Storia del primo oro femminile alle Olimpiadi
Il difficile rapporto tra sport e stato, il ruolo del Vaticano, la famiglia cattolica, il ventennio fascista e la propaganda legata agli sportivi, le Olimpiadi naziste del 1936 a Berlino, il primo caso di fotofinish, un’amicizia che nasce alle scuole medie e culmina con una finale olimpica, una sana rivalità: tutto questo e molto altro è parte della storia del primo oro femminile italiano alle Olimpiadi, targato Trebisonda, detta Ondina Valla.
La storia di quell’oro olimpico non è una storia come le altre e lo si intuisce già dal nome, Trebisonda, non un nome come gli altri. Scelto dal padre come omaggio all’omonima città turca, in turco Trabzon,
“Mi aveva chiamato così per tutto quello che aveva letto, di affascinante e di magico, sulla città turca: io, prima femmina dopo quattro maschi, gli avevo acceso la fantasia al punto che sarei dovuta diventare tutta una meraviglia, proprio come la Trebisonda del mito”.
È nota al grande pubblico come Ondina, soprannome dovuto a un refuso di un giornalista che scrisse Trebitonda invece di Trebisonda, da quel momento qualche amico iniziò a chiamarla prima Trebit-ondina e poi semplicemente Ondina. I genitori invece iniziarono a chiamarla così solo dopo il successo ai giochi olimpici di Berlino.
Ondina era un prodigio dell’atletica, già da giovanissima si era fatta notare per delle abilità fuori dal comune e a 14 anni diventò campionessa italiana assoluta e fu convocata in nazionale, quando indossava i colori della Virtus Atletica Bologna. Primeggiare a livello italiano o cittadino o studentesco faceva poca differenza però, l’avversaria era sempre la stessa, Claudia Testoni, sua compagna di scuola alle medie che sarebbe stata la sua rivale per tutta la carriera.
A 16 anni la convocazione più prestigiosa per i giochi olimpici di Los Angeles 1932, dai quali fu però esclusa su pressione del Vaticano che giudicava sconveniente che una sedicenne affrontasse il viaggio transoceanico per gareggiare in abiti non consoni e come unica donna in una spedizione totalmente maschile.
11 secondi e 6 decimi, questo il tempo in cui Ondina ha saltato 8 ostacoli e percorso gli 80 metri che le hanno spalancato le porte dell’Olimpo consegnandole l’alloro. Otto ostacoli fisici e simbolici di una vita e una carriera tutt’altro che lineare.
1° ostacolo: l’allenamento
Fare sport per una ragazza non è facile nel 2019, figuriamoci a cavallo tra gli anni ’20 e i ’30.
Attualmente circa l’80% delle bambine italiane tra i 6 e i 10 anni pratica sport, mentre tra i 13-14 anni solo il 55% circa. Moltissime ragazze abbandonano l’attività sportiva con il primo ciclo; conciliare scuola vita privata e sport (soprattutto agonistico) chiaramente non è facile, ma lo è ancor meno se la cultura, le istituzioni e le strutture non aiutano.
Allenarsi è stancante, alcuni dicono che la parola ‘successo’ arriva prima di ‘sudore’ solo nel dizionario e un’atleta del livello di Valla lo sa bene.
Faticare dopo scuola, su un terreno più simile alla ghiaia che alla sabbia, mentre la maggior parte delle compagne si dedicano ad altro, lottare contro i pregiudizi e con il proprio fisico per migliorarsi un centesimo di secondo alla volta.

Nel 1950 a 6 anni dal ritiro è diventata un’allenatrice ed è stata l’ideale chiusura del cerchio iniziato all’insegna della fatica quotidiana in allenamento.
«Di Berlino rammento la grandiosità dell’apparato. Di Hitler, invece, ho un ricordo confuso. Mi volle conoscere e stringere la mano. Mi disse qualcosa ma parlava in tedesco e io non capii nulla…Di quella vittoria mi rimase solo la quercia che veniva data ai vincitori. L’ho piantata a Bologna ed è cresciuta in un’aiuola vicino alla piscina coperta dello stadio».
Valla in un’intervista ad inizio anni ’80.
2° ostacolo: la madre
Ondina ha dovuto superare pure l’opposizione della madre, Andreina, cattolica devota, convinta che fosse indecoroso per l’unica sua figlia partecipare a delle gare di atletica. Inoltre, temeva che dedicandosi all’attività sportiva la figlia non avrebbe mai trovato marito: “Sei una ragazza, ormai devi pensare ad altro” le ripeteva.
Ironia della sorte, Trebisonda si sposò con un medico ex atleta.
Grazie all’aiuto paterno riuscì a partire alla volta di Berlino. Quella tedesca è solo la terza olimpiade aperta alle donne, Pierre De Coubertin era uno degli oppositori nel comitato olimpico allo sport femminile, per questo non è difficile constatare il parere negativo della madre chiaramente frutto di un retaggio culturale radicato; in più il regime fascista tratteggiava la donna ideale come moglie e madre fedele, almeno fin quando la macchina della propaganda non si rese conto di potersi accaparrare pubblicità gratuita in caso di successi azzurri. Infatti al suo ritorno in patria ricevette numerosi premi: una medaglia d’oro da Mussolini in persona, un assegno da 5.000 lire, una foto con dedica della Regina Elena e last but not least, l’abbonamento allo stadio del Bologna (sua squadra del cuore).
In realtà i regali non finirono qui, ce ne fu uno ulteriori che le permise di riconciliarsi con madre e Vaticano in un colpo solo, una calorosa stretta di mano da Papa Pio XI con tanto di complimenti, aiutò a fiaccare le ormai irrisorie resistenze materne.
L’oro olimpico le assicurò immensa popolarità in Italia, portandola a diventare un simbolo per tutte le ragazze che in lei vedevano un mito e un esempio di femminilità. Il fratello Rito, noto scultore, celebrò la sua vittoria con la statua l’Ostacolista (1936-1938). L’opera fu collocata davanti alla sede della Gioventù Italiana, poi, con la caduta del regime, fu spostata nel cortile di casa, dove fu notata e comprata dall’industriale Carpigiani.
3° ostacolo: la Chiesa
La fede cattolica della famiglia, in special modo della madre, non le ha spianato la strada per la carriera sportiva. Ma le resistenze familiari per motivi religiosi sono state il minimo, infatti lo scontro più duro ci fu nel 1932, esattamente 4 anni prima del trionfo.
Gli atleti olimpionici ragionano in cicli quadriennali e Ondina non era da meno, dopo aver fatto faville agli esordi di categoria a 13-14 anni, si era riuscita addirittura a qualificare per le olimpiadi di Los Angeles a soli 16 anni. Il concetto della vittoria nello sport è troppo spesso banalizzato. È evidente che non può esserci un solo vincitore e tutti sconfitti, ad esempio per una ragazza bolognese di 16 anni è un enorme successo già solo essere alle olimpiadi. Quelle statunitensi erano le seconde aperte alle donne e Valla sarebbe stata l’unica donna della spedizioni azzurra (7 in quella del ’36), un orgoglio personale e un fatto storico allo stesso tempo.
“Avrei dovuto partecipare anche all’Olimpiade precedente, quella del 1932 a Los Angeles. Ma sarei stata l’unica donna della squadra di atletica e così mi dissero che avrei creato dei problemi su una nave piena di uomini. E che non era accettabile vedere una donna correre svestita oltreoceano. La realtà è che il Vaticano era decisamente contrario allo sport femminile“.
Mussolini accettò quest’imposizione vaticana per non creare una freddezza nei rapporti poco dopo aver firmato i patti lateranensi (11-02-1929), il potenziale propagandistico non era stato ritenuto sufficiente per imporsi su questa questione.
La pace fatta col pontefice, oltre ad essere perfettamente in linea con l’operato di Pio XI, sostenitore della pacificazione che avrà compimento proprio coi sopra citati patti lateranensi, è stato un momento di sollievo per Trebisonda, rimasta scottata dalla vicenda di LA32 che però accettò un po’ forse perché ancora sedicenne, un po’ perché proveniente da una famiglia profondamente cattolica.
Nel 1936 divenne la più giovane iridata italiana nella storia a 5 cerchi (20 anni e 78 giorni), primato rimasto imbattuto addirittura fino al 2004 (record che non è stato battuto da Federica Pellegrini che a 16 anni e 12 giorni ad Atene 2004 diventò la più giovane medagliata in singolare, ma conquistò “soltanto” l’argento, peraltro con soli 19 centesimi di distacco da Potec che la sorpassò all’ultimo. Elena Gigli trionfò con il setterosa ad Atene 2004 all’età di 19 anni, superando così il primato di Ondina).
4° ostacolo: Claudia


In epoca di FEDAL siamo abituati ad amicizie che sono anche rivalità, bisognerebbe sempre intendersi sul significato filosofico di entrambe, ma Claudia Testoni non può essere racchiusa soltanto in una delle due categorie.
È stata una compagna di viaggio, una sorta di compagno di banco che impari a conoscere col passare dei giorni e, nonostante certi comportamenti continueranno a non andarti a genio, gli vorrai sempre più bene e il giorno in cui si assenta per una febbre, ti sentirai spogliato, mancante di qualcosa e solo a quel banco. Non è per forza il tuo migliore amico/amica e l’amicizia nasce anche perché è forzata dalla costante presenza nelle rispettive esistenze.
Ecco, diciamo che Ondina e Claudia non potevano di certo ignorarsi.
Stesse scuole medie a Bologna, Regina Margherita, stesso luogo dei primi allenamenti, stesse squadre, Bologna Sportiva e Virtus, questo fino al 1935, anno di preparazione alle olimpiadi, quando Claudia decise di trasferirsi a Torino, Si dice che le continue sfide dirette con la Valla la opprimevano un po’ e che aveva bisogno di conquistare i suoi spazi (resta un’ipotesi).
E alle Olimpiadi infatti ci arriva da favorita.
Claudia con il suo carattere riservato era meno vulcanica dell’amica-rivale, entrambe specialiste di più discipline. Atleta molto eclettica, ha stabilito record italiani anche nei 100 piani con 12.0 (1939), nei 200 con 25.4 (1937), nel salto in alto con 1.54 (1936) e nel lungo con 5.65 (1937).
La sua notorietà crebbe, tanto che nell’aprile del 1938 la rivista “Lo sport fascista” ospitò un articolo scritto di suo pugno. In quello stesso anno disturbi alla vista sembrarono precluderle la partecipazione all’edizione inaugurale dei campionati Europei femminili a Vienna, ma poi Claudia andò e vinse gli 80 hs in 11.6 battendo le migliori specialiste della Germania, nazione allora ultra-competitiva nel settore donne. Nei primi 92 confronti, ovvero tutti quelli avvenuti fino alla finale di Berlino, il punteggio recitava 67 Valla, 5 ex aequo, 20 Testoni. Nei successivi 19 il parziale fu di 2 per Ondina e 17 per Claudia, chiudendo quindi con 111 sfide: 69 a 37 con 5 parimerito.
Il rapporto tra le due non si è interrotto dopo la finale del 6 agosto, come scrissero all’epoca, Sull’affidabile sito ondinavalla.it si trovano foto, cartoline e messaggi che Ondina e Claudia si sono scambiate nel corso degli anni.
Sempre sul sito appena citato, è riportato un episodio esplicativo del loro rapporto: siamo nel 1944, Valla si sposa d’urgenza con il medico De Lucchi e subito dopo le nozze ed un piatto di minestra di fagioli della mamma Andreina, parte per Vicenza dove Guglielmo doveva prendere servizio.
Arrivati a destinazione il posto non era più disponibile quindi non restava che rientrare a Bologna. Nel rocambolesco ed incredibile ritorno in bicicletta sotto i continui bombardamenti alleati, trovarono rifugio proprio a casa della Testoni che in quel tragico periodo si era trasferita a Desola di Mantova insieme al marito Edo Pedrazzini. Un’altra pagina del meraviglioso mondo di Ondina.
La storia di Trebisonda è la storia di Claudia e viceversa, allacciate indissolubilmente a doppio filo, due donne diverse che si stavano affermando, con prudenza perché all’epoca era quasi l’unico modo, e che hanno segnato lo sport italiano e non.

5º ostacolo: gelo
Nonostante fosse agosto il giorno della finale, faceva freddo.
Le atlete non erano preparate e soprattutto Ondina lo stava patendo particolarmente, in più aveva mal di gambe forse dovuto a dei crampi sportivi non smaltiti dalle precedenti gare. Il suo allenatore le diede delle zollette di zucchero imbevute nel cognac per farla riprendere e a quanto pare funzionò. Claudia, classificatasi 4ª, disse di essere “indisposta” e solo tempo dopo si venne a saper essere che aveva le mestruazioni, come se fosse una colpa da nascondere o celare, sempre per tornare all’importanza della cultura legata al mondo sportivo, in particolar modo a quello femminile.
Non ci è dato sapere lo stato fisico delle altre finaliste, ma certamente i risultati delle bolognesi acquistano ancor più valore sapendo le loro condizioni.

6º ostacolo: Trebisonda
Per Nadal l’avversario più grande non sarà mai Federer, per Muhammad Ali non è stato Foreman e per Senna non è stato Prost, perché uno sportivo affronta prima sé stesso in una lotta con i limiti e gli obiettivi che si pone (because limits, like fears, often are just an illusion).
Esplosa a 13 anni circa, ha dovuto digerire il boccone amaro dell’esclusione da Los Angeles nel 1932, ha lavorato duramente per migliorarsi e per trionfare. Oltre la carriera d’atleta, c’è una porzione di vita non facile, il periodo bellico, il trasferimento all’Aquila nel ’55 dove aprì, col marito, la clinica “Villa Fiorita” (si occupava di varie mansioni gestionali, in particolare quelle alberghiere) chiusa poco dopo la morte del marito nel ’64 e un figlio da crescere da sola.
La sfida con sé stessa è quella che nel 1952, a 36 anni, la fa laureare campionessa abruzzese nel lancio del peso. Regola aurea sempreverde nello sport “never underestimate the heart of a champion!”
7º ostacolo: fotofinish

Arriviamo a raccontare un’altra gara storica.
Dopo lo sparo sono tre le atlete a balzare in testa per lotta del podio, se ne aggiunge nel finale una quarta e l’arrivo è quantomai incerto: c’è bisogno delle immagini per stabilire il podio, uno dei primissimi casi (se non il primo in assoluto) di assegnazione di un oro olimpico al fotofinish.
Questa attrezzatura la si deve a Helene Bertha Amalie Riefenstahl detta Leni, regista, attrice e documentarista tedesca, autrice di “Olympia” il primo documentario (diviso in due parti) della storia delle Olimpiadi e per realizzarlo poté disporre di macchinari e fondi ingenti stanziati dal terzo reich, per questo nel documentario furono utilizzate rivoluzionarie tecniche cinematografiche che successivamente sarebbero diventate standard: primi piani, riprese dal basso terra, inquadrature angolari, i binari nello stadio per fotografare la folla e dettagli sergioleoniani potremmo dire.
Dove eravamo rimasti? Ah sì, si attendeva il verdetto.
L’attesa provata a far trasparire tramite questa digressione cinematografica è niente in confronto a quella provata dalle 4 atlete in questione, infatti Taylor delusa e convinta di aver perso il podio abbandonò lo stadio e non partecipò alla cerimonia del podio pur essendo arrivata terza.Il pubblico sugli spalti acclamava la trionfatrice già prima dell’annuncio ufficiale: “Valla Valla Valla“. Seconda Steuer a soli 61 millesimi di distacco e 4ª Claudia Testoni, la favorita.
La gara. Il numero 343 sulla pettorina di Ondina è il primo ad oltrepassare la linea del traguardo nella fredda Berlino d’Agosto.
8º ostacolo: la memoria
Essere la prima italiana d’oro alle Olimpiadi è più che sufficiente per entrare nei libri di storia dello sport, ma per arrivare a delle persone nate 60 anni dopo serve irrompere nell’immaginario collettivo e “il sole in un sorriso” (soprannome d’epoca affibbiato dai giornali alla Valla) ci è riuscita per l’ecletticità fuori e dentro la pista, per il coraggio e poi certamente anche per lo stesso motivo per cui tutti sanno chi è Neil Armstrong e in pochi ricordano Buzz Aldrin e ancor meno Michael Collins: è stata la prima!
In Italia i successi sportivi ottenuti nel ventennio del regime fascista sono stati a lungo volutamente dimenticati, e in parte ancora adesso, accantonati come emanazione di quel periodo storico.
La materia è delicata e certamente i regimi dittatoriali e talvolta anche governi democratici hanno avuto forte influenza anche sui risultati sportivi, Ondina però gli 80hs sempre in 11.6 li ha corsi e la memoria selettiva non è il modo giusto per contestualizzare e dare il giusto peso alle gesta degli atleti.
Solo per citare un esempio, Vittorio Pozzo (allenatore bicampione del mondo con l’Italia nel ’34 e ’38) attualmente non ha intitolato uno stadio, se escludiamo quello di Biella da 5.000 posti a sedere, eppure è nettamente una delle figure di riferimento nella storia italiana.
Le imprese e la storia di Ondina Valla hanno trasceso il mondo dello sport, entrando di diritto nei libri di storia, la prima atleta italiana a conquistare un oro olimpico, non si corre più il rischio di obliare le sue gesta, però sotto la superficie ci sono centinaia di storie dimenticate ingiustamente.
Lei è riuscita a trascendere l’atletica.
Una bolognese agile con un’amica con la stessa immensa passione, diventata aquilana d’adozione nella seconda porzione di vita. E tra l’altro Claudia Testoni meriterebbe un approfondimento ulteriore proprio per non banalizzarla come “quella che arrivò quarta”.
Nel 1978 subì il furto della medaglia d’oro di Berlino e Primo Nebiolo, allora presidente della federazione italiana di atletica leggera, nel 1984 decise di donarle una riproduzione della medaglia rubata.
Nessuno però potrà mai toglierle gli 11 secondi e 6 decimi trascorsi un po’ con i piedi per terra e un po’ in volo, allegoria perfetta della sua vita, orientati al superamento degli ostacoli per regalarsi la gloria eterna.

Classe 1996 romano laureato in “Letteratura musica e spettacolo” all’Università Sapienza. Ha lavorato per Radio Kaos, Mondo Radio e Radio Popolare Roma 103.3, ha scritto e scrive per vari siti online di calcio e basket come nbapassion.com, footbola.