Spoiler non spoiler: è una storia di una carriera circolare, forse compiuta solo a metà o più probabilmente una di quelle storie tipiche del calcio internazionale ai tempi del televideo, della rivista calcio 2000 e di video scambiati con il buetooth, e conclusasi alla corte di Napoleone.
Un chiquito de Buenos Aires
L’istruttore Claudio Rodriguez racconta che bastarono pochi giorni per decidere che lo avrebbe segnalato al settore giovanile del River Plate, non aveva mai visto un bambino così lesto. Claudio sapeva bene che il fútbol sala è un gioco diverso, con regole, spazi e tempi che niente hanno a che fare con il calcio a 11. Convinto che il club di Buenos Aires lo avrebbe accolto a braccia aperte, sapeva che stava a lui decidere quando portarlo. Dai 3-4 anni fino ai 9 sceglie di conservarlo, proteggerlo e pazientare, poi è lui il primo a scalpitare, ad essere curioso dei capitoli successivi e sa che non è più compito suo scriverli e allora è deciso: il chiquito andrà al River Plate. Claudio Rodriguez viene bruciato sul tempo da Adolfo Pedernera, gloria argentina icona dei Los Millonarios per 12 anni, infatti è lui a sponsorizzarlo per primo ai dirigenti del River, che poi insieme a Claudio e alla famiglia completeranno il trasferimento. A 10 anni inizia ufficialmente il percorso nelle giovanili, gioca sempre sotto età e a 13 anni già gioca con giovani adulti di 18 anni. Nessuno vede un motivo per aspettare, è pronto! A 15 anni viene aggregato ufficialmente alla prima squadra e proprio nel primo allenamento nasce l’apodos che lo accompagnerà per tutta la carriera.
“Fai attenzione che quello è tosto per davvero, ci va pesante coi ragazzini. Se ti capita un mano a mano tu tira e non provare a smarcarlo. Anche a costo di sbagliare il gol, fidati”. Questa è l’istruzione ricevuta sul Mono Burgos, portiere a dir poco duro. Verso il termine della seduta di allenamento si disputa la classica partitella, le riserve contro i titolari. Un lancio lungo sbagliato, preda facile del portiere, grazie alla velocità sorprendente del ragazzino si trasforma nell’occasione a tu per tu con Burgos, il mano a mano prende vita e di puro istinto, non sfrontataggine, aziona le gambe e va di dribbling repentino alla destra del portiere; Burgos non ci sta e lo stende con un’entrata killer a due gambe. Il ragazzino è a terra in lacrime e tutti, compresi i medici, ipotizzano una frattura. Il Mono (scimmia) Burgos in quel momento decide che quel chiquito è un animale come lui, si ma che tipo di animale? É piccolo, veloce, lesto e imprendibile, un viso da dove si notano i due incisivi e allora non può che essere EL CONEJO, il coniglio.
Javier Saviola è pronto
Javier Saviola fortunatamente se la cavò con molto ghiaccio e moltissima paura, ma niente frattura. Pochi mesi dopo, in un cocente pomeriggio primaverile di San Salvador de Jujuy nell’ottobre (siamo nel tropico del capricorno) del 1998, è seduto in panchina con la maglia numero 27 e vede il mister Ramón Diaz voltarsi in panchina dopo l’infortunio occorso a Castillo e racconta “mi sono girato a destra, poi a sinistra e mi sono reso conto che ero l’unico attaccante rimasto in panchina. Ho iniziato a tremare”.
Il punteggio è sul 2-2 e tocca al conejo fare qualcosa per agguantare 3 punti pesanti in trasferta. Nella prima azione, in cui viene coinvolto, scappa sulla linea del fuorigioco (forse oltre), brucia il terzino sulla fascia e crossa; la parabola prende una strana traiettoria e diventa pericolosa, il portiere si rifugia in calcio d’angolo. Pochi minuti dopo Escudero lancia verso l’area sul colombiano Angél che lavora il pallone e lo serve a Saviolito che è rapido a crearsi lo spazio per concludere e infilzare con un diagonale, 2 a 3. Stringe la maglia tra le mani, poi la bacia e si butta per terra e arrivano tutti i compagni per esultare con lui. Segnare gol è il suo mestiere e sembra sì emozionatissimo, ma denota anche “mestiere” nell’istintiva esultanza. Il debutto con gol è solo il preludio a ciò che sarà la sua esperienza con las gallinas (soprannome iconico del River Plater). É sempre pronto a colpire, elettrico, rapidissimo e con un’abilità naturale nello smarcamento.
Nel 1999 vince il titolo di capocannoniere del campionato d’apertura (15 gol in 19 partite e 8 assist), viene eletto Rivelazione dell’anno dal quotidiano di Buenos Aires “El Clarin”. Alla premiazione, il portiere del Paraguay, Chilavert, dice: “un giovane così bravo e promettente non lo si vedeva emergere da moltissimi anni”. Saviola mantiene le promesse con puntualità: nel 2000 esordisce in nazionale e in agosto, il Barcellona parte alla carica, offrendo 22 milioni di dollari al River e offrendo a lui un contratto di sei anni. Il direttivo del River resiste, si riunisce più volte e alla fine dà responso negativo. La vicenda non termina lì, infatti 12 mesi dopo i blaugrana tornano alla carica. Il Barcellona ha capito che serve un talento così per cancellare le amarezze di una stagione sbagliata, il River è stretto alle corde: da un lato c’è un deficit pesantissimo a bilancio, circa 60 milioni di dollari, dall’altro il Boca Juniors, che ha appena vinto la Copa Libertadores. Vorrebbero tenerlo ancora una stagione, ma Saviola va all’attacco anche fuori dal campo: invia ad alcuni giornalisti una lettera aperta, spiegando che il River non ha mai impedito ad un suo giocatore di attraversare l’Oceano per cercare fortuna in Europa e conclude con “fate così anche con me!”. Il padre è gravemente malato e ritiene che in Spagna potrebbe essere curato meglio. Quell’estate l’Argentina ospita il mondiale under 20 (nel 1999 gli fu impedito dal River di partecipare) e Saviola è la punta di diamante della selezione fortissima di José Pekermann. Tripletta all’Egitto, doppietta alla Giamaica, tripletta alla Francia ai quarti, doppietta al Paraguay in semifinale. Il giorno prima della finale contro il Ghana termina la trattativa con il Barcellona, due giorni dopo la finale volerà in Spagna per visite mediche e firma sul contratto quinquennale. Prima della finale, oltre alle sue dichiarazioni entusiaste per il trasferimento, arrivano anche due endorsement illustri e pesanti, Maradona dice: “È il più grande giocatore del momento, uno così farà fortuna. Mi viene la pelle d’oca, ha la qualità di un 10 e sa segnare come Van Basten” e Platini, che ha assistito agli incontri dell’Argentina contro Francia e Paraguay, replica: “È il campione giusto per questa nazionale strepitosa, che sa essere micidiale, quando è il momento di chiudere le partite”. La squadra di José Pekermann è la nazionale delle tre «G» («Gaña, Gusta, Golea», vince, diverte, segna) e Saviola ne interpreta lo spirito, con il suo gioco fatto di gol, dribbling ad alta velocità e grande lucidità nei gesti decisivi. In finale le tre G simboleggiano il 3-0 finale, con gol, neanche a dirlo, di Saviola. 11 gol in 7 partite, trofeo e premio di miglior giocatore: questo è il biglietto da visita per gli spagnoli e per la stampa catalana immediatamente diventa “el pibito” (diminutivo di Pibe, uno dei soprannomi di Maradona).
Il coniglio cambia tana
In 86 presenze nel campionato argentino (non tutte da titolare) ha segnato 45 gol e servito una ventina di assist, il tutto senza aver compiuto 20 anni. Il ragazzino cresciuto nel barrio di Belgrano si è fatto le ossa in uno spogliatoio con Leo Astrada, Ayala, Sorín, Gallardo, Pizzi, Aimar e il Mono Burgos, e il calcio europeo non lo spaventa. Arriva al club catalano in una fase di transizione con sette allenatori in cinque stagioni, l’era pre-Rijkaard.
Saviola e Kluivert prima, Riquelme poi, sembrano giocatori nella squadra giusta al momento sbagliato e “da soli” non possono/non riescono a risollevare le sorti del club e dunque vengono considerati mezzi giocatori o non campioni. Che poi el conejo non fa mica male al Barcellona, nelle prime tre stagioni mette a segno 60 gol. In 3 anni però quel Barça non vince nulla. I blaugrana lo mandano in prestito al Monaco, dove non brilla, poi al Siviglia dove colleziona 42 presenze con 15 gol, 6 dei quali segnati nella Coppa Uefa vinta ad Eindhoven. Un gol o un assist ogni 83 minuti in quel trionfo europeo. Torna al Barcellona dove però è un comprimario marginale nel 2006-07, quell’anno la Liga fu vinta dal Real Madrid giunto a pari punti proprio con gli eterni rivali catalani.

Nell’estate del 2007 passa a parametro zero proprio alle merengues. L’operazione “riscatto” non va a buon fine e dopo 2 stagioni con appena 32 presenze e 5 gol prepara nuovamente i bagagli, dove ora, oltre ai vestiti e le speranze, ci sono una Liga e una Supercoppa spagnola vinte da spettatore o quasi. Difficile trovare spazio in un attacco con Van Nistelrooy, Raul, Baptista, Robben, Higuain, Soldado, Robinho, Sneijder, in più l’allenatore Bernd Schuster non lo vedeva compatibile col suo gioco. Non lo sa, ma nell’ottobre del 2007 gioca la quarantesima e ultima presenza con la nazionale, con la quale non ha mai brillato (11 anonime marcature, tranne una contro la Costa D’Avorio a seguito di un assist fantascientifico di Román) e ha disputato soltanto 1 mondiale (2006). La generazione di Riquelme, Aimar, Saviola & Co. è stata troppo tardiva per giocare con i campioni di fine anni ’80 inizio ’90, e forse troppo precoce per quella di Messi, Di Maria, Mascherano ecc.
Nel 2009 Saviola ha 28 anni ed è ai margini del calcio che conta, ha da giocarsi l’ultima chance in Europa e sceglie il Benfica. Mai scelta fu più azzeccata. In Portogallo ritrova la sua dimensione e anche el payaso Pablo Aimar come compagno, segna, diverte, vince 1 campionato e 3 coppe nazionali. Con prestazioni e risultati anche nelle coppe internazionali (1 quarto e 1 semi di Europa League e 1 quarto di Champions) dimostra che nel calcio europeo poteva restarci. Dopo il Benfica c’è la parentesi al Malaga dello sceicco, la squadra guidata da Pellegrini vede sfumare la semifinale di Champions al 94° contro il Dortmund di Klopp. Poi con l’Olympiakos vince un campionato greco nel quale segna 12 reti. Nel curriculum figura anche una discreta stagione all’Hellas Verona di Mandorlini, dove arriva per formare una coppia d’attacco di veterani con Luca Toni, ma in realtà diventa più un vice Nico Lopez, 16 presenze e 2 gol.
Coniglio vecchio fa buon brodo
Nel 2015 ha 34 anni, non è più un calciatore di livello europeo da circa 1 anno e forse (a malincuore) non è più un calciatore neanche di seconda fascia. Il ritiro è un’idea forte per el conejo, idea che però non lo convince al 100% e riflettendo gli viene in mente che c’è ancora qualcosa da compiere, ma prima un piccolo passo indietro o di lato se preferite.
Terminata la sua ottima esperienza portoghese ci furono parecchie voci sulla tappa successiva di Saviola, alla fine la spuntò il ricco Malaga e alcuni suoi ex tifosi non la presero affatto bene. Il River Plate nel 2011 ha vissuto l’anno peggiore della propria storia, una stagione nefasta che si concluse con l’onta della retrocessione. Dal campo alla panchina passò Matias Almeyda, che era tornato a giocare dopo circa 4 anni (mal contati) dal ritiro. El Pelado Almeyda si sentiva di dover ridare qualcosa al suo popolo e questo gli valse un onore immenso tra il popolo gallinas. Il 2012 non era concepibile un fallimento e nonostante la partenza della stellina el coco Lamela, l’obiettivo era uno soltanto: la promozione nella massima serie. Per questo si pensò che qualche vecchia gloria del River Plate potesse mettersi una mano sulla coscienza e tornare a Buenos Aires per dare il proprio contributo. Javier Saviola però si era appena ri-affermato a livello europeo e scelse altro per la sua vita e carriera. Tra il 2012 e il 2015 il River Plate torna velocemente ad alti traguardi, con il ritorno di Ramon Diaz in panchina, conquista un campionato nel 2013-14. A due leggende ne ha fatto seguito una terza sulla panchina biancorossa: el Muñeco Marcelo Gallardo. Con Gallardo il River gioca un calcio moderno, concreto, splendido e di successo e ideale per i giocatori offensivi.
Nel 2015 l’obiettivo, detto sottovoce, è quello grosso, è la ilusión de todos: la Copa Libertadores. El Muñeco sta per traformarsi in Napoleón e per farlo, oltre ai giovani talenti, si affida a 4 vecchi volponi ex River Plate: el torito Cavenaghi, el fruta Rodrigo Mora, el conejo Saviola e nientemeno che el payaso Aimar. Ebbene sì Saviola e Aimar si ritrovano compagni di club per la terza volta (la seconda alla banda). Dopo aver superato a fatica il girone, nella fase ad eliminazione diretta c’è subito una doppia sfida per cuori forti, El Superclásico.
L’andata è un tipico derby, sentito, bloccato, falloso e non spettacolare; un rigore a 8 minuti dal termine dell’uruguagio Sanchez regala l’1-0 finale al River. Il ritorno è una locura, si giocano soltanto 45 minuti perché poi un agguato con spray urticanti ai danni di Saviola e compagni, porta alla sospensione della partita e il Boca Juniors viene estromesso dalla Copa Libertadores.

La doppia finale contro il Tigres vede uno 0-0 all’andata e un sonoro 3-0 al ritorno. Missione compiuta, il River Plate torna ad essere El Mas Grande! Dunque, lieto fine? Per lo più sì, ma in parte no. Infatti el conejo ha contribuito davvero in minima parte al trionfo de las gallinas, 15 presenze (11 in campionato), 0 gol e 2 assist.
É difficile pensare a una carriera più circolare di quella di Javier Saviola:
- cresciuto nel futbol da sala
- inizio carriera trionfante col River Plate
- esperienza al Barcellona
- esperienze varie in Europa
- fine carriera trionfante col River Plate
- ritorno al futbol da sala
Nel 2018 è tornato al suo primo amore, il calcio a 5 indoor, ha vinto due campionati andorrani (ah sì, ora vive in Andorra con la sua famiglia, dice che il posto perfetto per loro) e a tempo perso fa l’assistente allenatore del FC Ordino (massima serie di calcio a 11 di Andorra).
Una carriera circolare e strana, a cui forse è mancato un acuto (magari in nazionale) per restare nella memoria collettiva del grande pubblico, ma chi lo ha visto giocare, specialmente nella prima parte della carriera tra River e Barca, avrà per sempre negli occhi gli scatti, la rapidità e la freddezza sotto porta del Conejo Javier Saviola.

Classe 1996 romano laureato in “Letteratura musica e spettacolo” all’Università Sapienza. Ha lavorato per Radio Kaos, Mondo Radio e Radio Popolare Roma 103.3, ha scritto e scrive per vari siti online di calcio e basket come nbapassion.com, footbola.