Una delle firme più prestigiose e piacevoli del giornalismo italiano.
Paolo Condò non è mai inopportuno nelle sue disamine ed è anche un attento osservatore delle diverse realtà editoriali online che si occupano di sport. Di recente ha pubblicato il suo ultimo libro “La storia del calcio in 50 ritratti”, pagine in cui emerge la cultura calcistica totale e la grande passione del giornalista.
Due elementi che ritroviamo anche in questa piacevole intervista a un personaggio iconico per la redazione di Crampi Sportivi.
Parto subito con una curiosità. Qual è la partita che ti è piaciuta di più in questo avvio di campionato? (domanda fatta a ridosso della terza giornata di campionato)
“Dal punto di vista del divertimento Juventus – Napoli.
È stata alterna, emozionante, non è stata una partita perfetta perché entrambe le difese hanno fatto ridere. Però una partita intensa di quelle che possono aiutarci a rinnamorarci della Serie A, una di quelle spettacolari di cui abbiamo bisogno.
Nella prima ora abbiamo assistito a quello che ci aspettiamo dall’esperienza di Sarri alla Juve. In una settimana (rispetto alla partita col Parma, ndr) si è visto già un cambiamento”.
Una delle discussioni principali, sia online nelle varie community che al bar o sul divano, è quella che si polarizza sulla dicotomia calcio moderno vs calcio di una volta. Cosa diresti a un nostalgico per fargli amare il calcio attuale e cosa diresti ad un anti-nostalgico per fargli apprezzare il calcio pre 2000.
“Credo abbastanza poco in questa differenza, il calcio è una materia in continua evoluzione e poi non è detto che l’evoluzione porti sempre miglioramento. La cosa però che è cambiata nel calcio attuale è la velocità di esecuzione.
Ti parlo di questo studio accurato fatto in Gazzetta (dello Sport, ndr): Rivera negli anni ‘70 aveva 4 secondi di tempo per decidere cosa fare con la palla prima di avere un avversario addosso. Col passare degli anni, Maradona circa 1 secondo, oggi invece nulla. Tutti i giocatori oggi devono sapere già prima cosa fare con la palla, devono avere una vista perimetrica. È ovvio che questa cosa i campioni la fanno meglio. Frenkie de Jong l’anno scorso incarnava perfettamente questa dote.
Se ti vai a vedere una partita di quella che viene definita la squadra più forte di sempre, il Brasile degli anni ’70, vedi qualità tecniche eccezionali, ma vedrai anche squadre che ti sembreranno ferme. Squadre che non fanno movimento senza palla.
Le partite di quegli anni le godevi in maniera diversa anche tatticamente. Era più semplice mettere a fuoco la parte tattica delle squadre, mentre oggi riesci a capire il modulo dopo 10 minuti di partita.
Quindi la grande differenza sta nella velocità e nella tecnica nella velocità.
Ad un appassionato gli direi di guardarsi una partita degli anni passati proprio per apprezzare di più le cose che ci siamo appena detti, ma di solito io prendo in considerazione sempre il calcio di oggi perché vivo nel mondo di oggi”.
L’applicazione della tecnica ad alte velocità. C’è chi sostiene che la grande differenza sta nella fisicità del calcio moderno. Personalmente do per scontato che il calcio di oggi, anche grazie alla tecnologia, veda schierati giocatori più fisici e preparati. Ma non può essere questa la grande differenza.
“Sì, grazie alla tecnologia e all’evoluzione del calcio stesso. Però se ci pensiamo, l’ultima squadra che ha fatto innamorare tutti è il Barcellona di Guardiola. Nanetti che possedevano una tecnica individuale e di squadra che era devastante. Ovviamente erano tutti fisicamente preparati”.
Nel libro hai tracciato il profilo di Mourinho tra i 50 volti. Nell’ultima puntata di Sky calciomercato hai detto che Mourinho è stato uno dei pochissimi ad essere più intelligente dei media, uno dei pochi che li ha manipolati.
“Nel libro sono presenti 50 personaggi che hanno cambiato e innovato il calcio. Non necessariamente i più bravi.
In questo caso Mourinho rappresenta entrambe le cose (bravo e rivoluzionario, ndr). È un bravo allenatore e su questo non c’è dubbio, ma sul campo non ha portato nessuna rivoluzione. Invece, dall’altro punto di vista, è stato il primo a trattare la comunicazione come parte fondamentale del business. È un uomo di un’intelligenza superiore e grazie a questo ha manipolato i media. Innanzitutto, per creare il suo personaggio da usare come stella polare e in secondo luogo per permettere alle sue squadre di lavorare con serenità. Polarizzando tutta l’attenzione sul suo personaggio, toglieva pressioni alla squadra ed era sempre lui a comandare il rapporto con i media.
Nel libro faccio l’esempio del «Non sono un pirla» come esempio di estrema professionalità. Lui chiede al suo insegnante di lingua non solo la grammatica e gli usi corretti delle parole, ma anche il linguaggio dialettale del posto in cui andrà a lavorare.
Una cosa che fece capire ai giornalisti presenti che era appena sbarcato un alieno, un qualcosa di diverso da quanto visto in precedenza. Lo ha fatto per crearsi da subito un ingresso nel nuovo mondo italiano e ha trovato il modo più intelligente e divertente per farlo”.
Ora abbiamo parlato di un rapporto con i media finito bene. A questo proposito ti chiederei invece quali sono state le falle mediatiche di un rapporto finito malissimo: il caso Icardi. Sia dal punto di vista dell’entourage, del giocatore stesso e i media, è stato un bagno di sangue che si è protratto troppo a lungo.
“Sai, Icardi ha scelto da subito di non comunicare.
Ma sai, Icardi ha scelto di non comunicare, lasciando a Wanda l’onere della gestione dell’immagine.
Gestione molto rovinosa direi. Perché Icardi è uno che all’Inter ha dato molto soprattutto in periodi bui per la squadra. Era uno che poteva andar via quando voleva e non l’ha fatto, quindi vedere la sostanziale gioia dei tifosi per la cessione ti fa capire che è stata gestita male. Se gestita diversamente Icardi avrebbe avuto i giusti meriti e affetti dai suoi ex tifosi, cosa che appunto non è successa.
Non comunicando è andato verso il suicidio mediatico e qui i media non hanno avuto colpe”.
È strano anche vedere come il momento di lungo silenzio ha autorizzato ognuno a formare la propria opinione. Lui ha usato solo i social ma anche male, non sfruttando a suo favore la possibilità di creare una disintermediazione favorevole attraverso questi mezzi. Non suona strano non aver scelto un giornale e giornalista amico per spiegare il suo punto di vista?
“Ti faccio questo esempio. Ai tempi di Vialli, io ero il depositario delle sue interviste. Ero in Gazzetta, il più grande centro mediatico in Italia e lui si fidava di me sapendo anche della risonanza che avrebbe avuto. Quando fece l’intervista in cui disse di non trovarsi bene alla Juventus, gliela feci io. Quindi anche Icardi ha giornali e giornalisti amici che avrebbero fatto la fila per un’intervista, ma ha proprio deciso di non parlare.
Qui sorge il sospetto che probabilmente non sapeva e non aveva nulla da dire”.
Citi invece Mancini nel libro ma non inserendolo nei 50. Come tracceresti con pochissime parole il profilo di quello che potrebbe essere il nuovo padre rifondatore della nazionale?
“Ma sai anche Mancini è un grande amico, da quando era giocatore e da allenatore.
Mancini ha un lato estetico estremamente sviluppato e in tutte le cose che fa cerca la qualità. A volte riesce a volte no, basta vedere alcune sue Inter molto belle e altre meno divertenti.
In questa nazionale potrebbe esprimere il meglio dal punto di vista estetico del suo calcio, anche perché secondo me nei club lui era troppo tentato dal mercato: se c’era qualcosa di cui non era convinto andava dai suoi presidenti per chiedere di comprare giocatori. In nazionale il mercato non esiste ma le possibilità di scelte sono infinite, anche se mi sembra più adatto a lavorare col materiale che ha, senza cercare troppe scelte altrove, cosa che ha fatto sì all’inizio e ora lavora con una larga base, guardando sempre al settore giovanile”.
Come con Kean e Zaniolo.
“Sì, il colpo Zaniolo è stato davvero eccezionale. Mancini è stato il primo ad accorgersi di Zaniolo con un colpo che sta provando a rifare magari con gente come Pinamonti. Così sta anche costringendo gli allenatori italiani a far giocare questi calciatori”.
Tra i 50 personaggi del libro, ti chiedo di scegliere i tuoi due preferiti in assoluto.
“Allora ti dico Krujif. Uomo di calcio più grande di sempre, nella combinata giocatore – uomo nessuno vale lui. Ha inventato un nuovo tipo di calcio e da allenatore ha sviluppato le vecchie teorie. Da calciatore subito alle spalle di Pelè e Maradona, quindi il primo tra gli europei.
L’altro nome vorrei scegliere un italiano: Roberto Baggio.
Per le emozioni che mi ha provocato in nazionale, emozioni che non ha più provocato nessuno. Poi c’è quella cosa particolare che è l’allontanamento dal calcio dopo la fine della carriera da calciatore. Una cosa che un po’ mi dispiace e un po’ lo valorizza. Non si è assolutamente inflazionato, anzi la sua distanza ne ha aumentato il mito”.
LEGGI LA RECENSIONE: “La storia del calcio in 50 ritratti”

Un pugliese che vive a Firenze e si occupa di Social Media e Digital nello Sport. Col passare del tempo ha cominciato a indietreggiare la sua posizione in campo, contemporaneamente al passaggio dalla birra al vino. Caporedattore di Crampi Sportivi.