In Africa i Leoni giocano a hockey

“È dietro per sei centesimi, ha vinto ancora Alberto. Lo vedete esultare. Due medaglie d’oro, entra nella leggenda”

Lo immaginiamo stanco, stremato, emozionato Ettore Frangipane.

Quarant’anni di fidata militanza Rai passata per lo più a descrivere, con ausilio prezioso di ugola e corde vocali, le linee perfette di sciatori, pattinatori e di tutti quegli atleti che pasteggiavano a neve e ghiaccio.

E in quella fredda sera italiana, il 27 febbraio 1988, la sua ugola si prese letteralmente il palco dell’Ariston per raccontare il secondo oro – quello nello slalom gigante – centrato all’ultimo respiro sulle montagne di Calgary dalla rock star Alberto Tomba.

Apparentemente un atto di lesa maestà verso il Festival di Sanremo. In realtà un momento che rimarrà per sempre nella storia del nostro sport e della manifestazione nazionalpopolare per eccellenza.



Non soltanto però hard rock


In quei giochi olimpici, strano a dirsi, suonò ancor più forte l’armonia e la spensieratezza del reggae. A portarlo il tenente Devon Harris, il capitano Dudley Stokes, il soldato Michae White e l’ingegner Samuel Clayton. In un’altra vita raffigurati come comuni sprinter legati al mondo dell’atletica, a Calgary invece, componenti della prima squadra giamaicana di bob.

Una straordinaria avventura di riscatto e di lucida follia immortalata da mamma Disney con la pellicola ‘Cool Runnings’. Film di culto per gli amanti del genere.

Prendete il ghiaccio, anche il Canada, e no, non scherziamo, perfino l’elemento esotico.

Scendete dal bob e stringete forte le stringhe dei vostri pattini. Una routine, quest’ultima, cara a ogni bambino svezzato a sciroppo d’acero e bannock, dal Quebec ad Alberta, dalla Nuova Scozia alla British Columbia.

Cara soprattutto a uno di questi, Sidney Crosby, che bambino non lo è più da un pezzo, ma che porta nei tratti somatici e nel soprannome “The Kid” quell’innocenza e quella purezza tipica dell’infanzia.

Ma poi, con il puck sul ghiaccio, Sid si trasforma: prima scelta assoluta al draft del 2005 dei Pittsburgh Penguins, più giovane ad aver realizzato 100 punti (39 gol, 63 assist) in una stagione, tre volte vincitore della Stanley Cup e più giovane capitano nella storia della NHL ad aver alzato il massimo trofeo (2009).

Più dei numeri, dei record e delle statistiche, quello che impressiona di Crosby è la naturalezza e la facilità di esecuzione sul ghiaccio.

L’eleganza di un cigno, 
l’istinto di un leone.

Ecco come innamorarsi di Sidney Crosby (Sportsnet)

Quegli stessi leoni a cui Sid ha voluto personalmente rendere onore nel suo Canada lo scorso ottobre. Parliamo dei Kenya Ice Lions, prima e unica squadra africana di hockey sul ghiaccio. Circa venti componenti totali, poche attrezzature in patria e un sogno realizzato proprio qualche mese fa, ossia giocare una vera partita di hockey. La rincorsa dei leoni parte però da lontano, per la precisione da Nairobi e dall’unica pista di pattinaggio del paese, quella del Panari Sky Center Hotel.

Da qualche anno, per due volte alla settimana, si danno appuntamento lì, dove il ghiaccio incontra il deserto e dove la pazzia lascia il posto al divertimento e alla passione per lo sport.

La condividono ragazzi come Arnold Maina, studente di architettura all’Università di Nairobi; come Joseph Pato Thuo, giovane keniano diviso tra l’amore per l’hockey e quello per l’ingegneria; come soprattutto Ben Azegere, capitano e motore della squadra, colui senza il quale l’unico ghiaccio che gli Ice Lions avrebbero mai visto, sarebbe stato quello in cubetti nelle bibite gassate.


Come spiegano però loro stessi nel cortometraggio che ripercorre le tappe salienti del loro viaggio, Nairobi è una città che sa accogliere tutti e che sa far sentire a casa chiunque. Persino coloro che si sono messi in testa di giocare a hockey nel deserto! La passione non manca, ci si arrangia guardando partite e studiando sui libri per apprendere tutto sulla materia.


Scarseggiano pattini e mazze, ma il vero problema è uno: mancano gli avversari. “We need another team to play”.


“Nairobi è una città che sa accogliere tutti e che sa far sentire a casa chiunque”


Il ruggito d’aiuto dei leoni arriva forte e potente alle orecchie di Tim Hortons, la nota catena canadese di caffetterie fondata dall’ex stella NHL Tim Horton, vincitore di 5 Stanley Cup, quattro delle quali con i Toronto Maple Leafs.

L’azienda fiuta le potenzialità della storia, stringe accordi commerciali con CCM, tra i brand più noti nel campo dell’attrezzatura da hockey, e apparecchia la tavola per la più classica delle storie american… pardon. Canadesi! In saporita e speziata salsa africana.

Gli Ice Lions preparano le valige e partono alla volta del Canada, destinazione Toronto, Ontario. Una delle mecche mondiali dello sport più amato dai figli del ghiaccio. Inizia così il loro pellegrinaggio sportivo. Ben, Joseph, Arnold e tutti gli altri si divertono con foto davanti la Legend Row, la fila di statue rappresentati le leggende dei Maple Leafs posizionata davanti l’Air Canada Center.

Si emozionano entrando nella Hockey Hall of Fame, ammirando volti e maglie di chi la storia della disciplina l’ha scolpita nel ghiaccio a colpi di stick, da Gretzky a Brodeur, da Lemieux a Crosby.

I ragazzoni si rilassano per le vie di Toronto, si godono il sole, i grattaceli, il verde. I leoni però non hanno percorso circa 12 mila chilometri per fare i turisti. I leoni hanno fame e vogliono le loro prede. Sportive, ovviamente.

Zio Tim ha pensato a tutto: quaranta minuti di pullman direzione Brampton, precisamente il 7575 di Kennedy Road.


“Sentivamo una pressione incredibile, c’erano tantissime persone che cantavano e tifavano


Il CAA Centre è la tana dei Mississauga Firefighters, pronti per spegnere i bollenti spiriti dei felini africani. Ci prendiamo in maniera coatta e perentoria la licenza per ribattezzare così lo zelante gruppo di vigili del fuoco locali che avrebbe offerto il battesimo del ghiaccio ai nostri leoni. Lo dichiariamo!


Perché questa è una partita speciale, importante, forse più di una finale


Sentivamo una pressione incredibile, c’erano tantissime persone che cantavano e tifavano”, spiega Arnold. Turbinio di emozioni e sensazioni contrastanti, quietatesi però nello spogliatoio.

Ad aspettare i ragazzi le nuove e scintillanti divise: un leone fiammeggiante su sfondo nero-rosso-verde, i colori della bandiera keniota.

L’incredulità si mischia alla timidezza e anche all’imbarazzo di rendersi conto di non essere in grado di saper allacciare e assicurare tutte le protezioni fornite dallo sponsor.

E chi le ha mai viste a Nairobi!



Alcuni addetti li aiutano a sistemarsi, tra sorrisi e battute varie. I nostri (eh sì, se non si era capito, li abbiamo adottati) sono pronti a scendere in pista, ma le sorprese non sono ancora finite.

Hey guys”.

Il volto di Ben che si gira, quello di Joseph che trasalisce, gli occhi increduli di tutti che squadrano i 180 centimetri d’altezza di Sidney Crosby. L’idolo. Il campione. E oggi perfino compagno di squadra.

Già perché Sid ha sulla schiena il solito 87, ma davanti il leone e i colori del Kenya. Al quadretto si unisce anche Nathan MacKinnon, all-star e centro dei Colorado Avalanche.  

La partita è una festa, come sanno esserlo soltanto quelle occasioni in cui lo sport si mette l’abito buono e si fa incredibile motore e catalizzatore di significati extra atletici.

C’è spazio per tutti sul ghiaccio canadese, con i due professionisti che incitano, ridono e si complimentano. A ogni sprint un sussulto, a ogni gol un applauso, a ogni parata una smorfia. E poi la sirena finale, con gli abbracci, gli high five e il puck della partita consegnato da Crosby a Ben, il capitano.

Ben, sì, colui da cui tutto è partito.

Niente Canada, niente hockey, niente ghiaccio. Niente di tutto questo senza la sua lucida follia, quella appartenente solo ai sognatori e alle menti lungimiranti.

Da adesso faremo partire una politica di reclutamento tra i giovani” spiega Ben, al quale fa eco sempre Arnold: “I giovani saranno quelli che beneficeranno di più da questa giornata, perché potranno crescere e appassionarsi nella giusta maniera all’hockey”.


La panchina dei Kenya Ice Lions (TheNerveAfrica)

“One day

Questo il mantra che i Leoni ripetevano in posa davanti la Stanley Cup nella hall of fame dell’hockey a Toronto. Immaginando il giorno in cui Nairobi avrà un palazzetto vero; il giorno in cui ci sarà un avversario sul suolo africano; oppure chissà, il giorno in cui arriverà per loro o per qualche giovane keniota, l’opportunità di sbarcare in NHL.

Nel frattempo speriamo (eh sì, ve lo ricordiamo: ormai li abbiamo adottati) di vederli il prima possibile sfilare sotto i cinque cerchi olimpici.

E se ci vedrete tifare in maniera sfegatata indossando il nero-rosso-verde non fateci domande. Ricordatevi di Ben, Arnold, Joseph e del loro amato deserto di ghiaccio.

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