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Non tutte le notti sono uguali - Crampi Sportivi

Non tutte le notti sono uguali

Quella del Super Bowl, la numero 53, sarà magica.

Certe notti somigliano a un vizio che non voglio smettere, smettere, mai”.

Ligabue – Certe Notti

Facile, troppo facile, elementare quasi, cercare e trovare nel testo di Luciano Ligabue la sintesi perfetta di una notte come il Super Bowl.

Banale, ma non per questo meno vero.

Perché ci sono appassionati di football che vorrebbero Super Bowl ogni sei mesi, e altri che ne vorrebbero uno all’anno ma con playoff infiniti.

Troppo bruciante l’adrenalina dei dentro-fuori, con ventidue uomini a menarsi fendenti sul campo.

Gianna Nannini ventinove anni fa cantò notti magiche, ispirata da quell’altro sport che coinvolge undici uomini, l’unico sport europeo che riesce a competere economicamente con l’industria sportiva a stelle e strisce.

Notti magiche. Quelle del Super Bowl lo sono per certo.

La sottile linea grossa

schema football americano

Nel virtuale ring del Gran Ballo 2019, i Patriots occupano l’angolo rosso.

Il quale in realtà di solito sarebbe occupata dei detentori del titolo, mentre la truppa di Belichick, l’anno passato è uscita sconfitta nel confronto con i Philadelphia Eagles.

Poco male, perché nell’immaginario collettivo sono ancora loro quelli con la corona.

Ci mancherebbe altro: il ciclo cominciato all’alba del nuovo millennio e non ancora terminato ha portato a cinque vittorie al Super Bowl e tre sconfitte, che comunque per i più distratti significano tre Championship, non proprio poca roba.

Il principale artefice è Bill Belichick: non è lesa maestà nei confronti di Vince Lombardi, Tom Landry, Don Shula, Chuck Noll o Bill Walsh, definirlo il miglior coach di sempre ad aver calcato le aree tecniche NFL.

Il football è uno sport particolare, dove ci sono dinamiche diverse dagli altri.

Una su tutte è la presenza di uomini il cui unico compito in campo è arginare gli avversari, senza avere per regolamento la facoltà di ricevere palla per segnare (non eleggibili, in gergo).

Per questo e per altri motivi, che è meglio non inserire per non rendere questo approfondimento una Stele di Rosetta, il coach nel football americano ha un’incidenza maggiore rispetto agli altri sport, prova ne sia la consistenza chilometrica degli staff NFL.

Per questo e per altri motivi, più di Tom Brady, che pure rappresenta il suo braccio armato in campo, è Bill Belichick l’Efesto dei Patriots.

I quali mai come quest’anno erano dati come abdicanti, quando si sussurrava di maretta tra il capo allenatore e il suo regista.

Invece i vice-campioni hanno di nuovo raggiunto il Super Bowl.

Come sono riusciti nell’ennesima scalata verso la gloria? Presto detto.

Il primo fattore è stata la linea offensiva. Sì, perché per permettere a Tom Brady di fare il Tom Brady la necessità la prima necessità è stata quella di proteggerlo a doppia mandata.

Così, mentre il quarteback ci metteva del suo presentandosi tirato a lucido e sorprendentemente veloce per un quarantenne, lo staff tecnico gli costruiva attorno una muraglia.

Nessun nome in risalto, ma tutti elementi che sanno fare il loro lavoro e lo sanno fare bene, brillando nei blocchi portati e nella pass protection.

Andrews si è scoperto molto mobile, e il suo lavoro come help-blocker sarà fondamentale per limitare Aaron Donald, insieme con Thuney e Mason.

I tre sono l’ultima epitome della capacità di Bill Belichick di reclutare gente sconosciuta e portarne il rendimento al massimo, costruendo un sistema che ne esalti le qualità.

Parole che potrebbero essere trasposte anche per Sony Michel, addirittura primo in regular season per i Patriots nelle yard corse, superando quel James White che resta comunque uno dei bersagli preferiti dal quarterback quando c’è da chiudere un down.

Un contributo sostanzioso dovrà venire anche da James, fullback micidiale bloccatore, e dal noto Edelman, letale in ogni zona del campo tranne lungo la sideline.

Di Gronkowski e della sua taglia fisica schierata sulla linea d’attacco avevamo già trattato qualche settimana fa, ma vale la pena evidenziare come il gap in suo favore nei confronti dei linebacker dei Rams Littleton e Barron potrebbe costringere lo staff tecnico losangelino a schierare contro di lui in difesa Donald o Suh.

La retroguardia di New England, invece, sarà impegnata a fermare il vasto parco ricevitori dei Rams.

I due cornerback, Gilmore e Jason McCourty, dovranno stare sul pezzo, anche se saranno coperti dalle due safety, Devin McCourty e Chung, e quest’ultimo sarà deputato a proteggere la zona denominata “flat”, che sarà possibile terreno di conquista dei tight end californiani.

La partita nella partita, però, si giocherà qualche metro più avanti.

La copertura a uomo di Van Noy si completeranno con la tempestività con cui Hightower proteggerà il lato, ed entrambi saranno cruciali nei blitz.

Salvate il soldato Jared


Volendo proseguire l’iniziale metafora pugilistica, nell’angolo blu degli sfidanti ci sono i Rams, che solo nel 2016 sono tornati a Los Angeles dopo gli anni a Saint Louis.

McVay è stato ingaggiato come head coach l’anno passato.

Ha alle spalle una storia curiosa: è figlio di Tim, ex defensive end degli Indiana Hoosiers, e nipote di John, general manager dei 49ers degli anni Ottanta, sì, quelli di Joe Montana

Al liceo era una stella come quarterback, mentre al college si riconvertì in ricevitore.

La sua famiglia è molto amica con i Gruden, quindi, siccome tutto il mondo è paese, Jon lo chiamò nel 2008 ai Buccaneers nello staff tecnico.

Poi passò ai Redskins, dove sotto l’ala di Mike Shanahan si stava formando una nidiata di allenatori destinata a prendersi le luci della ribalta: oltre a lui, Kyle Shanahan e Matt LaFleur, che l’anno prossimo saranno al vertice delle piramidi rispettivamente di Niners e Packers.

Los Angeles ha dato fiducia a McVay: al primo anno ha raggiunto i playoff, al secondo il Super Bowl.

Goff aveva dei limiti, su tutti una certa tendenza ad andare in apnea quando si alza il tiro;

ora molto più sicuro fuori dalla tasca e nei lanci, contro cui i Patriots prepareranno la contraerea, e renderla inefficace sarà compito tanto del regista quanto della freccia Cooks, verticale e guizzante wide receiver.

Il commilitone Woods non ha lo stesso controllo del corpo di quest’ultimo, ma è un bloccatore efficace e taglia bene il campo.

Proprio perché l’aria sarà ben pattugliata, sarà determinante per i Rams far muovere la difesa anche via terra.

Nema problema: Todd Gurley e C.J. Anderson si alterneranno in questo compito, supportati dal terzo per yard corse in stagione regolare, Malcolm Brown.

Salvo sorprese dell’ultimo minuto, che al Super Bowl spesso più che l’eccezione sono la regola, la formazione scelta da McVay per entrare in endzone sarà quindi l’11-personel, ovvero quella che prevede un running back, un tight end e tre ricevitori, che la linea d’attacco dovrà proteggere da Guy, Flowers e blitzatori il proprio quarterback.

Un attacco che sta in campo parecchio e, di conseguenza, tiene molto in sideline Tom Brady, come dall’inizio d’altronde cercarono di fare l’anno passato gli Eagles, sarà una delle possibili letture di questo match.

Non che la difesa giallo-blu non sia fornita, tutt’altro: tra acquisti e conferme, forse è stato il reparto finito con più frequenza sotto la lente di ingrandimento.

La punta di diamante è ovviamente Aaron Donald, un eccellente distruttore di giochi, che molti considerano come l’arma impropria per rintuzzare il passing game dei Patriots.

Accanto a lui giostreranno Suh come nose tackle e Brockers come defensive end. Il fatto che tutti e tre in stagione regolare si siano attestati poco sotto i 60 placcaggi dà l’idea di quanto la loro incisività sia complementare e ben amalgamata.

A distinguersi per sack è stato il primo. Mentre il terzo è un’ancora che permette agli altri due di penetrare tra le maglie dell’attacco avversario.

Di Littleton e Barron abbiamo accennato sopra, ma se la loro relativamente ridotta stazza fisica potrebbe essere un problema in alcune circostanze, dall’altro li rende agili, come dimostrano la prima e la quarta posizione di squadra nella graduatoria dei placcaggi totali.

E in mezzo a loro?

Si posizionano Johnson e Joyner, le due safety.

Re incontrastati degli intercetti recuperati. Iil primo in particolare si segnala come ottimo difensore sulle corse, e verosimilmente finirà per coprire Gronkowski o White, mentre il secondo ha l’incombenza di proteggere il mezzo profondo.

I due cornerback, infine.

Peters domina nella categoria “intercetti lunghi”, mentre Talib farà bene se Brady dovesse decidere di lanciare sul lato, nei momenti delicati del match, come sua abitudine.

Approfondimento a cura di Luigi Ercolani

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