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LE TOUR 2021 - Crampi Sportivi

LE TOUR 2021

È deciso: il Tour di quest’anno parlerà sloveno. E’ dallo scorso settembre che il mondo intero del ciclismo non aspetta altro che si compia l’atto secondo della sfida fratricida Roglic-Pogacar. L’esito della crono di La Planche des Belles Filles lo ricordiamo fin troppo bene: l’apoteosi di un successo inaspettato, impronosticabile da un lato; il dramma della sconfitta dell’ultimo minuto, dopo dieci giorni di primato mai davvero in discussione, dall’altro. Un giorno che passerà alla storia, di certo; che già fa parte della storia del Tour, anzi, alla pari di altre sfide epiche come quella tra Fignon e LeMond. Era il 19 settembre del 2020: il giorno in cui Tadej Pogacar ha sconvolto il mondo.

E’ come se non ci fosse stato altro, in un certo senso, da quel giorno. Certo, Pogacar ha proseguito la sua cavalcata verso l’olimpo, verso quel posto tra i più grandi del ciclismo che sembra gli apparterrà di diritto: dopo di allora, subito il podio alla Liegi, e poi quest’anno le vittorie in UAE e alla Tirreno-Adriatico, e ancora la prima classica monumento in bacheca, di nuovo a Liegi, due mesi fa. Dal suo canto, Primoz Roglic è riuscito a superare uno scoglio emotivo che avrebbe potuto condizionare la sua intera carriera, dimostrando di essere mentalmente più che solido: anche per lui una classica monumento, ancora la Liegi, soltanto due settimane dopo la sconfitta più cocente di sempre; e poi una Vuelta vinta, la seconda di fila, e quest’anno un Iztulia dominato. E’ scomparso, da allora: sono due mesi che è recluso in altura, a preparare la gara della vita, a fare in modo che quest’anno non possa esserci alcun margine di errore, nessuno spazio per l’imprevedibile. Primoz si presenterà al Tour nella forma migliore di sempre, di questo possiamo esserne certi. Al contrario, Tadej è tornato a correre da un paio di settimane: ha vinto il Tour di Slovenia in scioltezza, senza grossi avversari di sorta, e poi ha mostrato una forma non proprio ottimale ai campionati nazionali, arrivando terzo nella prova contro il tempo e quinto in quella in linea. Normale amministrazione: la forma è in crescita, e anche per lui possiamo stare certi che sarà al top alla partenza di Brest.

I due ragazzi sono chiamati ad entrare nella storia, ma c’è posto soltanto per uno: la doppietta del ventiduenne che andrebbe di diritto a puntare verso i record storici, oppure la rivincita, il completamento di una carriera già enorme, l’unica gara che potrebbe davvero ancora accrescere il valore di un atleta ormai arrivato ai trentun’anni?

E’ deciso: o uno o l’altro sloveno. Oppure no. Perché ci sono tanti altri avversari pronti a cogliere le occasioni giuste. A partire dal colossale Team Ineos, che porta una squadra che a memoria mi sembra la più forte di sempre in un Grand Tour: tutti insieme, quattro uomini (Thomas, Carapaz, Porte, Geoghegan Hart) che sulla carta potrebbero puntare alla vittoria finale. Mai vista una cosa del genere. O potrebbe essere la volta del vero outsider, colui che già due anni fa sfiorò un’impresa inimmaginabile: Julian Alaphilippe sulla carta non è uomo da tre settimane, ma quest’anno abbiamo l’impressione che possa riuscirgli di tutto. Indossa la maglia iridata, gli è appena nato il primo figlio, ha rinunciato alle Olimpiadi proprio per dare tutto nel Tour. Sarebbe magnifico: un sogno?, e perché no! E poi come sempre la Movistar a tre punte: quest’anno, Valverde al servizio di Mas e Lopez. Un grandissimo Rigoberto Uran in ottima forma, pronto a dare come sempre spettacolo. Il solito Nairo Quintana alla sua corsa preferita e maledetta allo stesso tempo.

Una BORA con Buchmann e Konrad a supportare il nuovo arrivato e subito capitano Wilco Kelderman. Les enfants du pays Guillaume Martin e David Gaudu che vorranno mettersi in mostra a tutti i costi. Bauke Mollema che avrà un gregario di nome Vincenzo Nibali (ne siamo proprio sicuri, Vincè?). L’eterno incompiuto nei grand tour Jakob Fuglsang, la coppia Yates-Chaves sempre imprevedibile. E, dulcis in fundo, un uomo che ne ha già vinti quattro, di Tour. Relegato in una squadra inferiore, a fare da gregario a Michael Woods. Nel periodo più difficile, pesante, triste della sua carriera. Un epilogo, probabilmente, e di certo non quello che si sarebbe augurato. A trentasei anni, Chris Froome viene dalle due stagioni più dolorose e deludenti della sua vita, ed il suo avvicinamento al Tour non ha lasciato dubbi sul fatto che quella gamba, quei risultati, quella capacità di tenere testa ai migliori sono andati definitivamente. Gli auguriamo quantomeno un colpo di coda, un canto del cigno, almeno una giornata delle sue, per consegnare alla morte una goccia di splendore / di umanità / di verità.

Cosa ci aspetta nelle prossime tre settimane? Due crono individuali piuttosto lunghe, un doppio assalto al Mont Ventoux, oltre ai soliti Tourmalet e Luz Ardiden, in fila, partendo da Pau; un percorso generalmente con meno alta montagna e più simile ai Tour di Leblanc, con soltanto tre arrivi in salita veri e propri: più per un all-rounder che per uno scalatore puro, da conquistare di intensità e costanza, piuttosto che di effimeri exploit. Un Tour moderno, che si affaccerà anche verso territori poco conosciuti; che non si deciderà soltanto su Alpi e Pirenei, ma che vedrà protagonisti anche il Massiccio del Giura, il Massiccio Centrale, la zona dei Vosges du Nord. E attenzione alle imboscate, al vento laterale, alle possibilità di ribaltare la corsa in ogni occasione: già a partire dai primissimi giorni in Bretagna, e con una crono impegnativa alla quinta tappa, si potrebbe delineare una classifica inaspettata, potrebbe saltare qualcuno dei grandi attesi, potrebbe venire fuori un bel macello pronti-via.

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