Il punto abbastanza assodato da cui partire per una qualsivoglia riflessione sul basket NBA di oggi è che i Golden State Warriors al completo, in una serie al meglio delle sette partite, sono imbattibili. Anzi, come si legge da più parti, ingiocabili.
Hanno settato tutta una serie di nuovi standard che sono al di sopra persino alla NBA stessa: ti obbligano a difendere il tiro dai 10 metri – ma hanno contemporaneamente il miglior ballhandler della Lega. Hanno il miglior tiratore in uscita dai blocchi.
Hanno il miglior attaccante puro della NBA. Difendono. Passano la palla da dio.
È difficile, in un campionato dove una squadra su due gioca a 110 punti a partita e dove due squadre su tre tirano da tre almeno 29 volte a gara, tenere testa ai Warriors, che tirano quasi il 50%dal campo, il 38.5% da tre e sono primi per assist a partita.
I Warriors 2018-2019 non sono una squadra, piuttosto una categoria dello spirito,qualsiasi cosa ciò voglia dire. E allora, come si fermano questi guerrieri?
Parole.
Lockout. Non c’è mai stato uno sciopero in NBA a stagione iniziata. Fino ad oggi. Ma magari se ci fosse uno sciopero potrebbero non disputare i playoff. E quindi la loro imbattibilità in una serie al meglio delle sette potrebbe andare a farsi benedire.
Breakout. Le acque nella San Francisco Bay sono un po’ agitate. La lite tra Draymond Green e Kevin Durant ha in un certo senso fatto saltare il coperchio di una pentola già un po’ in ebollizione.
Certo, l’errore più grande che potrebbero fare gli avversari è quello di pensare che i Warriors siano allo sbando per questo motivo. Sono tutti professionisti, e a maggior ragione cercheranno di portare a casa il Three-peat, se questo dovesse essere l’ultimo ballo.
Three-peat. Appunto. Su quest’ultimo scoglio si sono infrante molte ambizioni, legittime, dei superteam degli scorsi anni, dai San Antonio Spurs di Duncan & co, ai Lakers di Bryant e Gasol, ai Miami Heat diLeBron, Wade, Bosh.
È lo scalino che ti consegna all’immortalità cestistica, quello più ripido di tutti. Quello ancora da salire, per Curry e soci.
Oggetti.
Monetine. Una volta il Milan aveva un portiere fortissimo, brasiliano. Qualcuno giura che dopo aver preso un petardo testa durante una partita non sia più stato lui. Qualcun altro invece pensa che fosse un po’ sopravvalutato da prima.
In un’arena NBA magari introdurre un petardo non è semplicissimo, ma c’è sempre l’evergreen monetina. Insomma, hai visto mai.

Paradenti. E se la NBA vietasse l’uso dei paradenti? Avete presente Linus quando gli tolgono la coperta?

Meteoriti. Eh oh, a mali estremi, estremi rimedi…
Eventi.
Trade. Se invece non fosse possibile far convivere i professionisti di cui sopra, si renderebbe necessario scambiare uno dei due litiganti, se non entrambi.
Ma nei meccanismi perfetti, si sa, non bisogna mettere granellini di sabbia. Esistono altri giocatori altrettanto funzionali al sistema di coach Kerr? Forse sì. Qualcuno sarebbe disponibile a scambiarli? Probabilmente no.
Rientri. DeMarcus Cousins che rispetto alla macchina perfetta di cui sopra ha un punto in più e uno in meno. Uno dei centri puri con più punti nelle mani della NBA.
Anzi, togliete “uno dei” e mettete “il”, visto che Anthony Davis non vale come centro. Rimbalzista di livello. Difensore scabroso. Ci starà a inserirsi in un sistema di gioco che sarà tutto tranne che incentrato su di lui?

Paradossi spazio-temporali. Se fossimo in un fumetto Marvel, un clone di Michael Jordan proveniente dal 1993 calerebbe su Houston, direbbe che c’è un nuovo sceriffo in città, indosserebbe la 23 dei Rockets, prenderebbe a calci in culo James Harden e Chris Paul e gli direbbe che lui è lì per vincere un titolo e che nessun’altra opzione è contemplata. Già. Se fossimo in un fumetto Marvel.
Altri argomenti.
Avversari. Quest’anno c’è una squadra che sembra poter tenere il passo dei Warriors. Sembra. I Toronto Raptors difensivamente fanno paura, possono cambiare con grande disinvoltura su tutti i giocatori del pianeta Terra, hanno acquisito uno che è già stato MVP delle finali NBA.
I Milwaukee Bucks tirano giù 50 rimbalzi a partita e sono secondi (di poco) a Golden State negli assist. Se solo riuscissimo a liberarci di quella spiacevole sensazione che i Warriors non giochino praticamente mai al 100% delle loro possibilità, potremmo quasi crederci.
Infortuni. Golden State si è fatta persuasa che stabilire record su record in stagione regolare porti anche un po’ sfiga, oltre ad aver sperimentato sulla propria pelle che in NBA esistono tre livelli di gioco della pallacanestro, e questi tre livelli sono, in ordine cronologico e di difficoltà crescente: regular season, playoff, NBA finals.
Quindi tende a preservare le sue stelle per quando conterà davvero, e infatti ha già perso 13 partite, più di quante ne perse in tutta la RS 2015-2016, quando poi il titolo andò altrove.
Con la media attuale, potrebbero perdere anche 28-30 partite. Ma poi potrebbero utilizzare un po’ più Steph Curry (già 11 partite saltate nelle prime 23 per lui),Draymond Green (12 DNP su 25), DeMarcus Cousins (che deve ancora giocare la sua prima gara in maglia gialloblù).
Boh. Avete presente quegli scenari che fino a un attimo prima ti sembrano distopici, e poi invece sono veri?
Tipo Cristiano Ronaldo che passa alla Juve, per dire, una cosa così. Ecco, non ci viene in mente nient’altro, per cui, se volete aggiungere qualcosa voi, facciamo spazio sul divano, versiamo da bere e vi stiamo ad ascoltare.

Classe 1979, mancino, nato in agosto. Praticamente Michael Redd, stipendio e palmarès a parte. Ha un blog cestistico ipofrequentato dal 2006, scrive di basket per “La Giornata Tipo” e “Overtime – Storie a Spicchi”, e di calcio per “Amaranto Magazine”. Ha un figlio di 10 anni che mostra chiari segni di ambidestrismo e una figlia di 1 che gli permette di vedere le partite NBA in diretta. Orientamento politico: Jason Kidd. Orientamento religioso: Porta Santo Spirito. Fedi calcistiche: U.S. Arezzo e #IssaNissa