La Verde

Il Sud America è un continente immediatamente associato al calcio: per la storia dei successi delle nazionali sudamericane, per la moltitudine di campioni prodotti e per la passione mista a fede e cultura che emana per il fútbol. Oltre alla seleção e all’albiceleste, oltre a Pelè, Maradona, Messi, c’è un mondo tutto da scoprire dove immergersi tra storie mistiche di giocatori e allenatori unici e partite leggendarie, il tutto in una cornice che tale non è, perché è ampiamente parte del quadro. La selección boliviana è quella di cui si sente parlare meno, troppo spesso ridotta al concetto dell’altitudine (che è sicuramente importante, ma non esauriente) e invece tra passato, curiosità e presente, è un viaggio narrativo-sportivo che merita d’esser fatto.

I dati dei social sono emblematici del peso della seleccion boliviana nel panorama calcistico mondiale. Fonte “Social Media Soccer

Il 62esimo posto nel ranking FIFA, tra Honduras e Mali, dice solo parzialmente delle difficoltà del calcio boliviano, perché i tornei internazionali e la maggior parte delle partite non si giocano a 3600 metri, purtroppo per la Verde. La nazionale è poco seguita sui social network (dati di Social Media Soccer nell’immagine) e un risultato sportivo di prestigio aiuterebbe molto il riposizionamento sulla mappa calcistica.


Non solo ‘altura’

La Bolivia dal 2009, tramite un referendum, è diventato uno stato plurinazionale per preservare le varie le popolazioni indigene originarie.


In Bolivia non si parla soltanto lo spagnolo, ma anche il quechua, l’aymara, il guaraní ed altre lingue native; questo complica la comunicazione delle tradizioni locali verso l’esterno, d’altronde la trasmissione della cultura è aiutata dall’accessibilità della stessa. La popolazione è di 10 milioni di abitanti ed è uno dei 42 stati al mondo a non aver sbocco sul mare. Ha perso la costa verso il Cile durante la guerra del Pacifico. La Bolivia non ha formalmente rinunciato alla rivendicazione dell’antico dipartimento marittimo di Arica, rappresentato da una stella sulle bandiere boliviane. Ciò nonostante, nel 2010 la Bolivia ha stretto un accordo con il vicino Perù col quale ha ottenuto per 99 anni l’uso del porto di Ilo. Il territorio boliviano è tanto magnifico quanto poco praticabile, si può dividere in due aree geografiche principali: le terre orientali tropicali, i due terzi del paese, divise tra bacino amazzonico e l’area del chaco e le Ande, un terzo del paese, nella parte occidentale, costituite sia dalla cordigliera come dall’altopiano. Inoltre possiede sia la foresta tropicale secca più estesa al mondo nella regione del Chaco, sia la più grande distesa salata della terra. Situato a 3.650 metri di quota, nell’altopiano andino meridionale della Bolivia, c’è il Salar de Uyuni un gigantesco deserto di sale che con i suoi 10.582 km² risulta il più grande al mondo.

Forse vi starete domandando il perché di questo excursus morfologico?

Beh, ci sono varie teorie sul fatto che le nazionali di calcio improntino il proprio stile di gioco (primordiale) su degli istinti dovuti anche alla storia e alla conformazione del territorio.

Ad esempio l’idea (stereotipata) del calcio inglese è fatta di palla in aria e conquista del terreno e del pallone, poco ragionata e decisamente improntata all’esplorazione calcistica. La Gran Bretagna e la propria insularità hanno un percorso storico con delle analogie in merito. Per questo non è peregrino pensare che l’avverso territorio boliviano abbia influenzato il pensiero e le possibilità anche nel mondo sportivo. La Verde infatti gioca da sempre in modo arcigno, arroccata a difesa di ciò che ha, ed è decisamente meno avvezza a sortite offensive.

La Bolivia è poi collegata con un fil rouge all’altitudine delle proprie partite casalinghe. La maggior parte degli incontri vengono disputati allo stadio Hernando Siles, situato a 3600 metri, altezza che provoca non poche difficoltà ai giocatori stranieri, costretti a giocare in condizioni di aria rarefatta, con ciò che ne consegue ovvero affaticamento più rapido, maggior imprevedibilità delle traiettorie del pallone, condizioni alle quali i calciatori boliviani sono perfettamente abituati sin dai primi calci dati a un pallone. Le altre nazionali hanno protestato fortemente più volte e nel 2007 la FIFA stabilì 2500 metri come altitudine massima per disputare partite ufficiali, quota modificata poi a 3000 e con deroga straordinaria concessa alla Bolivia per giocare a 3600 metri. La modifica è dovuta ad una contro protesta di Ecuador e Bolivia, culminata con una partita d’esibizione del presidente della repubblica Evo Morales e alcuni membri del governo, in un improvvisato campo sulle Ande a 5000 metri, per dimostrare che si può giocare a pallone senza problemi in quelle condizioni.

Ecco, ora pensate un attimo a dove sarebbe potuta succedere una cosa del genere al di fuori del Sud America? Dunque sintetizzando, in altura si prova a vincere, altrove si limitano i danni. La Verde infatti ha ottenuto i suoi due migliori successi proprio in patria, conquistando la Copa America nel 1963 e arrivando in finale nel 1997.

Alisson, Alex Sandro, Miranda e compagni, con l’ossigeno al termine di una partita a La Paz.

Neanche quest’anno la Bolivia è riuscita ad invertire la tendenza che la vede sempre di più relegata ad essere il fanalino di coda della competizione, solo una volta nelle ultime otto edizioni è riuscita a superare il primo turno.

El profe Eduardo Villegas ha convocato un gruppo con un’età media di 26 anni, solo 3 che giocano all’estero, per cercare di plasmare un gruppo futuribile nei prossimi anni dove l’obiettivo sarà passare il girone di Copa America e ben figurare nelle qualificazioni mondiali, giocando con un baricentro più avanzato.

Va detto che in quest’edizione non si è visto granché, o meglio, si è vista la solita Bolivia con pregi (pochi) e difetti (tanti). Contro il Brasile in Brasile era sostanzialmente una mission impossible e il 3-0 finale è anche ingeneroso per la resistenza opposta ai padroni di casa, specialmente nel primo tempo.

Contro il Perù c’era stato l’episodio, quello della possibile svolta, un colpo di fortuna da cogliere al volo; sullo 0-0 l’arbitro assegna un rigore discutibile e Marcelo Moreno Martins lo trasforma brillantemente. A quel punto la partita si era messa sui binari ideali, la difesa del risultato, ma la Blanquirroja del Tigre Gareca è un equipazo, e nel segno delle sue 3 stelle (Aladino Cueva, el diez sin la diez, y la dupla classe 84 composta dal Depredador Paolo Guerrero e la Foquita Jefferson Farfan) si è presa il 3-1 finale.

La partita conclusiva contro il Venezuela è stata persa 3-1 senza mai creare i presupposti per vincerla, ma almeno giocandosela in modo più aperto; e la classifica finale recita un desolante 0 alla voce punti, 9 gol subiti e 2 (1 su rigore generoso) soli gol fatti.

Villegas ha promesso una nazionale più forte nei prossimi anni e chi siamo noi per contraddirlo, perciò non ci resta che seguire il percorso e dare tempo a una squadra difficile da stravolgere, in quanto il materiale tecnico al momento è quello che è.

I giocatori migliori

Alejandro Saul Chumacero Bracamonte, per tutti Chumacero, per chi vuole “Chumasteiger” per la sua somiglianza con Bastian Schweinsteiger. Centrocampista di quantità e intensità di 163 centimetri classe 1991, con gol nei piedi, anche in doppia cifra nel 2012-13 in patria col The Strongest, meno da quando gioca al Puebla in Messico o in nazionale. Può giocare sia più arretrato, che da centrocampista offensivo, di piede destro, ma non ha affato un sinistro deprecabile. E’ il calciatore boliviano più pagato al mondo. Giocatore di assoluto culto per i fan del calcio latino americano.

Marcelo Moreno Martins: doppia cittadinanza brasiliana, per il padre, e boliviana per la madre e per nascita. Moreno è il cognome “boliviano” materno e Martins quello “brasiliano” paterno. E’ sposato con una brasiliana e spesso fa le vacanze lì. E’ stato convocato dalle selezioni giovanili del Brasile a seguito di un’ottima Coppa Sendai in Giappone nel 2005, ha però poi optato per la Bolivia ricevendo la prima chiamata nel 2007. Classe ’87, soprannominato Ariete per i suoi 188 cm e quasi 90 kg, prima punta dello Shijiazhuang Ever Bright (serie b cinese), un passato in europa tra Shakhtar Donetsk, Werder Brema e Wigan. Il suo periodo migliore è sicuramente quello tra Gremio e Cruzeiro, dove si è laureato capocannoniere. “La mia forza di volontà e la voglia di vincere, vengono dalla Bolivia. E’ ciò che mi ha reso il calciatore che sono. Mentre la tecnica e il modo di intendere il calcio sono brasiliani”, così si descrive Martins in un’intervista. E’ a quota 18 gol in nazionale in 70 partite, ne mancano 2 per raggiungere in vetta un’assoluta leggenda del calcio boliviano Joaquin Botero (20 gol in 48 partite tra il 1999 e il 2009).

Golazo dei bei tempi al Cruzeiro.

Erwin Saavedra: 23enne da seguire, esterno destro del Bolívar La Paz, transitato in Brasile al Goiás, Saavedra è più bravo con la palla che senza, discreto difensore d’istinto sul pallone, ha una progressione notevolissima e un destro secco invidiabile. Nel 2016 in un 1-1 contro il Boca Juniors aprì le marcature con un gol pazzesco, il Boca pareggiò a recupero praticamente scaduto con Federico Carrizo.

Merita un’occhiata.

Le vette della Bolivia

I due risultati migliori della storia sono il trionfo del 1963 e la finale del 1997, ovviamente entrambi in casa. Tra i due il più impressionante è il secondo, non solo perché ottenuto in epoca recente, ma anche perché nel 1963 Uruguay e Cile hanno disertato la competizione in segno di protesta per l’altitudine, mentre Argentina e Brasile hanno inviato rose molto rimaneggiate imbottite di giovani, ottenendo di non giocare ai 3600 metri di La Paz bensì ai “soli” 2300 di Cochabamba. Nel ’63 non era prevista un fase ad eliminazione diretta, dunque la Bolivia si laurea campione con 5 vittorie e 1 pareggio nel mega girone. I 5 gol di Maximo Alcocer e i 2 di Ugarte (entrambi marcati in un pirotecnico 5 a 4 contro la selecao) marchiano l’unica coppa della bacheca.

Il trionfo della Verde del 1963 ritratto sul volto festante di Ugarte.

La più forte Bolivia mai vista in campo è quella di Baldivieso, Erwin Sanchez, Trucco e del diablo Etcheverry, l’unica in grado di conquistare sul campo la fase finale di un Mondiale, la sola ad aver sognato di alzare nuovamente la Copa América. Le altre partecipazioni ai mondiali, nel 1930 e nel 1950, erano arrivate per invito. Nel girone di qualificazione di USA ’94, a sorpresa la Bolivia batte in casa prima il Brasile 2-0 e poi l’Uruguay 3-1. Al ritorno la musica cambia ed entrambe vincono con merito, ma gli andini rimangono un punto sopra la celeste e staccano il biglietto per gli Stati Uniti. Sconfitta 1-0 contro la Germania giocando in 10 vs 11 per un rosso inventato, 0-0 contro la Corea del Sud, 3-1 inflitto dalla Spagna, 1 punto e 1 solo gol fatto e si torna in altura.

Nel 1997 c’è la chance del secolo, quella di stupire il mondo intero, si torna a giocare la Copa in casa. Siamo a fine anni ’90, Michael Jordan riscrive le regole della pallacanestro, appare Ronaldo Nazario nella scena e il professionismo estremo dilaga in tutti gli sport. Insomma, l’altitudine non può essere ancora una scusa per disertare, sarà un fattore, ma del tutto gestibile grazie alla preparazione fisica delle varie nazionali.

Per questo i risultati ottenuti sono così signficativi: 1-0 al Venezuela all’esordio con gol del Bufalo Milton Coimbra, 2-0 al Perù dominando, 1-0 all’Uruguay a firma di Baldivieso con un controllo in area e una sterzata sinistro-destro che infila la difesa charrua: GOLAZO; 2-1 alla Colombia nei quarti e 3-1 al Messico in semifinale. Quest’ultimo risultato merita un approfondimento: 2 gol boliviani realizzati sugli sviluppi di una punizione. Il primo è un missile terra aria di Erwin Sanchez che bacia l’incrocio e fa urlare di gioia tutto il popolo della Verde (la telecronaca italiana, che trovate nel video qui sotto, di telemontecarlo recita “guarda che roba, rete incredibile!”). Il secondo è invece bruttissimo, la barriera devia una punizione e con una carambola Castillo la spinge in rete. Moreno in contropiede completa la rimonta da 0-1 a 3-1 ed è delirio per le strade in Bolivia.

La finale è contro l’Equipazo per antonomasia, il Brasile di Romario e Ronaldo il fenomeno all’apice estremo della sua carriera, definirlo insormontabile è dire davvero poco. La semifinale della verdeoro non è da far vedere ai bambini, un massacro barbaro perpetuato contro gli Inca, 7 a 0 e la netta sensazione che potesse finire in doppia cifra senza troppi problemi. Se non vi basta questo per inquadrare la difficoltà, ecco le formazioni a confronto:

BOLIVIA – Trucco, Peña, Sergio Castillo, Oscar Sanchez, Sandy, Cristaldo, Baldivieso, Soria, Erwin Sanchez, Etcheverry e Moreno.

BRASILE – Taffarel, Cafú, Gonçalves, Aldair, Roberto Carlos, Dunga, Flávio Conceição, Denilson, Leonardo, Ronaldo ed Edmundo (Romario in panchina, così tanto per gradire).

Non vi inganni il 3-1 finale, il Brasile se l’è dovuta sudare parecchio, fino a 11 minuti dal termine il punteggio recitava 1-1 e il rimpianto più grande era la traversa di Oscar Sanchez sull’1-1, anche se il gol boliviano è molto aiutato da una papera di Taffarel su un tiro secco dai 35 metri del solito E. Sanchez. Poi il fenomeno con un sinistro telecomandato indirizzò la gara, chiusa da Ze Roberto al 90′ con la Verde sbilanciata in avanti. Il primo successo continentale ottenuto fuori dalle mura amiche per il Brasile.

Potersi rivedere una Bolivia supersonica e Ronaldo felice e spensierato prima dei drammi, per giunta col commento in italiano, che cosa volete di più?

La camiseta

Se la squadra è famosa con l’appellativo di “Verde” è ovviamente per il colore della camiseta. La Bolivia non ha però sempre indossato una maglietta verde, anzi, per i primi 30 anni non lo ha mai fatto ed è particolare considerando che da tutti ormai è chiamata più spesso col soprannome che in altri modi.

Nel corso degli anni Umbro, Adidas e altre marche hanno dato vita a casacche di assoluto culto. Dal 1926 al 1930 la maglia era totalmente bianca senza nessuno stemma e con il collo a V. Classica che più classica è difficile, ma non impossibile, infatti dal 1938 al 1945 si è tolto il collo a V.

Prima maglia ufficiale della nazionale.

Nel 1946 viene adottata una maglietta a righe bianche e nere, forse per omaggiare la selezione cochabambina o forse per l’influenza della squadra locale Oruro Royal, come sostiene un tale Hugo Galindo Gomez nei commenti su un forum di magliette boliviane (e dato che ha un bel nome e un immagine di profilo rassicurante, non possiamo di certo escludere la sua ipotesi a priori).

La prima svolta nelle camisetas boliviane.

Un’altra innovazione della maglia del 1946 è quella dello stemma, che rimarrà presente da lì in poi, anche se nel 1953 si torna al monocolore bianco. Nel 1957 c’è la vera svolta, la Bolivia diventa la Verde.

La prima storica verde.

Da fine anni ’50 ad inizio anni ’80 si susseguono casacce molto simili, a volte il collo è a V, per due anni le maniche sono lunghe e nel 1979 viene inserito il primo piccolo sponsor tecnico sul petto, Penalty, che diventa poi Adidas l’anno immediatamente successivo. Il marchio tedesco vuole da subito imporsi e rompere col passato, dunque propone qualcosa di diverso.

Se non è una maglietta di culto questa, allora non so più cosa dire.

Colletto moderno, maniche lunghe, sponsor, stemma più grande e strisce lungo le maniche con polsini bianchi a chiudere. Nei 13 anni seguenti si alternano Penalty ed Adidas, con maglie leggermente diverse, ma mai degne di nota. Arriviamo al pezzo forte della collezione, annata di grazia 1993, rivoluzione completa firmata Umbro, marchio mattatore assoluto delle jersey anni ’90.

Per una di queste sono disposto a scambiare la mia 10 di Arda Turan del Galatasaray e ci metto anche quella del Tottenham 2008 bianca, astenersi perditempo!

La Umbro continua a sperimentare proponendo fantasie e colori diversi sempre con discreto successo. Nel 1997 la maglia è molto bella (anche se i numeri frontali sono oscurati dai rombi) ed è forse un caso che con questa maglia sia arrivato il risultato sportivo migliore degli ultimi 50 anni? Ahimè la risposta è sì, ma è bello fingere che le due cose siano concatenate.

Finale di Copa America raggiunta in casa nel 1997.

Nel 2000-2001 appare un verde più vivace con bianco, arancione e giallo presenti, forse la peggio riuscita (la giustifichiamo solo perché figlia dei suoi tempi).

Ma perché il colore verde? Il rosso era già usato da Cile e Perù, mentre il giallo dalla Colombia ed Ecuador, perciò quando si è scelto di inserire un colore della bandiera nella maglia della nazionale, la scelta non poteva non essere quella del verde per infondere speranza, oltre che per distinguersi.

I primi anni 2000 non sono stati i migliori, quella del 2002 assomiglia più ad una casacca da rugby che ad una da calcio. Nel 2007 al centro appare una macchia bianca di forma non meglio identificata (triangolo scaleno con un po’ di fantasia o piramide?). Dal 2008 in poi ci si prende una pausa dalla stravaganza e vengono realizzate solo verdi abbastanza classiche ed omogenee. Su questa linea sono anche quelle del 2019 a firma Marathon, i rombi rigati sono comunque un tocco di stile pregevole.

Ci vogliono rombi più evidenti e grandi per far tornare competitiva la Bolivia? Chi può dirlo, nel dubbio suggeriamo a Marathon di provarci #TentarNoMata

FUN FACT su Football Manager e la Bolivia

Nel 2017 la nazionale boliviana è balzata agli onori della cronaca per un episodio divertente e curioso. Il terzino classe 1993 Ruben Aguillar in un messaggio sui canali social, dovette fare chiarezza sulla sua nazionalità. Dei dirigenti della Verde continuavano a cercarlo per sapere di più sul suo conto e provare a convocarlo, ma il tutto era dovuto a un incredibile qui pro quo, causato da football manager; infatti il famoso videogioco riportava la doppia nazionalità boliviana e francese per il giocatore e allora quando aveva cominciato a disimpegnersi bene al Montpellier, specialmente dopo una prestazione maiuscola contro il PSG, lo avevano messo sott’occhio sfregandosi le mani per un bel colpo in chiave nazionale, ma invece Aguillar ha poi comunicato:

“Sono francese da parte di madre e spagnolo da parte di mio padre. Credo sia tutto dovuto a football manager, dopo la partita con il PSG si sono moltiplicati i messaggi dalla Bolivia, anche nelle tv locali parlavano di me”.

Ruben Aguillar

Forse dovremo aspettare la prossima edizione in Bolivia o forse dobbiamo davvero fidarci di Villegas e del suo nuovo corso o forse non è importante rivedere la Verde ai vertici perché l’essenza e la magia della Copa América la fa più una nazionale come quella boliviana, che un equipazo come il Brasile, o forse è proprio lo scontro tra questi due mondi così simili, ma così diversi a rendere tutto maledettamente affascinante.

Troppi interrogativi futili, per fortuna già nel 2020 ci sarà un’altra edizione, la prima in anni pari, si va in back-to-back per disputarla da qui in avanti in contemporanea agli europei. L’appuntamento è fissato, preparate il mate e il santino di Chumacero e date il via al conto alla rovescia per rivedere la Verde in Copa America.

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