It’s a new dawn
(Nina Simone, Muse, Michael Bublè e tanti altri, compreso, probabilmente Alex Smith sotto la doccia)
It’s a new day
It’s a new life
For me
And I’m feeling good
È una domenica insolitamente mite quella dell’8 novembre negli States, persino nella capitale. Siamo già immersi nell’ultimo quarto di gara e mancano circa dieci minuti alla fine del match, con Washington sotto di dieci punti contro i New York Giants in uno storico “derby” della NFC East: Alex Smith riceve lo snap, alza lo sguardo, ben difeso dalla sua linea offensiva, e fa partire dal suo braccio un pallone che giunge all’altezza della metà campo, ben oltre la linea del primo down. Lancio completo, anzi molto di più: il ricevitore McLaurin rompe un paio di tackle morbidi e s’invola in end zone. Touchdown.
Un lancio ben realizzato, ma come se ne vedono tanti, eppure le telecamere si soffermano solo un momento sul ricevitore, che passeggia nella zona di meta, per poi andare subito a cercare il quarterback con il numero 11. Eh sì, perché non è un touchdown qualsiasi: è infatti il primo messo a segno da Alex Smith da due anni a questa parte, il primo dal suo ritorno in campo, avvenuto lo scorso 11 ottobre contro i Rams subentrando a partita in corso. Ma cos’è successo nel frattempo?
IL PROLOGO
Riavvolgiamo il nastro di questa incredibile storia fino al 18 novembre 2018. Un segno evidente dello scorrere del tempo è che ancora scendevano in campo i mitici Washington Redskins, mentre da questa stagione la franchigia si è arresa alle polemiche, sempre più accese, abbandonando una denominazione tanto storica quanto considerata politicamente scorretta, e trovandosi ancora senza un nome in attesa di sceglierne uno nuovo. Ma questa, per quanto interessante, è un’altra storia: quella che ci preme raccontare è che durante il match tra Redskins e Texans, e in una situazione di gioco analoga a quella di due domeniche fa, Smith riceve il pallone, ma in quel caso la linea offensiva non tiene e il “caterpillar” avversario JJ Watt sfonda innescando, insieme al blitz di un compagno di squadra, una combo fatale sul povero Alex, che viene travolto dai due e subisce un infortunio orribile alla gamba destra. Se la vista di quelli capitati a Totti contro l’Empoli o a Eduardo dell’Arsenal, tanto per rendere l’idea, vi hanno fatto trasecolare, evitate pure di guardare il video seguente: non è esattamente per deboli di cuore.
All’ospedale, la diagnosi è crudele e parla di frattura esposta a spirale della tibia e del perone, un infortunio già gravissimo di per sé, ma non è ancora finita: dopo l’operazione per ridurre la frattura e suturare la pelle, infatti, Smith inizia a stare male, con febbre alta e pressione che crolla. Togliendo il bendaggio, appare tutto chiaro: un’infezione tremenda gli sta letteralmente mangiando la gamba. Non si tratta più di ortopedia, ma di salvargli la vita prima che l’infezione progredisca arrivando a intaccare qualche organo vitale. Ora, immaginatevi di riprendere coscienza e di trovarvi davanti una schiera di medici che vi dicono che l’opzione più sicura per evitare complicazioni è amputare la gamba perché l’infezione è ancora molto estesa.
NEVER BACK DOWN
Immaginatevi anche, però, di avere in testa una cosa sola: tornare in campo, rilanciare un touchdown, lanciarne un altro e un altro ancora. Credo che Alex Smith non abbia pensato neanche per un momento che non sarebbe tornato a fare quello che più gli piace, vale a dire giocare a football. Lui non solo scarta l’ipotesi dell’amputazione, ma tra le due opzioni di trasferimento muscolare per rivitalizzare la gamba malata decide di asportare muscolatura dalla gamba sinistra, quella buona, piuttosto che dalla schiena, perché pare abbia detto ai medici che la schiena gli serve per lanciare. In un letto di ospedale, dopo aver rischiato la vita e con il rischio concreto di dover comunque amputare l’arto se l’operazione non avesse avuto buon esito, lui aveva già fissato il suo obiettivo: un inno alla testardaggine, a un ottimismo quasi ingiustificato, alla forza di volontà, a tutto ciò che è vita. E questo obiettivo alla fine lo ha raggiunto: ha vinto lui, la sua perseveranza, la sua costanza nel lungo e difficile periodo di riabilitazione, l’aver creduto in una sorta di miracolo quando poteva sembrare un successo anche solo tornare a camminare. E, diciamolo, hanno vinto anche i chirurghi e la medicina, perché forse fino a mezzo secolo fa l’amputazione sarebbe stata l’unica soluzione.
Invece no, il numero 11 cammina, corre e lancia, e non lo fa nel cortile di casa con la moglie e i figli, visibilmente commossi e orgogliosi, sugli spalti nel giorno del suo rientro in campo (come potete vedere nel video qui sopra), ma negli stadi della National Football League. Come dice il commentatore, si sarebbe meritato il suo stadio pieno che acclamava il suo rientro, ma non si può avere tutto. Certo, ora che è arrivato anche il touchdown della rinascita, gli manca solo una nuova prima vittoria.
In ogni caso, il suo Super Bowl l’ha già vinto. Welcome back, mr Smith.

Classe ’92 di Arezzo, scrivo e calcio (si fa per dire) di sinistro. Tifo la squadra della mia città e ho un debole per gli “underdogs”, come quei New York Giants che sconfissero i Patriots nel Super Bowl XLII. Orfano di Kobe Bryant, del Boleyn Ground e degli Oasis, spero ancora in una loro reunion, di salire in una DeLorean come quella di Doc, di trovare il mio ombrello giallo e, mal che vada, di avere sempre una birra a portata di mano.