Tre stagioni. Tante sono bastate a Fabian Ruiz (24 anni il prossimo 3 aprile) per imporsi alla ribalta del calcio europeo.
Dal prestito all’Elche in Segunda Division nel 2016 a uomo chiave nel gioco del Napoli della mini era Ancelotti – nel mezzo gli europei U21 vinti nel 2018 con la sua Spagna ed il titolo di MVP del torneo – il centrocampista spagnolo ha già dimostrato di avere l’aura del predestinato.
La sua scalata ai vertici del calcio europeo è stata infatti fin qui impressionante per impatto e velocità, così come la sua capacità di imporsi immediatamente nel contesto tattico della Serie A diventandone per distacco il rookie rivelazione della scorsa stagione.
Tuttavia, l’impressione che si ha guardandolo in azione è che Fabian Ruiz (già ora) sia un passo oltre l’etichetta del “giocatore moderno” che i più si sono prontamente affrettati a conferirgli al primo anno di Serie A.
Lo spagnolo, invece, è piuttosto uno di quei calciatori rivoluzionari, portatori di una rinnovata sintassi per stile e visione di gioco fuori dall’ordinario.
Uno che a prescindere dal contesto tecnico e tattico in cui sviluppa il suo gioco, plasma l’ambiente di gioco a sua immagine piuttosto che subirlo: con la palla tra i piedi si gioca al calcio come dice lui.
Un leader spontaneo, così a Siviglia come con l’U21, ma soprattutto a Napoli, dove gli sono voluti appena quattro mesi per raccogliere l’eredità calcistica di Marek Hamsik e diventare il centro gravitazionale del sistema di gioco di Ancelotti.

Immanente e trascendente proprio come il suo modo di intendere il calcio, Fabian è l’ennesimo talento purissimo della recente generazione calcistica spagnola, un filone che per longevità, qualità e quantità non ha precedenti nella storia recente di questo sport.
Eclettico ed ambidestro, abbina tecnica e fisicità, abilità posizionale ed inventiva; se calato in un contesto di gioco a lui congeniale riesce indistintamente a costruire, interdire e rifinire.
Versatile e associativo, le sue due principali aree di miglioramento sono il dinamismo ed il portare il pressing in avanti (mentre sa essere molto più efficace in una difesa posizionale). Nonostante ciò, Fabian Ruiz incarna comunque l’ideale del calcio proattivo. Ottime capacità sotto porta, da fuori area il suo mancino non aspetta altro che di intravedere luce per il tiro nello specchio.
Insomma, seppur con dei limiti fisiologici legati alla sua giovane età, Fabian può già definirsi un giocatore completo, da calcio totale.
Uno di quelli per cui Guardiola o un sensazionalista dal palato fine come Florentino Perez farebbero follie, per intenderci; ma soprattutto un profilo che in questo preciso momento storico sembra destinato ancestralmente ad indossare la maglia blaugrana del Barcellona per dare inizio ufficialmente al nuovo ciclo tecnico-tattico messo in cantiere dalle parti del Camp Nou.
La “rivoluzione” del doble pivote
Con gli addii di Xavi ed Iniesta (ma anche quello imminente di Rakitic e quello inevitabile di un Sergio Busquets ormai a fine carriera), il Barcellona ha avviato la rivoluzione del reparto centrale con gli innesti di Arthur prima e de Jong poi, una rivoluzione che potrebbe chiudersi proprio con l’arrivo in Catalogna di Fabian Ruiz.
Il numero 8 spagnolo potrebbe infatti riuscire là dove hanno fallito i vari Fabregas, André Gomes, Paulinho, Coutinho, Vidal: dare insieme fisicità, equilibrio ed un corposo apporto in zona gol elevando al contempo il tasso tecnico della squadra (dettaglio tutt’altro che scontato al Camp Nou) senza sacrificarne la complementarietà degli interpreti.
Immaginando difatti il tandem Fabian-de Jong, il pensiero corre subito alla fluidità situazionale di cui godrebbe il settore centrale del Barça: indistintamente col doble pivote o col vertice basso, ad esempio, a fronte di una capacità imponente di costruzione della manovra, per gli avversari sarebbe estremamente difficile decifrarne le giocate e quindi apportarvi un pressing efficace.

Senza contare poi l’abilità di entrambi i giocatori di occupare universalmente tutte le zone del campo e la capacità di saper sempre cosa fare del pallone in ogni parte del rettangolo di gioco… dettaglio che renderebbe la loro coppia quella meglio assortita di tutto il panorama calcistico europeo – almeno sulla carta.
A questo aggiungiamoci il dinamismo e la tecnica di Arthur: il brasiliano, pur essendo tutt’altro che un incontrista, è infatti capace di coprire ampie zone di campo sopperendo adeguatamente alla “staticità” di Fabian. Inoltre, la duttilità del brasiliano non esclude il suo impiego indifferentemente come vertice basso in un centrocampo a 3, come mezzala, o ancora come finto esterno di destra in una linea a 4.
Detta diversamente, Arthur rappresenta il riferimento che l’ex Betis necessita in mezzo al campo per liberare tutto il suo potenziale (un po’ come è avvenuto a Napoli con Hamsik prima ed Allan poi).

La ricerca del lato debole
Volendo andare ancora più in fondo, è innegabile come Fabian sia proprio concettualmente un giocatore destinato a questo Barcellona.
Basta infatti osservarlo in azione per intuire quanto in lui sia radicata l’idea della ricerca del lato debole avversario. Talmente radicata che inizia a gettarne i presupposti già con le sue movenze in campo, spesso dinoccolate, che però si risolvono poi in guizzi insperati che generano superiorità e spazi da attaccare.
Disorientare il singolo per sbilanciare il reparto e far muovere di conseguenza male tutta la squadra è il mantra del gioco di posizione.
Un mantra la cui applicazione è normalmente demandata ad un reparto, se non all’intero undici in campo, mentre Fabian invece basta a sé stesso: l’utilizzo così controintuitivo del suo corpo palla al piede impedisce al diretto marcatore la lettura della giocata e lo imbarazza al momento della scelta tra temporeggiamento ed uscita.

Questa sua capacità lo porta naturalmente ad essere così il primo riferimento dei difensori in fase di costruzione, e a consolidare il possesso anche in situazioni in cui un errato posizionamento dei compagni avrebbe compromesso lo sviluppo dell’azione.
Il risvolto della medaglia è che a volte però Fabian pecca in velocità di esecuzione, e se in una manovra come quella del Napoli ancelottiano questo poteva rivelarsi una sincope prima di una fiammante verticalizzazione (con Gattuso vedremo se lo spagnolo sarà portato ad accelerare la giocata), nello spartito blaugrana perdere un tempo di gioco significa sprecare un vantaggio posizionale determinante o, peggio ancora, a palla persa, esporre la linea di difesa ad un attacco diretto.
Questo limite si accentua poi quando il suo raggio d’azione viene spostato verso la trequarti, dove, costretto anche a giocare spalle alla porta, due linee difensive schierate comprimono oltremodo la sua mobilità.
Ovviamente in un contesto tattico iperspecializzato come quello del Barcellona (tra molteplici soluzioni di passaggio, continui smarcamenti e ricerca del terzo uomo) anche i margini d’errore si riducono drasticamente. E questo sarebbe l’habitat ideale per un giocatore come Fabian.
Verticalità e palla alta
L’ultimo che provò ad essere verticale e giocare palla alta a Barcellona con una certa continuità fu Cesc Fabregas, e tutti sappiamo com’è andata a finire. Certo, in quello che fu uno degli ultimi Barça di Pep Guardiola, col rapporto tra i due ai minimi termini, l’avventura di Cesc in blaugrana non poteva che naufragare.
Ora, invece, con Valverde lancio lungo e maggiore verticalità della manovra – per sfruttare al meglio il dominio territoriale ed innescare sugli esterni Griezmann e Dembélé – non sono più tabù, e con Fabian potrebbe avvenire una mutazione alternativa nello stesso modo di giocare del Barcellona.

Nella gara di Champions dello scorso anno contro il PSG, ad esempio, si verifica una dinamica che potrebbe replicarsi al Camp Nou, con Hamsik ipoteticamente nei panni di de Jong: quest’ultimo più arretrato smista per Fabian, che taglia fuori sei giocatori parigini di interno allargando su Mertens (che fa un movimento che abbiamo visto fare mille volte a Messi o Suarez) ed il Napoli attacca in campo aperto.
Elevata densità per un’immediata riconquista del possesso, gioco a due tocchi, ricerca del lato debole e della giocata negli spazi di mezzo, ma con in più: spiccata verticalità e maggiore conduzione palla al piede per sfruttare spazi non necessariamente conseguenza di un lavoro col pallone o di giochi di posizione.
Nel Barcellona dell’ultimo decennio sarebbe una rivoluzione vera e propria.

Il salto di qualità
Come accennato, le due grandi aree di miglioramento di Fabian Ruiz sono il dinamismo e la concentrazione; e mentre la prima può essere attenuata da accorgimenti tattici tipicamente barcelonisti (squadra corta e difesa alta a ridurre gli spazi alle sue spalle) sulla seconda sarà compito del giocatore lavorarci.
Fabian è infatti capace di grandi prestazioni se al massimo delle sue energie mentali e fisiche, ma appena abbassa l’asticella della concentrazione la sua capacità di incidere crolla vertiginosamente, fino persino a scivolare fuori dal match.
Nei momenti clou, va detto, sinora Fabian ha sempre sfornato prestazioni maiuscole, ma ha anche – soprattutto nella stagione ora in corso – deluso per non aver saputo ritrovare la centralità e la costanza di rendimento che ne segnarono l’esordio. Tra alcuni exploit e buone prestazioni, anche lui ha finito per naufragare nella spirale di dissidi e difficoltà, paure ed incertezze tattiche cui il Napoli di Ancelotti non ha saputo venire a capo.
Da uno con le sue qualità ci si aspetta che possa essere anche un riferimento per i compagni, esempio positivo in campo e fuori, che un po’ si faccia quindi carico della squadra nei momenti difficili ed invece questo non è avvenuto, o almeno non ancora.
Pertanto, più che a Napoli, molto facile pensare che questo ultimo passo per la sua definitiva affermazione possa avvenire allora in un grande club europeo che lo aiuti a migliorare la mentalità, innalzarne l’ambizione e consolidarne le prospettive di crescita.
Ed in tal senso, proprio il Barcellona più di altri, per valori societari, storia, prestigio e palmares, sembra essere il contesto societario ideale per accogliere il talento, presente e futuro, di un giocatore come Fabian.

Classe 1988, laureato in Giurisprudenza, consulente. Ad un passo dell’addio al calcio tifato, è arrivato Guardiola a scombussolarlo e a farlo sentire come un pallone calciato al volo da Ibrahimovic all’incrocio. A scuola, nell’ora di educazione fisica dovrebbero leggere Cruyff.