La Fiorentina di Prandelli brillava nelle notti europee

È il 10 dicembre del 2009 e i tifosi della Fiorentina stanno assaporando uno dei risvegli più piacevoli di sempre

Il caffè pare più buono del solito, il cornetto ancora più fresco, persino la sveglia questa volta è accolta senza fastidio. Qualche ora prima, infatti, la loro squadra aveva incredibilmente sbancato Anfield grazie ad un gol al novantesimo minuto di Gilardino che le ha permesso di ottenere la testa del girone di Champions League. Un’impresa storica che attraversa lo stesso ponte di quella di inizio duemila a Wembley contro l’Arsenal, l’ultima significativa notte europea griffata Gabriel Omar Batistuta. Quando Batigol sfondò praticamente la porta dei Gunners.

La portata di un evento simile, quindi, è ben chiara a coloro che in scooter si stanno riversando verso l’aeroporto di Peretola: sarebbe giovedì e anche l’ora di pranzo, ma mettevi nei panni di un appassionato, che, fino a sette anni prima poteva assistere ai match della “Florentia Viola” dagli spalti dello stadio di Castelnuovo Carfagnana, e che adesso ha la possibilità di celebrare la vittoria della Fiorentina su uno dei campi più iconici del mondo. Un tripudio di sciarpe, cappelli e palloncini, tutti rigorosamente viola, accoglie l’autobus con i giocatori e lo staff, è l’inizio di un tributo sincero che i video a bassa risoluzione dell’epoca sono comunque riusciti a farci assaporare in ogni minimo dettaglio le sfumature. Non può mancare la delegazione di peruviani accorsi a celebrare il proprio idolo Juan Manuel Vargas e neanche le endemiche stilettate polemiche sotto forma di striscioni del tipo, “sono in sciopero della fame contro la RAI (ormai comincio dopo le feste)”, esposto contro l’emittente televisiva, rea di non aver trasmesso la leggendaria impresa.

In quegli istanti, ognuno dei fortunati presenti si rende conto che sta avendo il privilegio di assistere al ritorno del loro club sulla mappa del calcio che conta. L’apice di un lungo e tortuoso cammino intrapreso qualche anno prima ed in grado di far risorgere una società ed una città intera dalle ceneri del fallimento. Merito di artisti, in questo caso dell’arte manifatturiera, come i fratelli Della Valle, che hanno avuto la lungimiranza di affidare la panchina alla figura in quel momento più adatta: Cesare Prandelli, per l’appunto, nell’arco di un quinquennio ha fatto sì che il “Labaro Viola tornasse di nuovo a garrire al vento, sui campi della sfida e del valore”.

Un uomo vero al comando

Intelligente, riflessivo, modi educati, toni sereni, un po’ permaloso, come chi accetta le dure prove della vita, ma non la meschinità”.

Un ritratto molto accorato quello che gli ha riservato Stefano Prizio nel libro ”1001 storie e curiosità sulla Fiorentina che dovresti conoscere”.

Il tecnico di Orzinuovi è uno di quei personaggi che trascende il mondo del calcio, uno di quelli, che, con il suo modo di affrontare la vita assolve tutti coloro che hanno passato e passano il tempo a sprecare inchiostro dietro a reportage sui festini dei calciatori o sulle loro sempre più geometriche tresche. Gli stessi ai quali fece scalpore il suo addio alla prestigiosa panchina della Roma per stare vicino alla moglie che aveva appena subito una ricaduta dal male di cui, qualche anno prima, pareva essersi sbarazzata. Manuela la conobbe neanche ventenne al bar del paese, galeotta fu la cioccolata calda, il giorno dopo la andò a prendere a scuola e da allora non si sono più lasciati. Una storia d’amore di quelle di una volta, costruite minuziosamente, passo dopo passo, capaci di trovare il perfetto equilibrio dentro un caloroso nucleo familiare arricchitosi di due splendidi figli. Pareva, in effetti, una fortezza inespugnabile, sfiorata solamente, si dice, da un unico litigio per una racchetta da tennis. Anche il più inespugnabile dei fortini, tuttavia, non può che sottomettersi alla spietatezza di un male talmente pervicace, da ripresentarsi perentoriamente una seconda volta.

Il conseguente calvario, pur consci di un destino ineluttabile, venne affrontato con trafelata dignità: si concessero, questo sì, la possibilità di venire accarezzati dal tepore del dialogo con Dio, attraverso “dolcissime chiacchierate ed emozionanti sedute di preghiera”.

Il Prandelli allenatore, che tornò a fare quello che gli riusciva meglio, ovvero allenare, era un uomo con un enorme fardello sulle spalle, così grande da prendere il posto delle cose superflue: in questo modo non fu di certo un problema gestire gli slalom tra una birreria e l’altra di Vargas, o l’animo tormentato di Mutu, perennemente sull’orlo del precipizio. Non risultò, quindi, complicato far sentire a proprio agio uno sbarbato adolescente pescato da Corvino trai Balcani, uno Stevan Jovetic diamante grezzo tra le mani di un sapiente artigiano. Inondò lo spogliatoio di ettolitri di umanità, coinvolgendo e facendo sentire protagonisti coloro che nel ciclismo verrebbero etichettati come dei “gregari”. Non a caso, il quadro che si venne a delineare a fine 2007 avrebbe fatto felici i più romantici: la miglior difesa del campionato non fu quella dei Maldini e Nesta o dei Materazzi e Zanetti, bensì quella della Fiorentina formata dalla coppia Gamberini – Dainelli, coadiuvati da Ujfalusi e Pasqual.

La provincia al potere, un gruppo compatto, eretto attorno alla figura del mister, e che si è fatto strada fino alle porte dell’Europa a suon di prestazioni da far strabuzzare gli occhi. Un calcio frizzante, propositivo, alla cui cabina di regia sedeva un ragazzo di Caravaggio (fin troppo facile l’accostamento all’artista), quel Montolivo che Prandelli trasformò in un centrocampista completo e versatile. Le sue geometrie servivano a mettere in moto la creatività dei vari Jorgensen, Marchionni, Santana, talento e polmoni al servizio delle punte, da Toni a Pazzini, passando per Gilardino.

In quegli anni divenne consuetudine che questa effervescente creatura concedesse il suo meglio durante le notti europee, impartendo lezioni in ogni angolo del continente: proprio attraverso due incontri con squadre britanniche è possibile descrivere appieno come quel gruppo sia riuscito a risvegliare in una tifoseria l’entusiasmo che pareva sopito.

Liverpool is purple

Il fil rouge che collega le scorrazzate di quel periodo è, curiosamente, la città di Liverpool. Nel luogo in cui questa disciplina sportiva ha ricevuto i crismi dell’epicità, durante memorabili funzioni all’interno delle cattedrali di Anfield e Goodison Park, distanziati l’uno dall’altro di appena un miglio.

Si è stagliata sul cammino della Fiorentina come il livello più difficile del videogioco, in cui di solito c’è da sconfiggere un mostro venuto dalle tenebre per sbarrarti il passaggio. L’impresa perfetta per fare da trampolino di lancio in caso vittoria: chiunque sia in grado di passare indenne da quelle “Forche Caudine” verrebbe catapultato nella stratosfera calcistica. Nello spazio di due anni, i ragazzi di Prandelli hanno saggiato prima l’Everton, pescato nel 2008 agli ottavi di finale della vecchia Coppa Uefa, e poi i Reds la stagione successiva.

Quell’edizione della Uefa aveva avuto luogo all’interno della tragedia personale del mister dei viola, assumendo, per questo motivo, dei contorni maggiormente significativi. La posta in palio, insomma, si era ribaltata all’improvviso: ogni punto conquistato si tramutava in una carezza al suo animo ferito. Superato il girone senza troppi patemi, come detto, il sorteggio non si rese affatto benevolo, andando a pescare i Toffees di David Moyes, reduci da sette vittorie in altrettante partite in terra europea. Un coinvolgente racconto dei commentatori di La7, che all’epoca deteneva i diritti della competizione, per una sera dipinse la Penisola di viola: venne voglia di tifare per i padroni di casa, privi di Mutu, ma con Vieri e Pazzini che si diedero il cambio al centro e con Jorgensen ed Osvaldo a fare le veci del romeno.

La prima frazione non tradì le alte aspettative, rapidi ribaltamenti di fronte, con la Fiorentina abile a sfruttare le fasce per mettere in difficoltà gli avversari. Nella ripresa si salì decisamente di tono, già dai primi minuti Howard deve tirar giù la saracinesca per disinnescare le sfuriate offensive di Vieri e compagni. Il talento del portiere statunitense, d’altro canto, dovette soccombere in seguito a due conclusioni di pregevole fattura che premiarono gli innumerevoli sforzi dei toscani. Ci pensò il missile di Kuzmanovic ad aprire le danze facendo esplodere il pubblico, mentre il raddoppio vide la firma di Montolivo: il danese Jorgensen, spina nel fianco della retroguardia avversaria, scodellò a rimorchio un pallone con il contagiri che il centrocampista spedì in rete.

Fiorentina vs Everton al Franchi

Nei successivi novanta minuti la situazione si ribaltò dal momento che l’abbagliante spinta di Goodison Park travolse gli ospiti, presi d’assedio sin dal fischio d’inizio. Una costante e parossistica pressione alla porta di Frey, superato solamente da un gol fortunoso e da un colpo da biliardo di Arteta. Dopo l’ottima partita dell’andata i viola rischiarono di vedere tutto vanificato, messi alle corde dall’energia che i padroni di casa avevano mutuato dagli spalti e rovesciato in campo. Guai, però, a dare per vinti i toscani, fiorentini in primis, poiché, quando si tratta di difendere il proprio campanile non ce n’è per nessuno. Difatti un’attenta partita difensiva ed una serie di miracoli del loro estremo difensore, tra cui uno letteralmente sulla linea, trascina la contesa ai calci di rigore.

Il successivo livello del videogioco fu propedeutico per la conquista del girone di Champions League del 2010, un cammino straordinario che entrò in rotta di collisione con un nemico, lui sì realmente imbattibile e descrivibile in tre parole come fosse un haiku: Tom Henning Ovrebo.


Il passaggio del turno passava attraverso il superamento di un ostacolo sulla carta insormontabile: il Liverpool di Rafa Benitez, infatti, poteva contare sui vari Reina, Kuyt, Gerrard e Torres, il tipo di giocatori che le serate di coppa difficilmente le avrebbe sbagliate. Invece i Reds, nel delicatissimo match di andata furono surclassati dalla verve della Fiorentina, ottimamente messa in campo e disposta a tutto per uscire vittoriosa fra le mura amiche. Prandelli, privo di centravanti di peso, affidò l’attacco al solo Mutu, lasciando Jovetic libero di muoversi alle spalle, con Vargas e Marchionni larghi ai loro lati. Eccola, la chiave del match, lo scacco matto che permise al montenegrino di siglare una brillante doppietta: il primo timbro sgusciando tra gli statici difensori avversari che si sfilacciarono lasciando al centro una voragine, ed il secondo frutto di un ribaltamento di fronte delle due ali, che Jovetic premia con una zampata decisiva. Un Franchi debordante di gioia accolse questa insperata vittoria, decisiva nell’indirizzare positivamente le sorti della qualificazione.

La partita di ritorno si presentava come un incontro dai connotati più sfumati, meno carica dal punto di vista strategico e priva di molti suoi potenziali protagonisti, ma comunque densa di significati epici. Se da un lato, infatti, i viola erano già certi del passaggio del turno ed i padroni di casaretrocessi in Europa League, dall’altro i ragazzi di Prandelli avevano la possibilità di arricchire l’alquanto ingiallito libro di storia del club apponendo in prima pagina i propri nomi: ricompense di questo tipo fanno gola a degli sportivi, non c’è qualificazione o formazione rimaneggiata che tenga.

Ad aspettarli avrebbero trovato un Liverpool voglioso di vendicare la sconfitta di settembre davanti ai propri tifosi, storicamente tanto esigenti quanto trascinanti. Il ritmo iniziale fu abbastanza blando, entrambe le compagini rimasero abbottonate, preoccupandosi di non lasciar scoperto il fianco alle ripartenze avversarie. Per dare una secca svolta alla partita fu necessario un calcio piazzato finemente battuto da Gerrard, che disegnò una traiettoria perfetta per lo stacco sul primo palo di Benayoun. Sotto di una rete ed in quelle condizioni, agli ospiti sarebbe dovuto servire un carburante molto più efficace di quello che alimentava gli avversari: chiedere ad Alberto Gilardino, che due anni prima alzava la Champions sotto il cielo di Atene, ma il suo nome compariva troppo in là nei titoli di coda. Difatti all’epoca era pensiero comune che uno come Inzaghi potesse fare la differenza in notti di quel calibro, non certo il “violinista” di Biella. Un sentimento di rivalsa covato interiormente, che sbocciò al momento giusto, nella partita migliore possibile per smentire i detrattori ed imporsi come protagonista: detto fatto, nella ripresa prese in mano la squadra guidando una smodata e corale reazione d’orgoglio. Indossò prima i panni dell’assistman servendo ottimamente Jorgensen, poi, a tempo scaduto, spedì in rete il traversone di uno scatenato Vargas. Fu nell’istante immediatamente successivo al gol, in piedi sui cartelloni pubblicitari, che ebbe la percezione di essersi preso tutte le rivincite possibili, agganciando Batistuta nei centri europei con la Viola, ma soprattutto assaporando la gioia incontenibile dei 3.000 tifosi accorsi dal capoluogo toscano.

Fiorentina vs Liverpool al Franchi

Un estratto che vuole essere un omaggio ad una società, un allenatore e più in generale ad un gruppo di giocatori che ha saputo scavare una propria nicchia nella mente di tutti gli appassionati: non si può non considerare, infatti, tra i ricordi più fulgidi dello scorso decennio calcistico, le eleganti divise viola di Jovetic e compagni che si aggiravano tra le zone nobili della classifica, la parte di classifica che più si addice alla Fiorentina.


Approfondimento a cura di Lorenzo Solombrino

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