Perché Derrick Rose merita di partecipare al prossimo All-Star Game

Di Lorenzo Giannini

28 ottobre 2008: allo United Center di Chicago va in scena la prima partita NBA della nuova stagione dei Bulls, contro ci sono i Milwaukee Bucks.

Palla a due e si comincia. Il primo possesso per Chicago arriva dopo trenta secondi e la squadra consegna subito la palla al nuovo arrivato, un giocatore con la maglia numero 1 sulle spalle. Il ragazzo si muove rapido, dopo un palleggio ha già superato il proprio difensore che non lo vede neanche partire. La difesa si stringe tutta su di lui, scarica fuori per un uomo libero che senza pressioni non sbaglia e mette a segno i primi due punti della stagione dei Bulls. Il tabellone dell’arena segna 10:19 alla fine del primo quarto, quando la difesa dei Bulls recupera un pallone nella propria metà campo, facendo partire il contropiede. Un giocatore corre più degli altri ed è sempre il ragazzo con la maglia numero 1. Gli arriva il pallone e tra lui e il canestro c’è solo Richard Jefferson. Finta rapidamente di superarlo a sinistra e quest’ultimo ci casca; in una frazione di secondo sposta la palla a destra, cambia passo e gli si mette davanti, appoggiando al tabellone la sfera che poi scivola dolcemente nella retina. Sono i primi due punti su azione di Derrick Rose con la maglia dei Chicago Bulls. Sono i primi punti che danno inizio alla leggenda, nel bene e nel male, del figlio della città del vento.

L’esordio di Rose in maglia Bulls il 28/10/2008

DAI PRIMI PASSI ALLA FINALE NCAA

Derrick Rose nasce il 4 ottobre 1988 a Chicago, più precisamente a Englewood, quartiere a sud della città. Sin da piccolo è un assiduo frequentatore del Murray Park, il campetto della zona in cui abita. Non passa molto tempo prima che inizi a dominare e far parlare di sé in tutta la città. Nessuno riesce a contrastarlo, il ragazzino gioca un basket livello superiore rispetto ai suoi coetanei e anche rispetto ai ragazzi più grandi lui. Il piccolo Rose oltre che per la pallacanestro però ha una grande passione per le caramelle; quando non è in campo infatti ha sempre un pacchetto con sé nel quale tiene la mano al punto da guadagnarsi l’acronimo di Pooh. Ma quando posa il sacchetto di dolciumi questo nome non rende giustizia alla sua bravura con la palla a spicchi. Sul campo sembra un mago che incanta gli avversari con giocate al limite dell’incredibile, fa sparire la palla e la fa riapparire dentro la retina, sembra un Harry Houdini con la divisa da gioco. Qui a qualcuno allora forse è venuto il colpo di genio. Quale soprannome potrebbe rispecchiare meglio se non Poohdini.

La vita nel quartiere non è facile, ma la sua famiglia lo protegge in ogni modo dalle distrazioni e soprattutto dalla malavita. Derrick cresce bene e con un solo obbiettivo, quello di riuscire a giocare a livello professionistico per portare via la sua famiglia da lì. All’età di 17 anni, prima di entrare all’High School, diventerà famosa una sua frase al riguardo. “I’ll save my family” disse e alla successiva domanda sul come avrebbe voluto farlo, senza pensarci due volte, rispose con una parola sola: “Watch”. Alla fine oltre a realizzare il proprio sogno di entrare nell’ NBA, è riuscito nell’intento di portare via da quella zona la propria famiglia.

Nel 2004 entra alla Simeon Career Academy, scegliendo di indossare la casacca con il numero più importante della scuola, il 25. La scelta non è casuale e lui lo sa. Quel numero è il simbolo dell’unico titolo nazionale vinto fino a quel momento dalla squadra. Il titolo risale al 1984 ed è arrivato per merito di un solo giocatore: Benjamin Wilson Jr., detto Benji. Questo ha trascinato da solo i compagni alla conquista del titolo nazionale e viene già considerato da molti il miglior prospetto futuro dell’NBA, tanto da guadagnarsi quasi all’unanimità l’appellativo di “Best in the nation”. Non ci sono giocatori come lui in quegli anni. Il destino però decise di stroncare prematuramente la sua carriera. Il giorno prima dell’inizio del campionato nazionale del 1985, a causa di un litigio con altri ragazzi, Ben muore in seguito a una sparatoria in cui si trova coinvolto.

Benjamin Wilson Jr. detto Benji

Nei primi due anni di High School Rose dimostra di saper portare il peso di quel numero di maglia concludendo le stagioni con una media di 19,8 punti, 5,1 rimbalzi, 8,3 assist per partita; inoltre durante il suo secondo anno fa segnare il record di 30 vittorie e 5 sconfitte per la scuola. I successivi due anni di lo vedono dominare in ogni fase del gioco, dalla difesa all’attacco, al punto di conquistare due campionati “Chicago Public League” consecutivi, con la media di 20,1 punti, 8,7 assist e 5,4 rimbalzi per partita. L’anno successivo al suo passaggio al College, la maglia numero 25, famosa prima per Benji ed ora anche e soprattutto per Derrick Rose, viene ritirata definitivamente dalla scuola.

Dopo questi anni in cui si afferma sempre più come il miglior playmaker in circolazione, tutte le Università del paese vogliono ingaggiarlo. La scelta alla fine ricade su Memphis, alla quale deciderà di cambiare numero mettendo nel cassetto la 25 e indossando la 23, in onore del suo idolo: Michael Jordan. Il primo anno nel campionato NCAA lo vede sempre protagonista, con medie di 14,9 punti, 4,7 assist e 4,5 rimbalzi a partita. La sua squadra arriva anche all’ambita finale del campionato dove però deve arrendersi ai Kansas Jayhawks di Mario Chalmers, MVP delle final four 2008, dopo che lo stesso Rose sbaglia un tiro libero che avrebbe probabilmente garantito la vittoria a Memphis. Le qualità del ragazzo però non sono in discussione e a una settimana esatta da quella finale, il 15 aprile 2008, Derrick Rose dichiara di essere eleggibile al draft NBA. Inizia una nuova avventura.


CHICAGO NEL DESTINO

Il 26 giugno 2008 tutte le franchigie vorrebbero avere l’opportunità di chiamare Rose come prima scelta al draft, ma il destino quando decide di metterci lo zampino lo fa con stile. Il caso vuole infatti che solo con l’1,7% di probabilità sia la squadra di Chicago, la città in cui è nato e cresciuto, ad avere la prima chiamata in assoluto. Arriva il giorno della chiamata e nessuno ha dubbi su quale giocatore debba essere selezionato per primo: Derrick Rose è un nuovo giocatore dei Chicago Bulls.

Anche questa volta però decide di cambiare. Per il suo esordio in NBA, infatti, sceglie la maglia numero 1, ma i tifosi non ci fanno caso o comunque non ci prestano troppa attenzione. In città si respira un’aria diversa, la convinzione è quella di aver trovato ancora un giocatore che farà la storia della franchigia di Chicago, non manca chi lo definisce come una sorta di “nuovo MJ”. La stagione regolare non è delle più esaltanti, ma la squadra allenata da coach Vinny Del Negro riesce a raggiungere i playoff soprattutto grazie ai punti di Derrick Rose, che viaggia con una media di 16,8 punti, 6,3 assist e 3,9 rimbalzi a partita. Sarà però durante le partite della post season che si esalterà ancora di più. Nello sfidare al primo turno i campioni in carica dei Boston Celtics, la squadra guidata da un ragazzo che sta facendo la differenza al suo primo anno NBA perde con l’onore delle armi; la serie finirà 4-3 per Boston, ma Rose incanterà sul parquet. Queste prestazioni gli valgono il titolo di Rookie of the Year per la sua stagione regolare.

Derrick Rose riceve il premio come Rookie dell’anno nella stagione 2008/2009

Il secondo anno non cambia l’andamento né dei Bulls né di Derrick. Qualificazione ai playoff e media punti in salita. Anche questa volta però il primo turno è fatale per Chicago che si scontra contro i Cavaliers di LeBron James. Netta vittoria per 4 a 1 a favore di Cleveland e playoff finiti ancora una volta troppo rapidamente.

Bisogna aspettare il terzo anno per vedere il miglior Derrick Rose che si possa immaginare. Il ragazzo gioca bene ma sa che ancora non riesce a incidere veramente come vorrebbe, manca qualcosa. La stagione 2010-2011 vede un cambio in panchina per i Bulls, con l’arrivo di Tim Thibodeau, che cambia radicalmente il modo di giocare della squadra e di Pooh. Questa volta ci siamo. Chicago è devastante quando scende in campo, Rose riesce a registrare medie altissime segnando 24,6 punti a partita, fornendo 8 assist e recuperando 4,6 rimbalzi. Chicago chiude la stagione 62-20, record dell’intera Lega che per il numero 1 vale il titolo di MVP. Derrick Rose diventa il più giovane giocatore della storia a vincere questo titolo. Ai playoff si vede la stessa squadra che aveva incantato nella regular season. Al primo turno l’ostacolo Indiana viene superato agevolmente, come accade nel secondo con gli Atlanta Hawks. In finale di Conference trova contro i Miami Heat ai quali da quest’anno gioca però LeBron James. Anche questa volta non c’è storia, la serie finisce 4-1 e Chicago viene eliminata. Qualcosa però sta cambiando, c’è molta più consapevolezza nei mezzi della squadra e in Rose, che continua a maturare ogni volta che scende sul parquet. Non è solo un gran giocatore, è colui che porterà di nuovo il titolo in casa Bulls, tutti ci credono, tutti lo sperano.

Derrick Rose riceve il premio come MVP della regular season nella stagione 2010/2011

La nuova stagione inizia all’insegna di quella precedente. Chicago domina in regular season e lo fa anche senza Rose che a causa di piccoli infortuni salterà alcune partite durante l’anno. L’arrivo ai playoff di quest’anno però vede i Bulls tra i favoriti per la vittoria finale, anche grazie a un Poohdini che entra ufficialmente alla sua terza post season consecutiva sempre più da protagonista. Proprio durante la prima partita dei playoff però accade ciò che nessuno avrebbe mai voluto vedere.


L’INIZIO DEL CALVARIO

Allo United Center i Bulls ospitano Philadelphia per Gara 1. La partita sta per finire e il risultato vede la sicura vittoria della squadra di Chicago, quando ad 1:21 dalla fine dell’ultimo quarto Rose palla in mano punta l’area, supera in velocità il proprio difensore e tirandosi dietro tutto il quintetto dei 76ers salta fintando il tiro e scarica la palla fuori. Nessuno poteva però sapere che proprio in quel momento nulla sarebbe stato più come prima. Cade male poggiando solo una gamba, si accascia a terra, mette le mani sul volto e non riesce più a rialzarsi. I volti dei tifosi dei Bulls sono l’equivalente di un lenzuolo bianco pallido steso al solo. Nessuno si muove, nessuno proferisce parola. Tutti hanno solo paura, compreso lo stesso Rose. La partita viene vinta da Chicago ma in città sembra che non importi più a nessuno. Tutti voglio sono sapere cosa è accaduto al loro numero 1. Alla fine la prognosi è rottura del legamento crociato anteriore sinistro, un duro colpo per la carriera e per la squadra, che non pronta a perdere un giocatore come lui si vedrà sconfiggere al primo turno per 4-2.

L’infortunio è grave ma non dovrebbe tenere Rose fuori per troppo tempo, si vocifera infatti che per metà stagione dovrebbe di nuovo essere in campo per trascinare di nuovo la franchigia verso la vittoria di quel titolo tanto agognato. Tutti lo sanno e tutti ci sperano. La squadra senza di lui non convince più, ma si tiene in zona playoff per il suo ritorno. Tutto sembra pronto ormai per il nuovo arrivo di “Poohdini”; il ragazzo si allena con la squadra, si intravede nelle partitelle di allenamento, la stessa Adidas prepara un grande spot promozionale per il suo rientro in NBA. Solo che Derrick Rose non rientrerà mai. Non giocherà neanche una delle ottantadue partite della regular season di quell’anno. Molti malumori iniziano a serpeggiare tra i tifosi che non si capacitano di come sia possibile una cosa del genere, ma a ogni domanda sull’argomento l’unica risposta che arriva da parte dei Bulls è: “Tornerà a giocare quando si sentirà pronto”.

L’attesa per il suo ritorno durerà un anno e bisognerà aspettare l’inizio della stagione 2013-2014 per rivedere finalmente Derrick Rose correre su un parquet. Le prime partite sono complicate per lui e non riesce a ingranare molto a causa dei ritmi che sta cercando di recuperare, ma basta poco per rivedere il campione che aveva fatto sognare tutti i tifosi. Ma quando il destino decide di rincarare la dose non c’è niente da fare per fermarlo. È il 22 novembre. Poohdini sta disputando la miglior partita della stagione contro Portland, si rivede il giocatore che era stato qualche anno prima; ma a 3:33 dalla fine del terzo quarto per cercare di recuperare un pallone passato male compie uno strano movimento con il ginocchio destro che cede. Si trascina verso la panchina e non rientrando più in campo. A fine gara un comunicato dei Bulls annuncia un suo nuovo infortunio: rottura al menisco mediale del ginocchio destro. L’operazione e i tempi di recupero gli faranno saltare ancora un altro anno, altra stagione precocemente finita.

Spot promozionale realizzato dall’Adidas per il ritorno in campo che non è mai arrivato

Intanto il malcontento però continua a crescere, la città è spaccata in due. C’è chi non crede più nella promessa di rivedere il titolo a Chicago grazie a lui e, dall’altro lato, c’è chi invece confida ancora una volta nelle sue giocate per risollevare le sorti dei Bulls. Questa volta però nessuno spot promozionale, nessuna lunga attesa e nessuna pressione, è il campo a parlare. La stagione 2014-2015 non lo vede solo tornare a giocare, ma gli permette di partecipare di nuovo ai playoff che non riusciva a giuocare dal 2011. Al primo turno ci sono i Milwaukee Bucks che vengono superati con un comodo 4-2, ma al secondo turno Rose e compagni si trovano a dover affrontare i Cleveland del solito LeBron, che tante delusioni ha inflitto al popolo di Chicago, tornato a casa dopo due titoli vinti con i Miami Heat. La serie finirà 4-2 per i Cavaliers, ma si rivedrà un Derrick molto più competitivo e capace da solo di trascinare i Bulls anche nell’inaspettato vantaggio della serie per 2-1, che aveva fatto sognare i tifosi.

L’ultima stagione di Rose con i Bulls si apre con l’ennesimo infortunio che lo vede costretto a giocare con una maschera protettiva per il resto della stagione. La sua media si abbassa, 16,4 punti, 4,7 assist e 3,4 rimbalzi per partita. Il cambio di allenatore in panchina con l’addio di Thibodeau, non giova al numero 1 e al gioco di tutta la squadra. Per la prima volta dopo quasi dieci anni di qualificazioni consecutive i Bulls mancano i playoff. Ora è veramente finita. Nessuno ha più voglia di aspettare. Bisogna cambiare e bisogna farlo proprio partendo da chi al momento non è più considerato utile per la franchigia. In modo incredibile Derrick Rose viene ceduto in una trade con i New York Knicks, il figlio della città del vento deve salutare Chicago.

Derrick Rose scopre di esser stato ceduto ai New York Knicks

LA RINASCITA DEL NUMERO 25

All’arrivo nella grande mela anche Rose sa che deve cambiare qualcosa se vuole continuare a competere e provare a tornare il giocatore che era stato in passato. Lascia il numero di maglia che portava sulle spalle dal suo arrivo in NBA e torna alle origini. Ritrova quel 25 che alla Simeon High School lo aveva consacrato prima come erede di Benji e dopo come uno dei migliori prospetti per il futuro della lega. Con i Knicks riesce nel suo intento; ritrova gioco e ritmo, registrando la media più alta dalla stagione 2011-2012 con 18 punti, 4,4 assist e 3,8 rimbalzi per partita. Tutto questo non basta però a portare la squadra ai playoff, anche a causa della mancanza di gioco degli altri componenti della rosa.

Terminato il suo contratto di un anno e diventato free agent decide di approdare per la stagione 2017-2018 ai Cavaliers di Lebron James. Qui, però, a causa del poco spazio e del tipo di gioco nel quale non riesce a inserirsi non incide come vorrebbe. Il minutaggio è basso e il suo gioco rallenta, così in molti danno per certo oltre che un suo addio alla franchigia anche un suo possibile ritiro, dopo l’ennesima stagione che non lo ha visto protagonista. Ma il destino non aveva ancora finito di scrivere la storia di Derrick Rose.

Il 7 marzo 2018, senza non poche pressioni, decide di accettare la chiamata di Minnesota che lo vuole con sé per il finale di stagione e per quella successiva. Nella la terra dei 10.000 laghi c’è soprattutto una persona che spinge per il suo arrivo. Il tecnico dei Timberwolves è Tim Thibodeau e non vede l’ora di lavorare ancora con il giocatore che ha conosciuto a Chicago, nel tentativo di riuscire a farlo tornare quello di un tempo.

Rose sceglie ancora il 25 ma non è più il giocatore di un tempo, le sue qualità tecniche sono cresciute e a livello tattico non è più quello dei Bulls. Non cerca continuamente l’isolamento, non punta la lunetta con la stessa velocità e, cosa più importante, ha iniziato a tirare da tre con molta più freddezza e regolarità. A Minnesota deve confrontarsi con un roster molto più giovane di lui e che non gli permette di essere protagonista da subito. Ma tutto questo è solo un bene per lui. Si ambienta nelle ultime partite della stagione e si allena duramente tutta l’estate per tornare nella miglior condizione possibile. Le prospettive per la stagione sono buone, anche Thibodeau sa che sta lavorando non più con un giocatore che voleva sempre la palla per sé, ma con un Rose maturo che accetta di giocare quando l’allenatore glielo permette, che si mette a disposizione della squadra e, cosa più importante, che cerca di sfruttare ogni minuto che gli viene concesso.

Il duro lavoro e la fiducia alla fine pagano. Per una sera il destino decide di ridare a Poohdini tutto quello che gli aveva tolto durante gli anni. Il 31 ottobre 2018, alla prima partita in cui viene schierato titolare contro gli Utah Jazz, Derrick Rose torna a essere quello di un tempo, giocando una partita sontuosa e dimostrando a tutti che il momento di appendere le scarpe al chiodo non è ancora arrivato. Tiri da tre che nessuno era abituato più a vedere, penetrazioni in lunetta con una velocità disarmante capace di bruciare ogni avversario, step back con difensori che non sanno come proteggere l’area, assist e tanta corsa. A fine serata metterà a referto 50 punti, massimo in carriera per lui, fornendo anche 6 assist, rubando 2 palloni e prendendo 4 rimbalzi. A fine partita l’urlo dei tifosi del Target Center di Minneapolis è uno solo ed è tutto per lui: “MVP! MVP! MVP!”. Derrick sa di aver compiuto un’impresa e non riesce a trattenere le lacrime; per lui è la fine di un calvario che dura ormai da sette lunghi anni e nel quale spera di non rientrare più.

La reazione di Derrick il 31/10/2018 dopo aver realizzato 50 punti contro gli Utah Jazz

Versa lacrime di gioia per essere tornato il giocatore che aveva fatto innamorare molti appassionati di lui, piange per scaricare la tensione e, forse, le sue sono anche lacrime amare in memoria delle passate stagioni in cui, a causa dei tanti infortuni, non era più riuscito a essere competitivo. Chissà che giocatore sarebbe diventato se avesse avuto più continuità. In quel momento, all’età di 30 anni, Derrick Rose risorge dalle proprie ceneri. Questa volta il destino non gli gioca altri scherzi, conclude infatti la stagione alternando partite in cui viene schierato nel quintetto di partenza a quelle in cui entra dalla panchina, riuscendo a chiudere le proprie serate più volte sopra i trenta punti. Alla fine della stagione regolare la sua media segna 18 punti, 4,3 assist e 2,7 rimbalzi per partita. Poohdini ha ritrovato finalmente la fiducia che sembrava aver smarrito da tempo e la costanza nel giocare, al punto che molti vorrebbero vedergli ricevere il premio NBA Sixth man of the year award, che viene consegnato al giocatore che entrando dalla panchina riesce a essere più incisivo durante la stagione. Alla fine a vincere il premio sarà Lou Williams, dei Los Angeles Clippers per il secondo anno consecutivo, ma la rinascita di Derrick Rose è compiuta.


DA DETROIT VERSO CHICAGO PER L’ALL-STAR GAME

Conclude la sua stagione a marzo per un piccolo intervento al gomito, che lo vede pronto a tornare ad allenarsi già da fine maggio, periodo in cui il suo contratto con i Timberwolves è scaduto. Da quel momento in poi Rose è tornato a essere un free agent, il che significa essere libero di ascoltare tutte le proposte e scegliere la squadra con cui giocare l’anno successivo. In molti pensavano che vista la stagione appena conclusa avrebbe scelto di rimanere proprio a Minnesota per continuare quel progetto di rinascita che lo aveva visto protagonista, ma l’ex play di Chicago non era della stessa idea. La scelta finale è stata di quelle che non ci si aspetta: Rose ha firmato un contratto biennale con i Detroit Pistons. Qui ha trovato giocatori dal calibro di Blake Griffin, Andre Drummond, Reggie Jackson e Tony Snell. Proprio per questo il numero 25 ha dovuto trovare ancora una volta la propria dimensione.

Si, perché la forza di Derrick Rose in questi anni è stata proprio quella di sapersi riadattare ad ogni situazione che la vita gli ha messo davanti. Da giocatore scelto come pick numero uno al Draft a sesto uomo di Detroit. Qualcuno potrebbe pensare a un passo indietro, ma non lui. Non Poohdini. Subentrare dalla panchina lo esalta, lo responsabilizza il giusto e, soprattutto, gli permette di poter giocare con più continuità evitando i lunghi minutaggi che potrebbero causargli infortuni. La sua media da inizio stagione parla chiaro: 18.4 punti, 5.8 assist e 2.4 rimbalzi a partita.

Se poi tutto questo non dovesse bastare a convincere i più scettici a tifare per una sua apparizione all’All-Star Game basterebbe dire che Rose ha chiuso il 2019 con un mese di dicembre da vero protagonista. Il play ha realizzato una media punti, assist, rimbalzi, palle rubate e canestri per partita superiore a quella della stagione 2010/2011. Cosa succedeva in quella stagione? Gli veniva consegnato il premio MVP della regular season. Quest’anno poi l’All-Star Game si disputerà proprio allo United Center, l’arena in cui disputano le proprie partite casalinghe i Chicago Bulls e dove tutta la storia di Poohdini in NBA ha avuto inizio. Sarebbe il ritorno del figlio della città del vento, giocatore che da quelle parti ancora ricordano molto bene e a cui sono molto affezionati nonostante tutto.

C’è poi anche da considerare l’impegno e la determinazione che stanno caratterizzando questa stagione di Derrick Rose. Analizzando le sue ultime dieci partite del 2020 si può vedere come, nonostante parta dalla panchina, sia riuscito a mettere consecutivamente più di 20 punti per match, prendendosi la responsabilità di giocare in più occasioni punti importanti al fine di conquistare la vittoria per Detroit.  Attualmente è uno dei giocatori migliori in uscita dalla panchina per punti segnati: con una media di 18.4 è infatti terzo in una classifica virtuale alle spalle solo di Montrezl Harrell e Lou Williams dei Los Angeles Clippers.

Ci sono ancora dubbi sul perché meriti di prendere parte al prossimo All-Star Game? La sua ultima apparizione risale al 2012, in totale può vantarne tre in carriera, ma la pallacanestro che sta mettendo in campo in questa stagione, molto più ragionata e funzionale alla squadra, non si vedeva da anni. A inizio stagione qualcuno aveva previsto che non sarebbe stato il solito Derrick Rose. Indovini o inguaribili ottimisti? Forse si sono solo fidati del titolo della sua biografia uscita in tutte le librerie a settembre: “Vi farò vedere”. Per ora si può dire che sta mantenendo la sua promessa.

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