“Ma gioca solamente con Sarri, con altri allenatori non vedrebbe il campo”.
Che sia al pub, al lavoro, tra i banchi di scuola, ogni conversazione che si rispetti possiede il suo leitmotiv, le frasi ricorrenti, incontro alle quali, prima o poi, si va costantemente a rifinire.
Quando il discorso è andato a toccare l’argomento dei migliori registi in circolazione, infatti, qualora fosse stato fatto il nome di Jorginho, l’altro interlocutore, per la maggior parte dei casi, avrebbe optato con quella risma: un giocatore prevedibile, dal repertorio scarno, e fortunato a trovarsi al posto giusto al momento giusto. A cinque anni dall’approdo di Maurizio Sarri sulla panchina del Napoli, e a sei dal suo arrivo ai piani alti del calcio europeo, il bilancio mostra tutt’altro: in effetti, andando ad analizzare le successive stagioni del naturalizzato italiano, si è in grado di ribaltare tale tesi con estrema facilità.
“È troppo lento, è inutile che continui ad elogiarlo”
Dopo un primo anno al Chelsea con il suo “padre calcistico”, ha messo le radici nella mediana blues, divenendo un elemento imprescindibile anche per Frankie Lampard, che, oggettivamente, qualcosa di centrocampisti ne dovrebbe sapere. In parallelo, poi, sfruttando le origini della provincia vicentina della famiglia paterna, si è riuscito ad imporre con forza come cardine dello spumeggiante 433 varato dal C.t. Roberto Mancini.
Il peccato originale, l’innesco che ha acceso la tesi portata avanti dai suoi detrattori è da ricercare proprio nell’avvento dell’ex tecnico della Juventus. Una volta arrivato, si trovò costretto a recuperare i pezzi di una squadra e di uno spogliatoio smembrati dalla gestione Benitez, deflagrata con il rigore di Higuain alle stelle, sancendo la mancata qualificazione in Champions League. Un 4-2-3-1 spericolato e costantemente preda di furiose scorribande offensive da parte degli avversari, soprattutto per vie centrali, lasciate sguarnite da una mediana non adatta a quel particolare tipo di gioco. È per questo motivo che, Jorginho, da promettente acquisto, era progressivamente finito ai margini della squadra: prelevato in seguito ad un’ottima annata dall’Hellas Verona, non fu in grado di proporre il filtro adeguato alla propria retroguardia, e di certo non aiutò il mese in Brasile durante le vacanze natalizie in cui l’oriundo smise totalmente di allenarsi. Sfiancato da corse infinite, inoltre, ne andò a risentire anche la lucidità in fase di impostazione, facendo sì che, solamente in rare occasioni deliziò i propri tifosi con lampi di classe. Come detto, tuttavia, il centrocampista non era il solo, basti pensare al caso più eclatante, quello di Koulibaly, protagonista di una stagione balbettante ed etichettato, da qualche incauta testata giornalistica, come non all’altezza di tale palcoscenico.
A voler analizzare attentamente il lavoro di Sarri, è bastato dare una parvenza di stabilità all’impianto di gioco degli azzurri, non lasciando niente al caso, ed anzi, valorizzando ogni giocatore con indicazioni e compiti ben precisi. Come si fa con una grande costruzione, quindi, per prima cosa bisogna cominciare a dare sufficiente sostanza alle fondamenta, garantendo, in questo modo, la sicurezza e la stabilità necessarie per sviluppare il progetto. Ed ecco che, consegnare le chiavi della regia a Jorginho risultò come il passaggio principale, la prima pietra per un triennio che ha scritto la storia del club partenopeo: posto al centro di una mediana a tre uomini, con ai suoi fianchi compagni del calibro di Hamsik ed Allan, si è trovato nelle condizioni per esprimere il meglio di sé.
Non assisterete mai a continui lanci di cinquanta metri a saltare la difesa, alla maniera di Pirlo per intenderci, sarebbe come chiedere ad un quattrocentista di correre una maratona. Per esempio, all’interno della manovra del Napoli, balzava all’occhio la facilità con la quale l’attuale giocatore del Chelsea, una volta riconquistato il pallone, ribaltasse il campo, cercando di servire il più facilmente possibile il compagno meglio posizionato. Non vedrete colpi fantasmagorici, questo è sicuro, però sarà una goduria per gli occhi notare il suo calcio da massimo due tocchi alla volta: una sorta di sponda del Subbuteo, che è in grado di tenere il pallone il meno possibile al fine di velocizzare la manovra. Ad arricchire le skills da moderno volante davanti alla difesa, si può ulteriormente annoverare uno spiccato posizionamento difensivo: come se possegga una bussola incorporata, fa sua la fondamentale peculiarità di trovarsi al posto giusto al momento giusto, divenendo, in questo modo, un elemento imprescindibile a livello tattico.
Il menù di casa Jorginho, già ricco e fitto di eleganti portate, si riserva alla fine, alla stregua di quel dessert dall’ottimo sapore che ti fa uscire soddisfatto dal ristorante, una sorprendente capacità nel tirare i calci di rigore: un repertorio che lo ha fatto entrare nell’immaginario degli appassionati per la potente finta, accennata poco prima di calciare e che di solito non lascia scampo agli avversari. Le statistiche raccontano di una percentuale realizzativa da cui spicca un’efficacia non da poco, tale da spazzare via tutti i dubbi: un soddisfacente 92 %, figlio di 23 centri sui 25 calciati.
Insomma, giunti a questo punto il verdetto pare chiaro ed abbastanza lampante: le stagioni passano, gli allenatori cambiano, ma il suo posto al centro della cabina di regia resta saldo e più forte che mai.
Articolo a cura di Lorenzo Solombrino

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