Ronaldo: Se mi lasci ti cancello

Perché la storia tra Ronaldo e la Juventus non poteva che finire male

È il 18 agosto del 2018. Io sono seduto su un treno RenFe a Barcellona e fa un caldo disumano. In mano ho la mappa della rete ferroviaria spagnola (o meglio, catalana) e il cellulare. Il secondo è acceso e aspetta la prima partita con la Juventus di Cristiano Ronaldo, o meglio: la prima partita della Juventus con Cristiano Ronaldo. La differenza sembra impercettibile eppure c’è e mostra un corpo estraneo all’interno di una squadra di calcio.

Chi si aspettava un qualcosa di semi divino, così come lo aveva sempre visto a Madrid, prende subito un brutto ceffone dalla realtà: contro il Chievo le difficoltà sono tantissime e i gol, tutti sporchi, sono di Khedira, Bonucci e Bernardeschi. C’è qualcosa però nel body language del portoghese che mi infastidisce durante il mio viaggio per la Catalogna. Anche se sul momento non mi so spiegare a cosa sia dovuto.

Il 25 agosto, nella prima partita in casa contro la Lazio, quel sospetto si esplicita e diventa mondovisione. La prestazione senza gol di Ronaldo è ottima: rabbiosa, piena di spunti e di occasioni. Assistiamo però per la prima volta a una insofferenza plateale e clamorosamente esagerata al non raggiungimento dei suoi obbiettivi personali, vedi la voce “fare gol“. Al 2-0 di Mandzukic, che arriva da un suo liscio, la partita si chiude con la vittoria, ma del gruppo che si avvicina a esultare insieme al croato, Ronaldo è l’unico che scuote la testa e si dispera, nel mezzo di dieci uomini contenti per il risultato.

Impareremo a vedere questa scena abbastanza spesso.

Ronaldo getta la maglia di fronte a Pirlo dopo la partita contro il Genoa

Sembra stupido a dirsi ma i tre anni successivi, da quel 25 agosto 2018 al 25 agosto 2021, sono stati più o meno tutti di questo tipo. La Juventus e il numero 7 sono scesi in campo insieme un po’ controvoglia. La prima convinta che bastasse il campione per raggiungere quell’obiettivo dalle grandi orecchie, il secondo convinto della stessa cosa, ossia che avrebbe pensato a tutto lui. Il ridimensionamento è stato brutale. Il bilancio complessivo, per la società e – soprattutto – per i suoi tifosi, è stato pessimo.

Poco importa il numero di titoli (4, tutti in Italia) e il numero di gol (101, con 22 assist), a rimanere di questi tre anni saranno pochissime cose. La prima è senza dubbio quell’impercettibile e fastidioso senso di superiorità che Ronaldo ha dimostrato verso compagni e società. Separato in casa fin dal principio, il portoghese non è mai stato capopopolo (vedi la voce “Tevez”) o maledettamente romantico (vedi la voce “Higuain“). Il risultato è una manciata di momenti bellissimi (la tripletta contro l’Atletico Madrid, il colpo di testa a Marassi) che però hanno dato solo l’illusione dell’avere in squadra uno dei calciatori più forti del mondo.

Il cagòn detto ad Allegri contro l’Ajax

L’epilogo di questi giorni è poco più di un riassunto di questi anni: l’incarico a Mendes di trovare una squadra e la fuga frettolosa a svuotare l’armadio e salutare i compagni. Sarebbe bello intrufolarsi negli spogliatoi e sentire quali parole userà per giustificare l’addio a tre giorni dalla fine del mercato. Qualunque esse siano, tra pochi anni ci saremo già dimenticati di questo abbaglio costato centinaia di milioni di euro e svariate situazioni imbarazzanti, tra discussioni e sceneggiate a favor di telecamera contro allenatori e compagni.

Ronaldo torna negli spogliatoi dopo essere stato sostituito da Sarri

Addio Cristiano, ci hai dimostrato che non basta un singolo per fare una squadra. Che non bastano degli attributi per fare un uomo. Che non basta una maglia per sentire appartenenza. Tre concetti forse antichi e impolverati, ma che ancora sono validi. Soprattutto dopo un estate ad assistere ai successi di squadre senza stelle, come il Chelsea e l’Italia.

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