconda pelle. La prossima stagione lancerà per i Tampa Bay Buccaneers, nell’altra conference, e non incrocerà il suo passato, ma vederlo con un’altra “jersey” sarà comunque stranissimo, come capita sempre quando un atleta che ha legato le sue fortune a una sola squadra finisce la sua carriera in un’altra. Chi mastica football americano ricorderà che una cosa simile era accaduta con Brett Favre che, dopo una lunga carriera vissuta quasi interamente con i Green Bay Packers, portati al titolo nel 1997 vincendo il Super Bowl proprio contro i Patriots pre-Brady, passò addirittura ai rivali dei Vikings prima di annunciare il ritiro nel 2010.
Passando invece ad altri sport, un altro esempio per molti versi simile e quindi decisamente calzante è quello di un certo Michael Jordan che, dopo aver vinto, proprio come Tom, sei titoli giocando sempre e solo in una squadra, i Chicago Bulls, chiuse la carriera nei Washington Wizards.
Per i calciofili, infine, il paragone più appropriato che mi viene in mente è quello di Frank Lampard, cresciuto sì nel West Ham United, ma associato immediatamente alla maglia blu del Chelsea, con cui ha vinto praticamente tutto (tre Premier League, quattro Fa Cup, tre Coppe di Lega, una Champions League e una Europa League). Ricordate quanto fu strano vedergli fare un anno a Manchester, sponda City?
Ecco, vedere Tom Brady con la maglia prevalentemente rossa dei Bucs invece che con quella prevalentemente blu navy dei Pats sarà ugualmente straniante, ve l’assicuro. E, stavolta oggettivamente, non sarà più la stessa cosa. Brady sarà indiscutibilmente l’icona dei primi due decenni degli anni Duemila anche in un futuro lontano, e lo sarà con quella maglia dei Patriots addosso. Per par condicio, chiudo proponendovi anche una sua giocata, decisiva nel Super Bowl LI del 5 febbraio 2017, quando New England recuperò uno svantaggio di 25 punti a metà terzo quarto:
Anche in questo caso, si tratta di una giocata disperata con la provvidenziale complicità del ricevitore per una “catch” ai limiti dell’assurdo, un po’ come la Helmet Catch di Tyree di cui sopra. Eli e Tom, “nemici fidati” ancora una volta uniti nel destino. Che sia quello di riscrivere partite che sembrano andare in direzione opposta o quello di porre fine a un’era.

Classe ’92 di Arezzo, scrivo e calcio (si fa per dire) di sinistro. Tifo la squadra della mia città e ho un debole per gli “underdogs”, come quei New York Giants che sconfissero i Patriots nel Super Bowl XLII. Orfano di Kobe Bryant, del Boleyn Ground e degli Oasis, spero ancora in una loro reunion, di salire in una DeLorean come quella di Doc, di trovare il mio ombrello giallo e, mal che vada, di avere sempre una birra a portata di mano.