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Non puoi guardare Mi chiamo Francesco Totti senza piangere

Non puoi guardare Mi chiamo Francesco Totti senza piangere

Dopo 7 minuti, ho stoppato.

Ho deciso di prendermi già la prima pausa perché avevo intuito di avere davanti una roba immensa. Avvertivo già nostalgia del finale. Cavolo dura solo un’ora e 46 minuti.

Avrei tanto voluto accendermi una sigaretta e rifletterci su, ma ho smesso poco prima del lockdown di marzo. Avevo comunque intuito che sarebbe stata una notte insonne perché “Mi chiamo Francesco Totti” non può lasciarti indifferente se hai passato gran parte della tua vita appresso al calcio. Ma probabilmente farebbe lo stesso effetto a chiunque coltivi dentro di sé una passione per qualcosa.

“Mi chiamo Francesco Totti” potrebbe tranquillamente cambiare la forma verbale e il pronome, mutando in “Noi siamo Francesco Totti”, perché il film sì, racconta la storia di una leggenda, un “ nuovo monumento” di Roma,  ma spiega con le parole del protagonista e le immagini sgranate degli anni ’80 quanto poi Totti sia una persona normale, con le paure di tutti e qualche difetto in più di quelli che potevamo immaginare per uno che ogni domenica ha dipinto quadri senza tela e pennello ma con i piedi e un pallone.

La scelta della regia

Prima di cominciare ti aspetti un docu-film. Ti aspetti le interviste di Totti e di chi lo ha accompagnato nel suo viaggio. Ti aspetti (come è normale che sia) immagini e video già viste e riviste, e invece. E invece la scelta di Alex Infascelli è così semplice che diventa inaspettata: si parte dall’inizio (il Totti bambino) e si finisce col giorno del ritiro. Tutto con la voce narrante di Francesco Totti che da buon amico commenta insieme a te sul divano i filmini del compleanno o del dopo vacanza. È così che voglio pensare sia nata la scelta stilistica di Infascelli, un vecchio amico che ti invita a casa per guardare il filmino dell’ultima vacanza.

In pratica sono pochissime le scene girate ad hoc. Anzi, una praticamente, e nemmeno studiata a caso. Un footage di pose, smorfie, emozioni e sguardi di Totti in un Olimpico notturno e deserto, messo a disposizione solo per lui e le riprese. Ma d’altronde quella è casa sua.

Tutto ciò, oltre a rendere meno costosa la produzione (ma questo credo sia stato l’ultimo dei pensieri quando è nata l’idea del film), rende spaventosamente tutto naturale e unico. Sì, unico è il termine adatto perché i video del film arrivano da registi e operatori di camera improvvisati, ovvero il fratello, gli amici o la stessa Ilary. I compagni di viaggio insomma, e chi altrimenti per raccontare in maniera non banale la storia di uno dei Re di Roma.

Appunti e lacrime sparse

foto del film mi chiamo francesco totti

Come si scrive la “recensione” di un contenuto del genere?

Ho provato banalmente a prendere appunti nei momenti salienti, ho provato a inquadrare i fotogrammi che meglio spiegavano la dicotomia tra grandezza e semplicità. Poi mi sono fermato, perché mi sentivo logorato sempre di più.

Tutti sappiamo ormai tutto di Totti, l’andamento di alcune partite cruciali e l’esito di alcune vicende, eppure viviamo con stupore e ansia ogni scelta decisiva della carriera raccontata nel film, come se non ne conoscessimo l’esito (ad esempio la vicenda Bianchi-Sensi-Totti o la chiamata per Brescia – Roma).

L’intervista a Tele Oro è disarmante. Uno stralcio sapientemente inserito per fare da ponte al passaggio del Totti ragazzino a quasi uomo. Colui che sarà l’ottavo Re di Roma ha la stessa voce spezzata e tremante che ognuno di noi ha almeno avuto una volta nella vita in un’occasione pubblica, che sia il primo esame all’Università o il primo importante colloquio di lavoro, perché Totti è come noi e soprattutto ha una parte privata che non abbiamo avuto mai modo di conoscere.  Un’umanità che spiega meglio delle parole o dei giornalisti alcune sue reazioni esagerata e sbagliate, come lo sputo a Poulsen o la spinta a Vito Scala. Ah, ovviamente nel film tutto ciò c’è, ed è spiegato da lui perché “Io Sono Francesco Totti” non è il documentario o il film su un personaggio, è un contenuto ad oggi stilisticamente unico e che va oltre il racconto costruito, quello sicuro (anche per questo la Roma non avrebbe mai potuto creare un contenuto del genere).

Ad un terzo del film siamo già consapevoli dell’enormità di Totti giocatore, il fatto curioso è che ad un terzo del film ha poco più di 18 anni. Ad esempio, quel primo goal al Torneo Citta di Roma. E quella telecronaca di Piccinini che ci fa pensare solo per un attimo che il calcio di una volta non era poi così male, all’epoca erano davvero più bravi a venderti un sogno, anche se tutto era più sgranato e meno colorato.

Poi arriva la combo scudetto, Children in sottofondo, festeggiamenti in yatch e Cassano. Il battito cardiaco aumenta ma poi, avete già contato quante volte avete pianto o sentito il bisogno di farlo?

Il resto è così, un continuo ping-pong di emozioni fino al giorno del ritiro.

Ecco, forse una cosa che il film non riesce a spiegare c’è.

Cosa sia successo realmente nel rapporto con Spalletti. Dall’amore di “una delle persone che mi è stata più vicina” durante il recupero dall’infortunio del 2006, all’idiosincrasia dell’ultimo periodo.


“E mo come faccio senza de te?”.

“Eh…”.

“Ma la conosci a lei?”.

“Ma come, lei è Sabrina. La rinomata. Innamorata de Giannini, tifosa proprio sfegatata, numero 1. Eh, vabbè”

Capito la grandezza: Sabrina-Giannini-Totti. 

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