La consegna del Pallone D’Oro a Lionel Messi ha inevitabilmente scatenato polemiche: ieri sera, sul Divano di Crampi i nostri Mattia Musio e Gianluca Viscogliosi ne hanno tratto due visioni. Voi da che parte state?
Perché sì?
Le motivazioni per capire e rapportarci con il settimo Pallone D’Oro a Leo Messi sono poche, ma indiscutibili. Per prima cosa prendiamo i 38 gol segnati col Barcellona, la Copa America vinta e dominata come miglior marcatore e miglior assist man. Bene, ora che avete questi dati, buttateli, cestinateli. Esatto, perché quando si parla di decisioni di questo tipo i numeri, i passaggi del turno, i trofei, contano ben poco.
Cosa conta allora?
Conta principalmente la dimensione semiotica del premio, il modo in cui ci rapportiamo con il Pallone d’Oro. Non solo i giocatori, o i giornalisti chiamati a decidere: il pallone d’oro va dato al giocatore più forte, perché la lega più preziosa rappresenta – da sempre e per sempre – il gradino più alto del podio, l’atleta nell’Olimpo. Per questo, diciamolo chiaramente, il fatto che Messi abbia appena vinto il suo settimo pallone d’oro è un furto. Un furto esatto, perché sette son pochi. Da quanto tempo, infatti, il numero dieci di Rosario è palesemente il calciatore più forte del globo? 13 anni? Allora spiegatemi, buon Dio, perché Leo Messi non ha vinto, ieri sera, il suo tredicesimo pallone d’oro?
Poco importa, oltre al dato oggettivo, anche quello puramente retorico: ci potremmo scervellare anche stavolta in mille peripezie per descrivere il nostro rapporto col sacro, con la religione che quotidianamente chiamiamo calcio. Potremmo di nuovo spiegare che il talento, quello vero, non è pennellabile nei contorni di nessun altro ammasso di carne e muscoli diverso da quello che compone la pulce. Potremmo, addirittura, riproporre quel vecchio giochino che tanto ci piace: quello dello spiegare che ogni bambino sotto il metro di statura inizi a calciare e toccare con furia il pallone sperando, un giorno, di far ammattire tutti come quell’altro piccoletto. Alla faccia dei muscoli e della potenza.
Invece no, si tratta di logica. Come direbbe Wittgenstein “Su tutto ciò che può essere detto, si può parlare chiaramente; di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”. E forse la discussione si spacca su questi binari logici anche stavolta: il pallone d’oro è il premio da assegnare al calciatore che, nell’anno 2021, è risultato essere il più forte del mondo? Sì. E il calciatore più forte del mondo chi è? Leo Messi, semplice.
Chi non pensa lo sia, chi pensa che non sia quello il significato del premio, chi pensa che il più meraviglioso dei numeri 9 avrebbe dovuto vincere per una sorta di ricompensa per il passato anno: a voi dico, avete torto.
Perché no?
Il Pallone d’Oro. A chi ne ha capito le regole di assegnazione dovrebbero dare un premio. Magari un Pallone d’Oro! Ah, no. Quello è di Messi, al massimo di Ronaldo. Gli anni dispari vale quello che fai con i club, gli anni pari quello che ottieni con le nazionali. Poi attenzione c’è la combo gustosa Champions-Finale Mondiale Persa-Cessione Compagno Forte Che Sta Antipatico Ai Potenti Del Calcio (ciao Luka Modric!).
Si scherza, ma neanche troppo. Perché non esiste gioco leale senza regole serie che tutti possano capire. C’è un ritornello che stona nell’assegnazione del settimo pesantissimo Pallone d’Oro alla Pulce: “Quando Messi vince un Pallone d’Oro non può essere mai sbagliato”. Declinatelo come volete, ma questo assunto ci ammazza. Ci stende psicologicamente e ci priva di quel merito sportivo che solo il campo può dare e che è stato sbandierato con forza nei roventi giorni della Superlega.
Messi alza il Pallone d’Oro numero sette grazie SOLAMENTE alla Copa America numero uno conquistata con l’Argentina. Stagione sottotono del Barca, il solito mucchio di gol, le solite gemme che fanno gridare ogni volta al miracolo i fedeli del sacro ordine dell’highlight. A Robert Lewandowski, il grande sconfitto di oggi, sarebbe dovuto andare solo per quello tolto lo scorso anno dai buontemponi di France Football. Il polacco quest’anno ha mantenuto la velocità di crociera. Numeri importanti, mentalità ferrea, fisico sempre al massimo e una completezza commovente. Sul tetto del mondo Lewandowski ci è arrivato moltiplicando il talento con il lavoro sodo. Quello snobbato dai talentisti. Categoria che Dante oggi metterebbe a mani basse nel Cocito assieme ai giochisti, ai risultatisti, ai cortomusisti e a quelli che vogliono il mondiale ogni due anni.
Oggi guardi Lewandowski e ne vedi in realtà tanti altri: Benzema, Salah, Xavi, Iniesta, Milito ecc ecc. Quel premio, che una volta passava agilmente da Ronaldo a Figo, da Rivaldo a Kakà, da Dinho a Sheva, da Nedved a Owen, è ormai spoglio di qualsiasi tipo di valore.
Nell’alternanza che ne ha caratterizzato la storia ritrovavi volti, squadre, allenatori, partite. Niente invece, tutto appiattito su un banale discorso a chi c’è la più grosso. Il talento si intende. E il peccato è che anche gli esimi votanti si siano assuefatti a questo calcio bipolare, destinato a passare nelle mani e nei piedi del duo FIFAro Mbappe-Haaland. Sempre finché Messi non li separi.
P.S. Immaginate un mondo parallelo con quattro Palloni d’Oro a Messi, uno a Xavi, uno a Benzema e uno a Lewandowski. In questo mondo Messi sarebbe davvero un giocatore meno considerato?

Lo sport raccontato dal divano, Zidane e Rodman a cena dal Professor Heidegger.