Siamo stati il cavallo di Arshavin

Ora vi racconto una cosa che sicuramente non saprete: i cavalli non possono vomitare.

Non che a volte non vorremmo,  non fraintendetemi: ad esempio da tempo, con gli anni e gli affanni a sommarsi, faccio più fatica a digerire la biada che mi viene offerta in abbondanti papponi mista ad avena mentre fuori dal mio recinto San Pietroburgo continua ad offrirmi solo neve e grigio incattivito.

Io adesso ad esempio vorrei vomitare: la puzza di vodka si riconosce lontano un miglio, e non vi è una differenza sostanziale tra quella da supermercato e quella da night club prezzolato da svariate migliaia di rubli.

Lui ha l’aspetto di un fantino, ma è forse stato il più forte giocatore della storia recente del calcio russo. Calca jeans neri con una camicia aperta.

Vorrei vomitare ma non posso perché il cardias, la valvola che mette in comunicazione il mio stomaco con il mio esofago, è molto potente e si apre in una sola direzione, verso l’interno.

Vorrei correre, recalcitrare, imbizzarrirmi, nitrire con la violenza pura che ho dentro e scappare, scappare lontano, ma sono drogato e sedato e non posso.

Una volta i miei avi a Kuban erano venerati dai maestri arabi che dipingevano la perfezione dinamica delle nostre masse in movimento con un lavoro preziosamente maniacale. A me invece rimane un titolo su un giornale, neanche come notizia principale, passando alla cronaca per essere il cavallo che Arshavin rubò da ubriaco una notte qualche giorno prima di Natale.

Condividici

Commenta



Copyright 2018 Crampi Sportivi © All Rights Reserved