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L'abdicazione di Tom Brady - Crampi Sportivi

L’abdicazione di Tom Brady

Every story has an end,

Every battle has its glory

and its consequence

(Ben Harper – Glory and Consequence)

Ogni battaglia ha la sua gloria e le sue conseguenze. L’ultima, culminata con l’eliminazione nel Divisional Round per mano dei Rams, domenica di scena nel 56° Super Bowl della storia, ne ha avuta una più grande del solito. E allora ogni storia, prima o poi, ha una fine. Dev’essere quello che ha pensato Tom Brady quando lo scorso 1° febbraio ha ufficialmente annunciato il suo ritiro. La notizia era già nell’aria dall’istante successivo al field goal realizzato da Matt Gay che ha regalato il 30-27 ai Rams ed eliminato dai playoff i Bucs; rimbalzava di giornale in blog, di profilo Instagram in canale YouTube, tra l’incredulità e lo sbigottimento. A guardare l’età di TB12 (spegne 45 candeline il prossimo 3 agosto) sembra la decisione più naturale del mondo, eppure c’è un’intera generazione di appassionati che non ha mai visto un campionato di Nfl senza lo zio Tom e che non può concepire una stagione senza i suoi lanci, i suoi sguardi glaciali, la sua aura di carisma quasi palpabile. Brady è indiscutibilmente il simbolo universale del football americano del terzo millennio.

Per ventidue anni, infatti, ha cannibalizzato la National Football League facendo incetta di record: è primo all-time per yard su passaggio, touchdown, vittorie, apparizioni al Super Bowl, vittorie al Super Bowl e titoli MVP del Super Bowl. Ai playoff si è dimostrato sempre una macchina da guerra: anche in post-season è primo per yard su passaggio, per touchdown e per vittorie. Ha vinto più titoli lui (7) che qualsiasi altra franchigia (ripeto, franchigia) della lega (i Patriots ne hanno 6, tutti vinti con lui come quarterback, al pari dei Pittsburgh Steelers). È anche l’unico ad aver giocato e vinto il Super Bowl in squadre di entrambe le conference, ed è sempre l’unico ad aver vinto un campionato in 3 decenni diversi (2000-2010-2020). Ma la curiosità che più di ogni altra la dice lunga sul suo impatto sulla storia della lega professionistica americana di football è senz’altro questa: attualmente è il quarterback più giovane e al tempo stesso il quarterback più vecchio ad aver vinto un Super Bowl: l’inizio e la fine, insomma, e tutto il resto in un angolo. Come se ci fosse una Nfl senza Brady e una con Brady. E forse è davvero così.

Un minuto di filmati per riassumere 22 anni incredibili
Brady ha vinto il suo primo Super Bowl nel 2001 con i Patriots a 23 anni e l’ultimo nel 2021 con i Buccaneers a 43 anni.

Tom Brady, infatti, è stato, è e sarà sempre un capitolo a parte. In questi 22 anni di militanza è stato una sentenza: non ha mai terminato una stagione da titolare con uno score negativo (nemmeno nel 2002 e nel 2008 quando i Patriots non centrarono la qualificazione alla post-season). Tom Brady, in definitiva, è stata una costante per più di vent’anni. Una regola del gioco.

Ma se è stata una regola, è stata anche una splendida eccezione, l’errore nella matrice, l’eletto. A partire dall’ormai celeberrimo draft del 2000, quando fu scelto come 199° assoluto, al sesto giro. Nessuno credeva in lui. Solo “Morpheus” Bill Belichick e l’oracolo Bob Grier (l’allora General manager di New England) avevano visto ciò che nessuno scout aveva avuto l’intuito di intravedere e di suggerire nei propri report. Tanto per rendere l’idea di quanto sia incredibile la parabola ascendente di Brady, al prossimo Super Bowl in programma la sera del 13 febbraio (in Italia saranno già le prime ore di San Valentino) tra i sorprendenti Cincinnati Bengals e i Los Angeles Rams si affronteranno due quarterback selezionati come prime scelte assolute nel 2009 (Stafford dei Rams) e nel 2020 (Burrow dei Bengals). In semifinale c’erano arrivati Mahomes, decima scelta assoluta dei Chiefs nel 2017 e addirittura quel Garoppolo che per anni ha fatto da riserva proprio a Brady ai Patriots e che comunque fu scelto nel 2014 al secondo giro (69° assoluto). Di solito, insomma, i draft sono cartina al tornasole abbastanza fedele dei valori in campo: non con Brady.

Perché Brady ha sempre fatto della totalizzante dedizione al football, al lavoro sul campo e alla cura del proprio corpo i punti di forza per superare le diffidenze iniziali e per rimanere sulla cresta dell’onda così a lungo e nonostante le crepe dell’età. Nella sua lettera d’addio al football dice proprio questo:

“Ho sempre pensato che il football richieda di fare “all-in”: se manca il 100% della competitività e della dedizione non è possibile avere successo, che è ciò che amo di più di questo sport. Non esistono scorciatoie per vincere in campo o nella vita. Faccio fatica a scriverlo, ma non sento di poterci più mettere quell’impegno e quella dedizione. La mia carriera in Nfl è stata fantastica, ma è giunta l’ora di dedicare il mio tempo e le mie energie ad altre cose”.

Tom Brady nel suo messaggio d’addio pubblicato sui social

Le altre “cose” di cui parla Tom Brady sono la moglie Gisele e i suoi tre figli, compreso quello nato da una precedente relazione. In passato avevamo parlato delle sue abitudini quotidiane, impensabili per una persona comune, che gli hanno permesso di arrivare alla soglia dei 45 anni a vincere un Super Bowl e giocarsela con avversari vent’anni più giovani di lui. Un impegno costante che implica ovviamente sacrifici anche da parte dei suoi cari. “Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”, si dice. E una grande famiglia allargata, verrebbe da aggiungere.

La Nfl, insomma, perde un pezzo gigantesco. E qualche giorno prima ne aveva perso un altro di primo piano: Ben Roethlisberger, quarterback dei Pittsburgh Steelers dal 2004, era riuscito a regalarsi un’ultima apparizione ai playoff battendo i Ravens all’overtime, nel loro stadio e in una sfida che rappresenta una rivalità storica nella Afc North. Nulla da fare contro i Kansas City Chiefs al Wild Card Round e fine della corsa ai playoff. E della carriera di Big Ben, che lascia dopo 18 stagioni e due titoli (2005 e 2008) sempre con gli Steelers, quinto di sempre per vittorie da quarterback titolare. Solo il ritiro di uno come Brady poteva oscurare la notizia dell’addio dell’ultimo superstite di quella meravigliosa draft class del 2004 che ha portato in Nfl anche Philip Rivers e quell’Eli Manning capace di battere proprio Brady due volte al Super Bowl: “Apprezzo molto la tua generosità nell’aver condiviso con me almeno un paio di quei Super Bowl, ti auguro il meglio amico mio” ha concluso Eli nel suo messaggio a Tom dopo averne elogiato l’incredibile carriera.

“Ti ho visto vincere il primo Super Bowl quando ero ancora al college, te ne ho visti vincere altri durante la mia carriera e te ne ho visto vincere uno quando mi ero già ritirato: è impressionante.”
Il saluto degli Steelers al suo leggendario quarterback con un “always” di potteriana memoria.

E ora?

Bengals e Rams si affrontano per il titolo nella notte tra il 13 e il 14 febbraio. Per Cincinnati sarebbe il primo, per gli “arieti” il secondo, ma il primo dal ritorno nella città degli angeli.

Ora la storia ci insegna che dopo una fine c’è sempre un nuovo inizio. Lo spettacolo deve continuare e c’è un nuovo Super Bowl alle porte: una finale che si preannuncia impronosticabile dopo una delle stagioni più equilibrate che si ricordino. I Cincinnati Bengals ci arrivano contro ogni pronostico, dopo aver battuto ai playoff prima i Raiders in casa e poi i primi e i secondi della Afc (Titans e Chiefs) nel loro stadio. A guidarli c’è il quarterback Joe Burrow, al secondo anno che praticamente è il primo da titolare visto il grave infortunio che lo ha tenuto fuori per gran parte della scorsa stagione. Dall’altra parte i Los Angeles Rams che giocheranno in casa, dal momento che il grande ballo finale si disputa al SoFi Stadium, la nuova casa degli “arieti”. La franchigia di Stafford, arrivato finalmente fino in fondo dopo un’intera carriera spesa ai Lions senza mai la gioia di arrivare all’ultimo atto, spera di beneficiare del “fattore campo” proprio come accadde la scorsa stagione proprio ai Buccaneers, che si ritrovarono in finale nel proprio fortino a Tampa e trionfarono. Manco a dirlo c’era Brady, la costante di questi ultimi ventidue anni di football a stelle e strisce.

È vero, pare sempre impossibile voltare pagina, ma alla fine lo facciamo ogni volta. Totti si è ritirato eppure la Roma è ancora là, come la Juve senza Del Piero, l’Inter senza Zanetti o il Milan senza Maldini; Michael Jordan ha smesso da tempo, eppure oggi i Bulls sono di nuovo ai vertici della Eastern Conference; Valentino Rossi è sceso di sella, eppure il motomondiale continua a sfrecciare tra i circuiti di tutto il mondo con nuovi volti, nuovi piloti, nuovi giovani rampanti come quelli usciti negli ultimi anni dai draft Nfl, protagonisti del futuro ma già anche del presente… Questa società un po’ folle, insomma, va sempre avanti e non guarderà in faccia nemmeno sua santità Tom Brady. Certo, senza il numero 12 siamo tutti un po’ più soli, persino quegli avversari che ci hanno quasi sempre sbattuto la testa.

Society, crazy indeed

Hope you’re not lonely

without me…

(Society – Eddie Vedder)

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