State (of mind) Allegri

Innanzitutto, bisogna fare una premessa ai ragazzi, che leggeranno.

Massimiliano Allegri è uno che se non avesse fatto il giocatore, sarebbe comunque diventato allenatore.

È una delle poche certezze che possiamo trarre da un personaggio spigoloso e più volte contraddittorio, come Max Allegri.

L’essere inconciliabile anche con le sue stesse idee, è una caratteristica del tecnico livornese, spiegata in un certo modo da Massimo Cellino, suo presidente ai tempi del Cagliari.

Cellino a una domanda in cui gli veniva chiesto se si ritenesse sorpreso dagli ottimi risultati di Allegri nel primo anno di Milan, rispose di no, evidenziando quanto il tecnico toscano fosse “Una persona intelligente anziché furba”. E tra le due cose c’è un oceano di differenze. 

Nel suo terzultimo anno da giocatore (penultimo tra i professionisti), nella Pistoiese di Pillon, l’attuale tecnico juventino ebbe quella che si può definire la prima grande intuizione da allenatore.

In una squadra in cui faceva i suoi primi debutti un giovanissimo Andrea Barzagli, Allegri in accordo con Pillon, deciso di spostare Barzagli “15 metri più indietro”, come difensore, “Altrimenti sarebbe rimasto a vita in Serie C”. 

Altra premessa. Il pezzo contiene e conterrà un elevato numero di virgolettati e citazioni.

Alle domande che mi sono posto su Massimiliano Allegri, in molti casi ho preferito rispondere con le sue stesse parole, o quelle di chi ha vissuto una parte di carriera calcistica con lui.

Ad esempio, nella radiografia che emerge dal personaggio Max Allegri, spicca una delle poche cose che mette d’accordo proprio tutti.

Come scritto all’inizio, a prescindere dal ventaglio di possibilità lavorative che Allegri avrebbe potuto avere da adolescente, il toscano sarebbe comunque finito su una panchina, superati i 30 anni.

Sono in molti a ribadire il concetto di Allegri allenatore già da giocatore, quando il suo ruolo era correre sul manto erboso.

Uno dei suoi vate calcistici più cari, Giovanni Galeone, elogiò questa sua caratteristica qualche giorno prima della finale di Champions raggiunta per la prima volta con la Juventus: «Era già un allenatore sul rettangolo di gioco […] leader in campo e nello spogliatoio, capitano e uomo ovunque».

Se è vero che solo i morti e gli stupidi non cambiano idea, troviamo spiegato l’ecosistema in cui Allegri si è mosso negli anni di Milan, ma soprattutto in quelli alla Juventus.

In controtendenza (e in disaccordo) con le idee di calcio maggiormente elogiate dai mass media italiani. A volte per puro convinzione, e altre volte per cocciutaggine.

La discussione turbolenta, avvenuta con Lele Adani su Sky, è l’esempio di come Allegri sia sempre pronto a innalzare un muro di autodifesa, per schermare i suoi “semplici principi calcistici”, che esulano da tatticismi esasperati, anche al costo di sembrare scorbutico e contradditorio, appunto. 

Allegri è quel compagno di scuola che non studiava perché si sentiva più intelligente della media?


“Te ne intendi di basket? …allora t’anno fatto smettè subito”. Allegri riferendosi a Marco Cattaneo a Sky

Sempre in quel dibattito aperto nel post partita di Inter – Juventus su Sky, Allegri approfitta, forte del 3 a 2 ottenuto miracolosamente tramite episodi decisi dai singoli, per affondare il coltello nel burro dell’opinionismo calcistico, che gli ha sempre preferito il Sarrismo, anteposto al suo concretismo.

Secondo Allegri, è proprio la svalutazione dell’importanza della giocata del singolo e della tattica individuale, la causa “della rovina del calcio italiano”.

Una delle versioni più furibonde di Allegri, sottolinea anche quanto non gli interessi nulla delle opinioni nate nello studio di Sky. Preso da adrenalina mista a nervosismo, sembra non accettare nemmeno pareri favorevoli alla sua idea.

L’Allegri pienamente convinto delle sue idee (anche troppo), ci ricorda un po’ quel compagno di scuola che abbiamo avuto tutti in classe.

Quello mediamente più brillante, che non si applicava per mancanza di stimoli e noia.

Quello a cui bastava studiare una tantum o che addirittura improvvisava durante un’interrogazione, ricavando comunque un risultato che gli permetteva di vivere di rendita. Magari sbeffeggiando chi passava ore chino sui libri.

E quindi come potevamo mai criticare il suo operato?

L’importante era il risultato ottenuto col minimo sforzo.

Se qualche insegnante poi, provava a mettere in discussione lo scarso impegno o l’eccessiva alternanza tra ottimi e pessimi risultati, il nostro compagno di scuola sbraitava inveendo contro “Il Sistema Scuola”, rovinato da alcuni professori poco capaci.

Con quella strafottenza e goliardia (sorrisino e occhi al cielo non mancano quasi mai) che a Sky, o in altre occasioni come nelle discussioni con Arrigo Sacchi, Allegri ha dimostrato, non badando al possibile inasprimento del dibattito.

C’è da considerare una scusante.

A nessuno piace essere contraddetto, specie sulle proprie convinzioni. O tantomeno vedere sminuiti i propri risultati, frutto di un lavoro che mai nessuno potrà comprendere fino in fondo, se non solo noi stessi.



Negli episodi descritti, ma soprattutto nella video collection con le varie litigate intraprese con Sacchi, Allegri mostra due cose: una grande fiducia nei propri mezzi, e un sarcasmo passivo – aggressivo ben affilato.  

Se Allegri tende ad alzare il tono di voce, è perché probabilmente il suo ippocampo sta avvertendo un allarme. È lui stesso a ribadire che l’autorevolezza prevale sull’autorità, tra le sue corde personali.

“Se l’autorevolezza di un allenatore deriva dall’urlare, io non ne ho. A me chi urla non trasmette niente, mentre ci sono persone che parlano piano e infondono sicurezza, anche timore”.


Così a Repubblica.it, il 17 dicembre 2014

Allegri ama davvero complicarsi la vita? È un estroso o un pragmatico?

Calcolando che una peculiarità caratteriale non esclude l’altra, qualche idea ce la possono offrire anche questa volta, le dichiarazioni di Max Allegri.

Definirsi estroso è una costante dell’allenatore, specialmente nei momenti di sfida. In quelli più duri, come le settimane che hanno preceduto il ritorno degli ottavi di Champions contro l’Atletico.

Sia nel pre che nel post partita della sfida contro l’Udinese, sollecitato da domande sugli indisponibili per il ritorno in Champions, Allegri ha sempre ripetuto un certo amore verso queste situazioni.

Momenti in cui adora trovarsi in difficoltà per poter giocare di fantasia, stupire tutti e inventare qualcosa di inaspettato.

Perché altrimenti sarebbe tutto troppo lineare e scontato.

E questo fattore, aggiungo io, darebbe più smalto e unicità alle sue scelte, che come detto in precedenza, l’allenatore non ama molto vedere sminuite.

“Sono un estroso. Non posso stare 24 ore di fila a cercare una soluzione, devo aspettare che arrivi l’ispirazione e il più delle volte capita quando non ci penso: capita che di notte cambi la formazione che avevo deciso, per esempio. La realtà è che si vive di sensazioni”. 

Nessun essere umano al mondo, se escludiamo gli infelici perenni (Allegri ha un’idea anche su questi individui), ama complicarsi la vita.

Possiamo quindi acclarare che nemmeno ad Allegri piace complicarsi la vita, semmai il tecnico toscano ama la sensazione che si prova quando riusciamo ad emergere dalla crisi con un’intuizione improvvisa.

Quelle soluzioni che non ci verrebbero mai in testa, con la mente “intortata” 24 ore sullo stesso problema.

Non si può però, non considerare l’Allegri pragmatico per eccellenza.

Agli idealismi e al “bel gioco©”, il tecnico livornese non ha mai nascosto di preferire la concretezza e il risultato, perché gira e rigira, nei top club è quello che viene giudicato maggiormente.

È magari scorretto pensare a prescindere, che i risultati non si possano ottenere con un gioco collettivo bello da vedere agli occhi, con verticalizzazioni ricercate con un sistema ben preciso (e quindi preparato).

Sono abbastanza sicuro che ad Allegri, il Barcellona di Guardiola o il Napoli di Sarri non sono mai dispiaciuti, ma qui si apre il discorso su una delle peculiarità che differenzia il toscano dagli altri allenatori.

Allegri il pragmatico non è mai arrivato in nessun club per imporre “un suo gioco”, ma per cavare il meglio dai giocatori che aveva a disposizione. Riadattando modulo e scelte fatte in campo, ad avversario e momenti della partita o della stagione.

Bene o male, purché si vinca.

“È uno spettacolo, e lo spettacolo lo fanno gli artisti. Qui vogliono spoetizzare il calcio, soffocare la creatività: è questo l’errore più grande che stiamo facendo. Se togli la poesia, allora tanta vale giocarsela al computer”.

E allora come si sposa al pragmatismo, il momento in cui lo stesso Allegri definisce il calcio “Uno spettacolo” da lasciare in mano agli artisti?

Molte dichiarazioni di Allegri, rilasciate ancora con l’adrenalina in corpo, come nei post partita, mal si sposano col pensiero a freddo di altre interviste, che rispecchiano una linea più fedele a quello che è il pensiero del tecnico.

Possiamo dire che come ad Allegri va riconosciuta la grande dote di lettura della partita in corso (e relativi cambi azzeccati), questa peculiarità viene trasportata anche nei momenti televisivi, in cui l’allenatore parte dai suoi concetti di base, fino a modificarli (spesso in maniera riduttiva) per ottenere un (auto) consenso che spesso i media faticano a riconoscergli con spontaneità. 

Per rispondere alle domande iniziali quindi, diciamo che un’ipotesi non esclude l’altra.

Allegri è un pragmatico che nello “spettacolo del calcio” a volte si traveste da artista estroso, e trova la soluzione nei momenti più difficili. Altre volte il giochino viene meno. 

Quindi chi è Max Allegri?


“Più sto nel casino e più mi diverto”.


Allegri dopo la partita contro l’Udinese, l’8 marzo 2019.

Questa è un’altra intervista che descrive bene lo stato attuale di Allegri. Pur di chiudere l’intervista dicendo quello che aveva in mente, rischia di stuzzicare e aizzarsi contro Cattaneo, De Grandis e Marocchi in collegamento. 

Eppure, il sorriso, la positività, la battuta sempre pronta. Sono elementi che ritroviamo spesso nell’ecosistema emotivo di Massimiliano Allegri.

Sono semplicemente le armi con cui affronta il quotidiano vivere.

Massimiliano Allegri detto “acciuga”, definito così da Rossano Giampaglia, suo tecnico a Livorno, ispirato dal suo fisico asciutto, è un personaggio difficile da inquadrare in un unico frame.

L’Allegri calciatore si differenzia dall’Allegri allenatore, in maniera drastica.

Alcune caratteristiche del passato da calciatore, ritornano rivisitate nel Max allenatore.

Altre invece sono state completamente appiattite, e fanno parte del personaggio contraddittorio, come descritto in più fasi.

«Avessi avuto la testa che ho ora forse sarei arrivato in Nazionale!»


Allegri al Corriere dello Sport nel 2015.

Un’intervista in cui chiarisce di essere cambiato e di aver aggiustato il tiro.

Un personaggio sicuramente iconico, in totale opposizione, sempre secondo lui, ad altri tipi di leader e leadership, come nel caso di Mourinho, che definisce “Un po’ patetico” perché “ripete sempre le stesse cose; è molto bravo, ma dietro la sua arroganza nasconde delle insicurezze”.

Ma Allegri è un amante della tattica oppure no?

Bisogna ammettere che Allegri non ne farà mai maggiore virtù delle proprie vittorie, o meglio, non ammetterà mai la centralità tattica di alcune situazioni di gioco nelle sue vittorie.

Perché ormai è artefice di un personaggio e di un marchio di idee, ed è ancora troppo presto per smentirle, così come fece nel lungo passaggio da calciatore a allenatore.

La verità sta nel mezzo.

Non possiamo sapere se Allegri sminuisca la tattica in senso generale, per dare più risalto alle sue intuizioni a partita in corso e alle giocate dei suoi singoli, oppure se Allegri è davvero un pragmatico all’ennesima potenza.

Uno che in allenamento spiega 3-4 dettami e lascia che i giocatori facciano il resto in partita.

Un mezzo indizio ce lo fornisce anche Patrick Evra, suo ex giocatore.

“Allegri è un allenatore semplice da capire, non gli piace lavorare con gli stupidi. Lui ti fa vedere la strada, io ho capito veramente con chi avevo a che fare quando abbiamo giocato il ritorno con il Borussia Dortmund (ottavi di finale della UEFA Champions League 2014-2015). Ci fece vedere una serie di movimenti e tutte le cose che lui ci aveva illustrato le ho riviste sul campo. Per me è stato incredibile, non mi era mai capitato prima con un allenatore”.

Alla Juventus Allegri dispone di un gruppo storico di Match Analyst che lo preparano e seguono in ogni partita.

Nella rimonta quasi compiuta contro il Real Madrid nel 2018, la svolta è avvenuta proprio sfruttando i difetti difensivi del Real, incapace a difendere nei duelli in area, con palla proveniente da destra.

Dubitiamo che intuizioni del genere avvengano 5 minuti prima della partita, senza analizzare nessun dettame tattico degli avversari. Ma sappiamo anche che intuizioni come il doppio cambio a metà partita contro il Tottenham a Wembley, è pura lettura e perspicacia dell’allenatore in quel momento.

Quindi, la verità sta sempre nel mezzo.

Il bilancio di Allegri

Nei giorni precedenti al ritorno degli ottavi di finale di Champions contro l’Atleti, l’ambiente juventino, e Allegri in primis, hanno lamentato una mancanza di riconoscenza (torniamo lì) per quanto fatto dai giocatori e il club negli ultimi 7 anni e mezzo.

Ad Allegri non è andata giù l’etichetta di “fallimento” alla stagione bianconera, in caso di eliminazione dalla coppa dalle grandi orecchie.

Le due finali di coppa conquistate e perse malamente, sono allo stesso tempo la macchia del cammino di Allegri, ma anche il vanto di un allenatore che chiarisce come la squadra al suo arrivo “Aveva paura anche di giocare contro il Malmö”, mentre col toscano, la situazione è drasticamente cambiata.

È qui che si inceppa il meccanismo, e nasce la dicotomia tra un Allegri grande vincente, e un Allegri – Juventus belli incompiuti.

L’acquisto estivo di Cristiano Ronaldo ha peggiorato le cose. Capiamoci bene, non dal punto di vista del gioco, ma da quello mediatico.

L’arrivo di CR7 ha definitivamente candidato la Juventus tra le favorite alla vittoria finale in Champions. Una chiara dichiarazione di guerra, che sa tanto di invasione alla Polonia.

Il blackout avviene dal momento che diventa impossibile definire scientificamente, quanto avere Ronaldo in squadra possa e debba migliorare gioco e risultati di una squadra come la Juventus.

Stando alla filosofia di Allegri però, un giocatore con grande tattica individuale come Ronaldo, avrebbe dovuto risolvere parecchi problemi. E in parte così è stato.

Per “un’azienda come la Juventus”, centrare ormai 9 obiettivi su 10 in Italia negli ultimi 4 anni e mezzo, e costruire basi solide nel medio – lungo periodo per l’obiettivo extra, può considerarsi un fallimento?

Bisognerebbe fare pace con la definizione etimologica e morale del termine fallimento.

E poi bisognerebbe avere la sfera di cristallo per provare a capire se nel ciclo Allegri & Ronaldo, i bianconeri riusciranno ad alzare un trofeo che manca dal 1996, così da tacere tutte le discussioni, senza necessità di rettifica.  

Inoltre, come capita con i migliori artisti, intuiremo il vero valore e grandezza di questa Juventus, solo tra qualche anno, quando il ricordo dei dettagli e delle contraddizioni sarà più sbiadito.

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