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Sergio Pérez, un esperto cavaliere di pura resilienza

Sergio Pérez, cavaliere di resilienza

Il 2020 doveva essere l’ultima stagione prima della rivoluzione in F1, che promette tanto – con l’introduzione del salary cap come possibile innovazione – e che sembra essere l’inizio di una nuova era, così come era stato il 2014 e così come avrebbe dovuto essere il 2017. Il COVID ha posticipato il tutto di un anno, ma non significa che il futuro non sia tema di discussione già ora.

In mezzo a questo gioco di carte, con chiacchere su team, regolamenti e futuro, conta anche il valzer dei piloti. Qualcuno ha avuto più di una conferma per un contratto nel 2021: c’è chi spera semplicemente di avere un jolly in mano (Ricciardo incrocia le dita per la sua avventura in McLaren, così come Alonso è tornato dalla porta di servizio), c’è chi invece deve ancora sciogliere la riserva (Hamilton e Vettel sono chiaramente attesi al varco).

Prima dell’inizio della stagione, c’erano sono solo cinque piloti in griglia sicuri del proprio futuro da qui a 12 mesi, con tre di loro che sanno dove saranno anche nel 2022. Ocon alla Renault e Russell alla Williams (in quota Mercedes) appartengono alla prima categoria, Leclerc in Ferrari e Verstappen alla Red Bull alla seconda. E poi c’è il quinto componente, che è stato confermato con un contratto triennale.

E pensare che il protagonista in questione è forse stato il più rumoroso sul gap tra le prime tre scuderie della griglia e il resto dei team, aggiungendo anche come se le cose non dovessero cambiare, il 2022 sarebbe il suo ultimo anno nel circus. Ma non c’è da stupirsi: Sergio Pérez è sempre stato uno dalla schiena dritta e dalle idee chiare. Forse uno dei pochi con una prospettiva più lunga della sua precaria carriera in Formula 1.

El chico de Guadalajara

Fin dagli inizi – e parliamo dell’inizio degli anni 2010 –, Pérez è sempre stato inquadrato come un raccomandato perché finanziariamente sostenuto da Carlos Slim, magnate della televisione messicana e convinto sostenitore delle potenzialità del pilota. Spesso il ragazzo finiva in un filone che andava dal gradiente Grosjean – che andava per la maggiore fino a qualche anno fa – a quello Maldonado, spesso sbeffeggiato.

Capace di imporsi facilmente in Messico, Pérez si è poi trasferito a 15 anni in Germania. Da solo, vivendo nel ristorante del suo manager per quattro mesi. Una situazione non semplice da sopportare quando sei ancora nel pieno della crescita e lontano migliaia di chilometri da casa, anche se molti dei piloti oggi in griglia hanno affrontato questo tipo di percorso di formazione.

Ciò che non ti uccide, ti tempra. E Pérez non è un’eccezione, visto che il messicano fa gradualmente dei salti di qualità negli anni: la Formula BMW come inizio, la Formula Three come passaggio intermedio (compreso il cambio di residenza, andando a vivere in Inghilterra) e infine la GP2, dove Pérez trascorre due anni nel farsi le ossa con il team Barwa Addax.

Nello suo anno da sophomore – in una griglia che comprende anche Jules Bianchi, Marcus Ericsson, Davide Valsecchi, gli stessi Grosjean e Maldonado, Pic, Hartley e van der Garde –, Pérez si fa notare. Vince cinque gran premi e conclude al secondo posto in classifica, dietro quel Pastor Maldonado che salirà di grado come lui. Bisogna solo aspettare qualche mese per ufficializzare il tutto.

Già, perché il messicano è ormai parte della Ferrari Driver Academy, a cui si è appena unito. A distanza di anni, fa quasi ridere la miopia che la Ferrari ha dovuto esercitare per rinunciarea tanti potenziali asset prima di arrivare a Leclerc solo nel 2019(con Bianchi, la sfortuna è intervenuta pesantemente). Pérez rientra in quel filone, visto che si vestirà mai ufficialmente di rosso.

Quando Pérez firma per la Sauber – dove sostituisce l’esperto Nick Heidfeld per la stagione 2011 –, nessuno si aspetta granché. La scuderia elvetica viene da un anno così così e Kobayashi non basta da solo per spingere in alto la C29. Con una griglia da 24 macchine, non è nemmeno così semplice emergere. Pochi sanno che Pérez è pronto a prendersi ogni occasione disponibile.

King of midfield

La prima stagione serve al messicano per ambientarsi, con Kobayashi – forte dell’anno già disputato in F1 – nettamente avanti nel confronto diretto in casa Sauber. Tuttavia, la macchina mostra dei margini di miglioramento e la C31 del 2012 è forse una delle monoposto più riuscite dell’ultimo decennio in termini di rapporto tra il budget a disposizione e i risultati poi ottenuti in pista.

In un anno folle, forse tra i più divertenti degli ultimi due decenni, Pérez si fa vedere in più occasioni. Mette da parte più podi di Felipe Massa, di Nico Rosberg, di Michael Schumacher. Sale su quei gradini magici per tre volte con altrettante prestazioni straordinarie, chiudendo davanti al compagno di squadra di soli sei punti, nonostante non ne raccolga alcuno nelle ultime sei gare.

La logica vorrebbe che la Ferrari punti su un pilota che ha sostanzialmente cresciuto e incoraggiato. Invece, la Rossa si tiene Massa e il domino Hamilton-Mercedes porta Pérez in McLaren. Una mossa che Checo ha sempre vissuto con rammarico, visto che la MP4-28 – ancora motorizzata Mercedes – non è la macchina che l’anno precedente aveva un’ottima velocità (accompagnata da una scarsa affidabilità, il che spiega l’addio di Hamilton).

Le battaglie con Button, gli scarsi risultati in pista e un distacco finale di 24 punti dal compagno di squadra spingono Pérez lontano da Woking, dove verrà sostituito da Kevin Magnussen. Ma non c’è problema, perché Checo trova un’altra macchina in Force India, dove affianca Nico Hulkenberg in una delle coppie di piloti più solide mai viste nell’ultimo decennio di Formula 1.

La Force India è una scuderia in crescita e la motorizzazione Mercedes nell’era dell’ibrido è una marcia in più, ma Pérez riesce dove altri – un esempio è il suo compagno di squadra – non riescono ad aver successo. Il messicano coglie ogni minima occasione, a partire dal Bahrain 2014: mentre Hamilton e Rosberg danno luogo a un duello storico, Pérez vince quello con il suo compagno di squadra e sale sul podio dopo due anni.

In una Formula 1 con un gap sempre più grande tra top team e il resto della griglia, cogliere un podio diventa sempre più difficile. Eppure, Pérez ne coglie cinque in cinque anni, mancandolo solo nel 2017. Dall’approfittare della collisione tutta finlandese a Sochi alla maestria tra le strade del Principato in condizioni avverse, arrivando fino al doppio podio conquistato a Baku.

In generale, hai la sensazione che se ci sarà un opening, sarà Pérez ad approfittarne tra i piloti di metà classifica. Se la Force India ha condotto un’esistenza piuttosto stabile in mezzo la griglia, lo deve anche al messicano, capace di mosse forti in momenti difficili. Quando il team è entrato in amministrazione controllata a causa della complicata situazione di Vijay Mallya, Pérez stesso ha denunciato la situazione.

Qualcuno avrebbe detto che il pilota era semplicemente interessato al suo ingaggio, ma c’è molto di più: la mossa ha forzato la ricerca di nuove risorse e investitori. Una mossa che ha funzionato, visto l’arrivo di Lance Stroll solo qualche mese più tardi. In un mondo di professionisti sul mercato, Checo ha mostrato una lungimiranza nel vedere a lungo termine, di fatto permettendo alla Force India di sopravvivere.

L’orizzonte

Galeano diceva dell’utopia: “Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare”. Quel ragazzo arrivato da Guadalajara e costretto a vivere in un ristorante nella sua prima avventura europea sembra proprio la manifestazione di questa massima.

Pérez ha avuto una sola chance con le grandi della Formula 1 ed è stata la sua peggiore stagione nel circus. Quando ha dovuto contare sulle sue forze e basta, il messicano ha tirato fuori il meglio di sé e della macchina, mostrando i suoi punti di forza e cogliendo diverse occasioni. Il tutto senza mai tirarsi indietro, quasi scontrandosi con chi era attorno a lui (chiedete a Esteban Ocon cosa ne pensa).

Eppure Pérez ha concluso tutte e cinque le ultime stagioni davanti al proprio compagno di squadra. E poco importa che si chiamasse Hulkenberg, Ocon o Stroll (anche se nel caso del canadese c’è stato un massacro), perché Checo ha dimostrato di aver raggiunto quella maturità che molti piloti anelano, ma non tutti trovano. All’alba dei trent’anni – appena compiuti in quest’inizio di 2020 –, Pérez non ha solo trovato queste consapevolezze, ma anche qualcosa di più.

È notizia recente, infatti, dell’imminente ingresso dell’Aston Martin in Formula 1. Dopo aver servito la Red Bull in qualità di partner per molti anni, ora la casa inglese farà il suo ingresso in pompa magna acquisendo la Racing Point, rimasta indefinita per un paio di stagioni. Si parla dell’arrivo in F1 nel 2021, caldeggiato dai fondi di Lawrence Stroll e che vedrà comunque il messicano come ancora della transizione.

O così dovrebbe essere: gli ultimi giorni hanno rivelato la possibilità che Vettel, scaricato dalla Ferrari, possa unire le forze con l’Aston Martin, rischiando di escludere Pérez, che ha dovuto pure confermare l’interesse di un’altra scuderia prima del GP di Ungheria (probabilmente la Haas, con Grosjean in rampa di siluramento). 

Come un meme e l’hashtag #KeepCheco recitavano su Twitter, sarebbe un peccato se la sua avventura si fermasse proprio ora che la Racing Point è sul punto di trasformarsi in una forza di rilievo nella F1 del futuro. La stessa scuderia che deve molto al messicano per la crescita negli ultimi anni, tanto che persino un ex presidente si è esposto per sostenere la permanenza del pilota nella categoria.

Come detto, Pérez ha un triennale in tasca, la maturità di chi ne ha viste tante e la speranza di chi vuole trovare nel nuovo regolamento uno sbocco per la propria carriera. Se il campo si livellasse e l’Aston Martin trovasse il bandolo della matassa, chi ci dice che Checo non potrebbe rientrare in corsa per qualcosa in più di un podio ogni tanto? Dopo aver lavorato duro, qualche sogno è dovuto (e forse anche concesso), specie se le possibilità della vita non dovesse intervenire a rovinarlo.

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