Italia-Francia vista dal divano

L’Italia chiude, per la quarta edizione consecutiva, il Sei Nazioni con 0 vittorie

Fa incazzare. Rasheed Wallace è riuscito a sintetizzarla nel modo migliore. Ball don’t lie. La palla non mente, il campo non mente, il risultato, nella quasi totalità dei casi, non mente.

L’Italia chiude, per la quarta edizione consecutiva, il Sei Nazioni con 0 vittorie, allungando una striscia di insuccessi che comincia a diventare indigesta per tifosi e addetti ai lavori.

Fa incazzare, proprio perché la palla non mente e la Francia ha vinto una partita giocando sulle difficoltà dei nostri, nonostante per tutti gli ottanta minuti è risultato evidente che la squadra più forte avesse la maglia bianca.

La palla non mente, siamo stati superiori in quasi tutte le situazioni di gioco, esclusa la mischia chiusa dove purtroppo si sente il deficit di una prima linea all’altezza, ma non è bastato per portare a casa una vittoria che era già nostra.

Un bel paradosso: avremmo dovuto vincere ma non abbiamo meritato di vincere.

Strano lo sport, strano il rugby, eppure va così, nell’attesa di tempi migliori resta il rammarico per non aver capitalizzato le molteplici occasioni avute durante questo ultimo match, consapevoli che a certi livelli ogni occasione sprecata diventa un assist per il tuo avversario che tende a non sciupare, a sua volta, la possibilità di punire i tuoi errori.

Sia chiaro, il Sei Nazioni 2019 ha dato molte risposte interessanti circa i progressi della nazionale italiana, ma purtroppo ha lasciato aperti ancora troppi punti interrogativi che, a oggi, non lasciano intravedere possibilità di andare oltre i pools dei mondiali (nel girone abbiamo Nuova Zelanda e Sudafrica), ma soprattutto alimentano il dibattito sul reale valore di un movimento al quale non basta crescere costantemente di anno in anno. Con l’incapacità di collocare il rugby italiano al livello dei corrispettivi britannici e francesi.

Zebre e Benetton stanno aiutando parecchio in questo senso, anche la nazionale deve fare lo step successivo. Non si possono più perdere queste partite, semplicemente non è accettabile.

Conor O’Shea deve rinunciare all’infortunato Campagnaro, rimpiazzato dall’esordiente Zanon, classe 1997, protagonista suo malgrado nella giornata più emozionante della sua carriera, ma ci arriviamo a breve.

Tornano Ghiraldini e Polledri, confermatissima la mediana Tebaldi-Allan, una delle note più liete del torneo.

Dall’altra parte coach Brunel, vecchia conoscenza del nostro rugby, sceglie un pack più pesante rispetto al match contro l’Irlanda, sacrificando soluzioni in touche e nel gioco aperto, mossa che fin dall’inizio non sembra pagare i dividendi sperati.

I primi 15’ sono un balsamo per le buone sensazioni che il sottoscritto avvertiva prima del match.

La Francia ha disputato un torneo sottotono, se messa sotto pressione ha dimostrato di essere una squadra fragile, con svariati momenti di blackout nel corso della partita. Gli errori francesi non sono tanto di concetto ma di esecuzione, è come se avessero la sensazione di non essere una squadra all’altezza, un po’ quella sindrome del braccino corto che spesso ha l’Italia, ma che nel pomeriggio dell’Olimpico è molto più evidente tra i transalpini.

Due punizioni di Allan ci portano avanti 6-0.

Le scorie della partita contro l’Inghilterra si fanno sentire specialmente negli 1vs1, aspetto del gioco in cui nemmeno contro la Francia brilliamo, tutt’altro.

Aprire un altro pippone sul concetto del placcaggio non mi sembra il caso (per chi ha voglia c’è la puntata precedente), però contro la Francia è emersa anche una certa disorganizzazione nel formare la linea difensiva, dopo un calcio o dopo un break avversario.

Sono situazioni complesse, però allenabili e perfezionabili, perché se non placchiamo e in più rendiamo la dinamica del placcaggio ancora più difficile da mettere in atto, allora è la fine per davvero.

Medard legge la difesa, Parisse ed Esposito non si parlano, buco colossale e poi tutto facile per la marcatura di Dupont.

Non si sarebbero nemmeno dovuti avvicinare ai nostri 22 e invece sono entrati, hanno portato via l’argenteria e adesso si danno anche pacche sulle spalle. Un classico.

Reggiamo al contraccolpo psicologico, torniamo quasi subito nella loro metà campo, non abbiamo paura di giocare al largo e anzi forse manca un po’ di concretezza nel attaccare per linee dirette, specialmente con due terze come Steyn e Polledri, due grimaldelli niente male.

Avete presente le buone sensazioni?

Ecco, chip di Allan sul quale Zanon ha chilometri di vantaggio ma il pallone invece che finire in area di meta sbatte contro il palo prendendo in controtempo il centro azzurro. Sfiga e inesperienza.



Poco male, ci proviamo e riproviamo, la difesa francese regge in qualche modo ma a fine primo tempo c’è la consapevolezza di essere la squadra più forte in campo, il risultato va semplicemente accompagnato, non necessita forzature.

Dato l’orario post – prandiale, il canonico tè viene sostituito da un più banale e scontato caffè, sacrilegio in nome della reattività sul divano che verrà cancellata dalla memoria, ma il pubblico deve sapere (#Trasparenza & #Honestà).

Nel secondo tempo la musica non cambia: l’Italia domina, la Francia segna.

Frase corta ed efficace, un po’ alla Max Pezzali, ma sinceramente l’autore fa una certa fatica a sintetizzare meglio quanto accaduto. Questa volta è Huget ad andare in meta, dopo che Allan aveva accorciato le distanze al piede.

Ah Tommy, anche tu non sei proprio esente da colpe.

Il gioco al piede di Allan è diventato di certo più efficace negli anni, anche la precisione dalla piazzola è migliorata, eppure in certi momenti bisogna saper respirare e non pensare, far si che la memoria muscolare faccia il suo lavoro senza che il cervello intacchi le probabilità di successo di un calcio.

Sul 17-9 sbaglia un calcio che è un rigore (anche più facile, nel rigore c’è il portiere almeno), dopo la meritatissima meta di Tebaldi sbaglia un altro calcio piuttosto facile che metterebbe ulteriore pressione a una squadra francese pericolosamente vicina al dirupo.

Due calci, cinque punti, la partita potrebbe anche essere girata lì, e invece le recriminazioni non finiscono.

Ogni volta che la Francia si affaccia nella metà campo azzurra torna a casa con dei punti, sul 14-20 l’Italia alza il ritmo, ha le carte per vincere la partita, non le gioca nemmeno troppo male, a 10 minuti dalla fine arriva il cartellino giallo per Chat, la Francia chiuderà il match senza tallonatore.

I numerosi falli dei Bleus servono solo per rimandare l’inevitabile.

L’Italia riesce a trovare il varco e Zanon plana in meta. Forse uno più esperto avrebbe fissato il gioco e lanciato Padovani, forse doveva solo tenere il pallone con due mani, forse. Fatto sta che Penaud gli tocca l’ovale prima che questo tocchi terra e l’arbitro annulla (giustamente) la marcatura.

Tutta questa fatica e si rimane con nulla in mano, altroché se fa incazzare.



Resterebbero ancora una manciata di minuti ma psicologicamente i nostri sono ko, hanno visto lo striscione del traguardo così vicino per poi essere ricacciati nell’incubo del Whitewash (Sei Nazioni chiuso con 0 vittorie).

È troppo.

La Francia gestisce il possesso, Ntamack fa una giocata mostruosa per controllo del corpo e fondamentali tecnici mandando Penaud a scrivere la parola fine sul Sei Nazioni delle due squadre.

Italia 14 Francia 25.

Nemmeno il punticino di bonus. Non che ci avrebbe fatto sentire meglio, ma neanche quello, privati di ogni gratificazione dopo una partita per la maggior parte giocata a senso unico, fa incazzare.

Potrebbe essere l’ultimo Sei Nazioni di Parisse, eletto man of the match e non capita così spesso che il migliore in campo giochi con la squadra sconfitta, ennesima riprova che Sergio è speciale per davvero, uno di quei giocatori generazionale a cui il rugby italiano deve tantissimo.

Altro?

Anche no. Quando finisce, il Sei Nazioni lascia sempre un briciolo di malinconia, crogioliamoci in questo stato d’animo per un po’.

Il Galles ovviamente ha vinto il torneo, dimostrando che chi scrive non ci aveva capito una mazza (figurarsi).

Ci si risente prossimamente, anche per quest’anno dal divano è tutto, viva la palla ovale, viva il rugby.

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