Italia-Galles vista dal divano

Esiste un piacere perverso nel seguire la nazionale italiana di rugby al Sei Nazioni, racchiuso in quei pochi momenti della partita durante i quali c’è la netta sensazione di essere la squadra più forte sul campo.

Pochi minuti al massimo, delle volte sono sufficienti per portare a casa il piatto (poche volte, troppe poche volte) ma spesso e volentieri hanno la sola utilità di lasciare in bocca un sapore dolciastro, mai amaro, perché, specialmente per chi ha giocato a rugby, l’immedesimazione con i sentimenti dei nostri è totale.

Contro il Galles ci sono stati dei segmenti di partita durante i quali l’Italia ha giocato per vincere.

Non per perdere a testa alta, troppo abusato mantra delle sconfitte rugbistiche italiane, ma proprio per vincere la partita.

È andata male. Il Galles, con i suoi evidenti difetti che probabilmente costeranno carissimo quando gli avversari saranno Irlanda e Inghilterra, ha giocato una partita intelligente, superando un momento di burnout mentale nella prima metà del secondo tempo e mettendo in ghiaccio il risultato prima degli ultimi dieci minuti.

Il sapore della sconfitta azzurra è, come detto, dolciastro, perché i passi avanti rispetto al match contro la Scozia sono lapalissiani.

L’attitudine con la palla in mano è stata da grande squadra, se il processo di crescita continuerà su questa falsariga, non sarà per niente un torneo anonimo quello dell’Italia.

Rispetto al pomeriggio di Murrayfield, coach O’Shea riporta Campagnaro in mezzo al campo con la sua numero 13, inserendo Padovani all’ala (l’altra novità è Quaglio per Lovotti in prima linea).

Rivoluzione totale invece in casa gallese, con Warren Gatland che cambia 10 titolari rispetto alla partita contro la Francia, un po’ per esigenze di turnover, un po’ per qualche segnale non proprio positivo ricevuto una settimana fa dal suo starting 15.

Pronti, via e il Galles ha già marcato i primi tre punti dopo neanche un minuto di gioco.

L’idea della squadra ospite è quella di mettere pressione sul portatore italiano, usare spesso il piede per spostare il gioco, far valere la maggior solidità sul punto d’incontro.

Tutto giusto, poi però c’è la realtà, dove il gameplan italiano è sicuramente più strutturato rispetto al match contro la Scozia e dove le imprecisioni gallesi sono una costante che salva un paio di volte la difesa azzurra dal tracollo immediato.

Sono umani, ce ne accorgiamo in fretta, dopo cinque minuti arriva il break profondo di Esposito che rischia di far saltare subito il piano gallese.

L’ala della Benetton sbaglia l’offload, occasione sfumata, le certezze degli altri si alimentano dei nostri punti deboli.

Se contro la Scozia avevamo dimostrato una disciplina degna di nota, contro il Galles siamo costretti a commettere ben 11 falli, con il piede di Dan Biggar pronto a punirci dalla piazzola.

Soffriamo in mischia, siamo bravi a riorganizzare la linea difensiva dopo un break avversario, Hayward sta giocando un eccellente Sei Nazioni ma nel complesso la battaglia al piede è tutta ad appannaggio dei nostri avversari.

Eppure, nel corso del primo tempo, la sensazione è che possiamo metterli in difficoltà giocando a rugby, alzando il livello di intensità, lavorando sul breakdown per far uscire palloni veloci.

A pochi minuti dalla fine del primo tempo arriva la meta di Steyn, tutto quello che serve, l’urlo questa volta non è strozzato e probabilmente viene avvertito anche dalle forze dell’ordine sotto casa mia, ma ci arriviamo subito.

Allan trasforma, pochi minuti dopo ha la chance per portarci a riposo sul -2, palo, appuntamento solo rimandato, questa volta vinciamo noi.

Metto su l’acqua per il the convinto di aver visto il prologo di una marcia trionfale.

Le certezze del Galles scricchiolano minuto dopo minuto, la touche italiana funziona che è una meraviglia, il the delle 18:30 (orario balordo ma la tradizione è tradizione, Guinness Six Nations think about it) è pronto. Un paio di botti fuori dalla finestra mi riportano alla realtà.

Si dà il caso che il sottoscritto scriva da un appartamentino di Torino in zona Aurora, a 400 metri da un ex asilo che in questi giorni è stato sgomberato (non lesinando sulla coattività), e per il qual motivo, durante la partita del Sei Nazioni (non che le due cose siano collegate) si è svolta una manifestazione che ha portato le forze dell’ordine a lanciare fumogeni (i botti che ho sentito) e a contenere la folla.

Essendo impegnato a guardare la partita non saprei misurare l’entità della mobilitazione, fatto sta che tutto il secondo tempo lo vivo con le luci della polizia a illuminare la casa e le sirene che di volta in volta spezzano il commento dei sempre ottimi Raimondi-Munari.

Intermezzo pseudocronachistico a parte, il mood rimane quello delle grandi occasioni e a inizio secondo tempo, Biggar sbaglia un paio di scelte al piede elementari che scoperchiano la realtà: il re è nudo, il Galles è in confusione, ANDIAMO A VINCERE QUESTA CA**O DI PARTITA.

Infatti, nel momento migliore dell’Italia, marca il Galles, perché se a questo gioco non metti a terra diventa difficile.

Hayward buca il placcaggio, Liam Williams fa strada, Josh Adams schiaccia in meta.

Da lì in poi l’Italia non riesce più a mettere sabbia negli ingranaggi gallesi e la squadra di Warren Gatland va vicina al colpo del KO.

La trasmissione azzurra non è ancora a livelli accettabili.

Palazzani nel complesso rischia di non essere all’altezza per certe partite, la prima linea azzurra è costantemente brutalizzata da quella avversaria: al 69’ un chip di Anscombe manda Watkin oltre la linea, chiudendo definitivamente i conti.



C’è ancora spazio per rendere il passivo meno severo;

un’eccellente linea di penetrazione di Allan manda Padovani a marcare, cappello conclusivo di una partita che consegna molti più dubbi al Galles che all’Italia.

Difficile pensare che la squadra di coach Gatland possa seriamente ambire al titolo, contro Francia e Italia sono stati più i demeriti degli avversari che i meriti propri a consentire la doppia vittoria dei Dragoni (in nessuna delle due occasioni è arrivato il punto di bonus).

I demeriti dell’Italia, appunto, sono stati soprattutto legati alla mancanza di killer instinct nei momenti chiave del match.

In due partite abbiamo dimostrato di poter essere competitivi su 80′, ma di non avere la ruvidezza mentale per colpire quando si presenta l’occasione.

Non è un problema nuovo.

Non è un problema che risolveremo dall’oggi al domani, ma continuiamo a fare dei passetti per zuccherare sempre di più il sapore del risultato (e del the).

Ci si rivede domenica 24, quando allo Stadio Olimpico arriverà l’Irlanda, ancora una volta in diretta dal divano, possibilmente senza lampeggianti blu se non è chiedere troppo.

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