Italia-Irlanda vista dal divano

Il rugby è uno sport di dettagli e di attitudine

Certo, poi ci sono trenta maledetti-bastardi-sovradimensionati che se le danno di santa ragione per 80 minuti, senza lesinare sulla ferocia dei contatti.

Ma riducendo l’oggetto di analisi alla sua essenza, emergono questi due fattori: dettagli e attitudine.

Se una squadra, nel corso della partita, cura i dettagli e impone un’attitudine superiore all’avversario, vincerà la contesa al 100%. Per quanto al sottoscritto non piaccia dare giudizi trancianti, senza lasciare spazio a una percentuale casuale nella determinazione del risultato, il rugby è diverso.

È diverso proprio perché ci sono trenta maledetti bastardi che se le danno di santa ragione e di conseguenza se all’aspetto più ruvido di questo gioco vengono aggiunti dettagli e attitudine, è impossibile che quella squadra perda.

La perfezione però non è insita nell’essere umano, di conseguenza, quando manca uno dei due fattori, che siano i dettagli o l’attitudine, tendenzialmente vince la squadra più forte.

Italia e Irlanda hanno giocato alla pari per tutta la durata del match, ponendo le basi per quello che gli americani chiamano upset, ovvero un risultato inaspettato, Davide che batte Golia.

Allo stadio Olimpico di Roma si è consumata una delle sconfitte più amare degli ultimi anni per l’Italrugby, proprio perché non esisteva un apparente motivo in grado di decretare la sconfitta dei nostri.

Abbiamo avuto un’attitudine superiore rispetto agli avversari, non abbiamo curato i dettagli a sufficienza, ma nemmeno l’Irlanda lo ha fatto, commettendo errori anche banali per giocatori come Sexton e compagnia.

C’era l’attitudine, mancavano i dettagli, quindi vince la squadra più forte.

L’unica squadra che nel ranking mondiale guarda l’Irlanda dall’alto in basso è la Nuova Zelanda.

L’Irlanda è una squadra formidabile ma questo elemento non sarebbe dovuto bastare, l’Italia aveva le armi per ridurre il blasone dei Verdi a mero esercizio giornalistico.

Sul campo ha dimostrato di poter disintegrare le certezze degli uomini di coach Schmidt, eppure, anche questa volta, siamo costretti ad applaudire e pensare alla prossima.

Con Parisse e Negri infortunati spazio a Mbandà e Tuivati in terza linea, Ruzza si guadagna il cap da titolare in seconda, Tebaldi ritrova la sua numero 9.

L’Irlanda è una delle migliori squadre al mondo nel conservare il possesso del pallone, e infatti il piano degli azzurri inizialmente è quello di non impantanarsi nel breakdown e affidarsi a una difesa al largo a oltranza.

A parole abbastanza chiaro, nei fatti si tratta di placcare per un elevato numero di fasi, senza che dall’altra parte arrivino segnali di cedimento.

Una follia.

L’Irlanda impiega dieci minuti per marcare, lasso di tempo nel quale l’Italia commette svariati falli (leitmotiv di una partita troppo “scorretta” da parte dei nostri) e comprende quanto sia suicida aspettare gli altri, senza andare a contendere sul punto d’incontro.

Messaggio recepito, adesso si inizia a giocare per davvero.

Rispetto al match d’esordio contro la Scozia i problemi di trasmissione sono quasi del tutto superati, abbiamo lavorato bene sulla distribuzione del gioco. Tebaldi è totalmente un’altra cosa rispetto a Palazzani per timing e decision making.

Allan accorcia al piede, Stockdale segna su un regalo azzurro che avremo modo di rimpiangere nel finale, il primo tempo dell’Irlanda finisce qui.

Strano ma vero, la seconda metà del primo tempo l’Irlanda si comporta come un pugile alla dodicesima ripresa, ignaro di quello che realmente lo stia colpendo.

Tebaldi sembra Troncon, in touche non la vedono mai, Hayward si conferma la sorpresa più lieta di questo Sei Nazioni azzurro e terrorizza la linea irlandese ogni volta che ha la palla in mano.

Questione di tempo.

Prima il piede di Allan, poi la meta di Padovani, il gigante barcolla, la seconda squadra al mondo vacilla, poi la meta di Morisi dopo un break mostruoso di Tebaldi: pura cattiveria, è una Waterloo dall’accento romano.

Facile immaginare la reazione di chi scrive, normalmente una persona posata che perde totalmente il suo aplomb quando guarda l’Italia del rugby, con conseguenze, suppongo, indesiderate per i vicini di casa.

È una mattanza.

Se conosco il gioco, e penso di conoscerlo, Joe Schmidt, allenatore dei Verdi, deve aver minacciato di morte i giocatori, i familiari dei giocatori ed eventuale progenie, perché tutto ciò non è neanche lontanamente ammissibile. L’Irlanda è venuta all’Olimpico per una passeggiata di salute e si ritrova in un incubo dal quale non è così scontato svegliarsi.

Dettagli e attitudine. Rieccoci.

L’Irlanda torna sul prato dell’Olimpico come un toro tornerebbe nell’arena dopo essersi fatto ridicolizzare da un torero obeso.

Il torero non deve uscirne vivo.

Maniacale la ricerca della meta dell’Irlanda, restia ad accontentarsi dei 3 punti, mentre Munari scomoda anche la più famosa resistenza italiana (RICORDATEVI IL PIAVEEEE cit.), ma Earls segna il controsorpasso che teoricamente dovrebbe riportare l’equilibrio nella Forza.

La profezia però era sbagliata in Star Wars, figurarsi in una partita di rugby;

l’Italia continua a muovere il pallone, cerca di sporcare il possesso irlandese, alla fine i placcaggi totali saranno 182 a dimostrazione del dispendio energetico al quale i ragazzi di coach O’Shea sono costretti a sottoporsi.

I dettagli però sono fondamentali, essere puliti e allo stesso tempo cattivi sul punto d’incontro è una di quelle arti che rendono un rugbista indispensabile per la sua squadra.

L’Italia raramente riesce a mettere le mani e quando lo fa viene spesso punita dall’arbitro. La bellezza di 14 calci di punizione concessi ai nostri avversari. Un dato che non può coesistere con una vittoria azzurra.

Al 67’ arriva la meta di Murray, nel complesso il pack irlandese ha avuto la meglio per quasi tutta la partita, forse l’unico aspetto del gioco in cui non siamo mai riusciti a rivaleggiare ad armi pari contro l’Irlanda. 



L’intensità dei nostri non cala nemmeno negli ultimi dieci minuti, a dimostrazione di quanto lavoro sia stato fatto dallo staff azzurro nella preparazione a questi appuntamenti e nella gestione degli ottanta minuti (oltre a un ottimo livello dimostrato dai subentranti, specialmente tra gli avanti).

L’Italia gioca oltre l’ottantesimo, alla disperata ricerca di un meritatissimo punto di bonus, ma per quanto lo sport sia uno degli aspetti della vita più meritocratici, è vero anche che esige un tributo in freddezza e precisione che prima o poi va pagato.

McKinley ha sul piede il pallone che muoverebbe la classifica degli azzurri ma l’ovale si spegne a lato dei pali. Italia 16, Irlanda 26.

Tradotto: Italia 0 punti, Irlanda 5.

Una partita che gli uomini di coach Schmidt hanno rischiato di perdere è comunque finita con il punto di bonus e la consapevolezza che quello dell’Olimpico è stato un incubo sui cui scherzare la mattina dopo. Il torero è stato abbattuto, perché se mancano i dettagli o l’attitudine vince la squadra più forte. Sempre.

Ci si rivede a Twickenham tra due settimane (ovviamente ci si rivede sul divano, con il the, loro saranno a Twickenham, sai che sbatti arrivare fino a Londra) a casa di un’Inghilterra reduce da una sanguinosa sconfitta in Galles che potrebbe costargli il torneo.

Rendiamogli la vita complicata, superiamoli in attitudine, curiamo i dettagli e vediamo cosa succede.

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