Ciao, Diego.
E’ curioso come abbia deciso di tornare a scriverti proprio oggi, ad un anno esatto da un evento che stento ancora a realizzare. Sia chiaro, non sono uno di quei nostalgici che rimpiange il passato né tantomeno le figure più o meno rilevanti che hanno reso irripetibile un’ipotetica e vanesia età dell’oro: anzi io nemmeno ti ho mai visto su un campo da gioco né tantomeno di persona. Figurati un po’…
Per quello che ho potuto, ho seguito in tv i lampi della tua seconda vita dopo il calcio, mentre quella precedente, durante la quale facevi ammattire e meravigliare il mondo con una palla al piede, l’ho ricostruita per lo più passando per videocassette, programmi tv, compilation di gol su reti locali, filmati di YouTube, film o quelle commoventi interviste che concedevi al tuo amico Gianni Minà.
Certo, poi c’è stata quella parentesi durante la quale allenasti con l’Argentina il Messi probabilmente più forte di sempre e non brillasti affatto… ma quella è un’altra storia, o forse sono io a non volermici soffermare per sottrarmi all’evidenza che anche tu sul rettangolo verde non sei stato onnipotente.
Ad ogni modo, dicevo, il motivo di tutto questo non è ricordare con malinconia ciò che fu. Quello che voglio scriverti, ammesso che poi tu non lo stia già vedendo coi tuoi stessi occhi, è che trovo imbarazzante e disarmante tutto quanto sta accadendo da un anno intorno a te, ai tuoi interessi, ai tuoi lasciti.
Certo, sei stato tu il primo ad esorcizzare ed assolvere i tuoi demoni con quel “la pelota no se mancha” (la palla non si macchia), e probabilmente perdonare questo manipolo di attoruncoli di un teatrino meschino non ti sarà costato che un’alzata di sopracciglia. Io invece non ci riesco.
Ecco l’ho detto.
Ho iniziato a mal sopportare cosa ti stavano facendo dopo aver visto un video in cui un cantante che ti ha intitolato una famosa canzone, su un campetto di calcio a cinque in erba sintetica con tanto di porta sguarnita sullo sfondo, intonava quello stesso brano in attesa che passasse il tuo feretro sul carro funebre. Tutto a favore di camera, gente ammassata sulle reti esterne, ed una tempistica perfetta: all’acme del trasporto emotivo del secondo ritornello ecco sfrecciare la sagoma del veicolo grigio con dentro la bara. Da quel momento è un delirio: il cantante che urla sguaiato, quasi piange, la gente che a sua volta urla e si dimena, motorini che sfrecciano ad inseguirti ed affiancarti, la telecamera che mentre l’odiosa ugola ancora va imperterrita riprende la scena indecorosa. E la ciliegina finale, col sedicente cantante che urla “Te amo, Diegooooooo” col video che sfuma.
Alla fine di tutto, ho pensato che ti avevano già tradito. O forse non ti avevano mai amato veramente. Quelle persone lì non stavano manifestando il loro dolore, ma solo spettacolarizzando il loro morboso attaccamento a te; stavano ancora sfruttandoti per vivere di una luce riflessa che stava per spegnersi. Ho chiuso, e mai più riaperto quel video.
Non vorrei arrecarti troppo dolore, ma nel delirio della successione è accaduto anche che una delle tante donne con cui hai avuto una delle tue tante avventure ha reclamato per il figlio, che un giudice ha stabilito essere anche tuo, il palco della Bombonera che il Boca Juniors ti ha regalato. Da lì hai visto la tua squadra del cuore segnare, vincere e perdere; ed io nemmeno so cosa possano farci esattamente con un palco all’interno di uno stadio (soprattutto se il piccolo Diego Fernando magari tifa pure River) ma intanto rientra nel tuo patrimonio immobiliare ed anche quello va spartito tra gli eredi. E se lo prenderanno, stanne certo, visto che la madre lo ha espresso persino in tv come fosse una questione di principio. In tv e sui giornali poi c’è anche una donna, a distanza di un anno dalla tua morte, che tutt’un tratto ha ricordato che tu le usasti violenza, ed ora finalmente ha trovato il coraggio per denunciare.
Tornando ai tuoi eredi, poi, li hai fatti anche un po’ arrabbiare, dato che non hai lasciato loro solo belle cose ma anche svariate migliaia di dollari di debiti. E per questo stanno mettendo all’asta gli stessi tuoi beni che gli spettano per diritto successorio. C’è chi ha venduto venduto Villa Devoto (la casa che regalasti ai tuoi genitori), chi ha messo in vendita le tue auto (tra cui una BMW con il tuo autografo originale sul parabrezza), fino a chi ha dato via un tuo tapis roulant, una cravatta, dei cappellini, una lettera di Fidel Castro, persino delle bretelle! L’unica cosa che vorrebbero conservare di te, insomma, sono i soldi.
Proprio come i soldi erano l’unica cosa che ti chiedevano appena ti sei avvicinato alla soglia “critica” dei 60 anni.
Che avevi le mani bucate lo sapevano eccome, e quindi ci tenevano a non farti dilapidare una patrimonio che sentivano già di loro proprietà, ma che te ne saresti andato proprio a quell’età si tratta di essere solamente spregevoli maghi d’accattonaggio.
E così, dopo i 4 milioni di euro e passa che hai elargito tra tutti familiari ed amici quando eri ancora in vita, dopo di te la lotta si è spostata su altre cose immateriali: i diritti d’immagine.
Come in una guerra dei due mondi, si fronteggiano le fazioni sudamericane ed europee, con figli ed ex agenti a rivendicare il diritto di beneficiare di tutto quanto l’immagine per usi commerciali del padre riesce ancora a fatturare. I proventi spettano ai figli perché subentrano in successione o agli ex agenti per via di contratti ormai irrevocabili dal fu Diego Armando Maradona? La lotta a suon di carte bollate è solo all’inizio, e promette solo bassezze insopportabili. Ti consiglierei quasi di non interessartene.
Veniamo poi alle squadre, nazioni e città che più ti hanno amato o che hanno anche solo ospitato le tue gesta sportive.
Partiamo ovviamente dal Napoli. Il club, dopo averti intitolato a tempi di record insieme al comune lo stadio cittadino, ha fatto esordire in fretta e furia una sedicente maglia celebrativa in stile argentina. Pronta ed elaborata in tempi record, spacciata come in tuo onore, non ha un solo rimando a Diego Armando Maradona: solo bande verticali bianche ed azzurre. Tempo qualche giorno e l’indiscrezione è confermata: quella maglia avrebbe dovuto debuttare a prescindere quell’anno stesso, ed era già pronto tutto. Rimane quindi solo una grande e fortunata operazione di marketing per una shirt venduta nei negozi al prezzo di 150 euro.
Ma non basta, perché poi c’è stata (anzi, ci sarà) la “Maradona Cup” per la quale il Napoli doveva ambire ad essere promotore ufficiale, ed invece nemmeno parteciperà. Il motivo più accreditato è quello secondo cui il club non avrebbe trovato l’intesa sulle spese di trasporto e soggiorno in Arabia Saudita. Capisci? Una coppa per Diego Armando Maradona, giocata oltretutto in Arabia Saudita, senza il Napoli. Se la giocheranno solo Barcellona e Boca Juniors, in gara secca a dicembre di quest’anno. Ma cosa c’entra questa cosa con te e con la tua storia di calciatore e uomo?
Ma aspetta, perché sempre il Napoli ne ha fatta un’altra: dopo la maglia “stile argentina” ha lanciato di recente anche un altro modello celebrativo. Sì con la tua faccia stampata sopra all’altezza dell’addome dei calciatori, e la particolarità è che sei in rilievo su un’impronta digitale. Ad immaginarti così è stato un artista napoletano, mentre è stato poi il club a pensare di trasferirti su una divisa da gioco (nell’insieme anche un po’ bruttina, a farle un complimento). Il significato dovrebbe essere una cosa tipo “noi Maradona ce lo abbiamo sulla pelle”, curioso che però lo stesso club non ti abbia mai coinvolto in nulla che lo abbia mai riguardato. Diego direttore sportivo o ambassador della Società Calcio Napoli nel mondo, quello sì avrebbe testimoniato e rilanciato il legame con Napoli ed i napoletani. Ma nulla, anche qui pare di essere soli come stranieri in terra sconsacrata. In compenso però ti stanno preparando una statua da apporre nel tuo stadio, il Diego Armando Maradona di Napoli… Così potranno dire non solo che ci sei stato, ma che si sei e sarai sempre da oggi in poi.
In definitiva, Diego, pare che ti abbia scritto solo perché da un po’ avevo questo peso che volevo togliermi dal groppone e ho finito per buttartelo addosso anche se in tutta questa storia tu ormai non c’entri più nulla.
Tuttavia, come la tua stessa vita ha insegnato: tutti hanno il diritto di riemergere dagli abissi dei propri errori ed avere una seconda possibilità. Ma a differenza tua, quanti saranno capaci di prenderne coscienza ed ammetterlo a se stessi?
La pelota no se mancha solo se sei Diego Armando Maradona. Tutti gli altri, invece…
Hai ancora tanto su cui far riflettere ognuno di noi, Diego. Ci riscriviamo tra un anno.
Armando

Classe 1988, laureato in Giurisprudenza, consulente. Ad un passo dell’addio al calcio tifato, è arrivato Guardiola a scombussolarlo e a farlo sentire come un pallone calciato al volo da Ibrahimovic all’incrocio. A scuola, nell’ora di educazione fisica dovrebbero leggere Cruyff.