L’ultimo anno di pandemia ha colpito duramente tutti, ogni aspetto della vita, togliendo un po’ di quella magia che rende speciale un momento. Forse, però, ad aver risentito più gravemente di questa mancanza è stato proprio il mondo dello sport, che più di tutti fa affidamento sul calore di chi segue intensamente le partite. In questo senso l’ultimissimo periodo è stato estremamente importante; in meno di una settimana infatti, il mondo dello sport ha visto due riaperture, limitate ma molto significative. In quel di Roma, pochi giorni prima della finale di Coppa Italia a Reggio Emilia, anche il tennis ha riaperto i battenti a una quantità contingentata di pubblico per la 78esima edizione degli Internazionali d’Italia. A partire dalla giornata di mercoledì, una percentuale di pubblico pari al 25% della capienza massima di ogni impianto è potuta accedere al torneo per tornare finalmente allo sport dal vivo nel nostro paese. In realtà già la scorsa edizione del torneo, tenutasi in autunno dell’anno scorso in via eccezionale, aveva ospitato un numero minimo di spettatori nella parte conclusiva della settimana ma, questa volta, la riapertura è stata molto più in grande stile.

La magia del ritorno
Ho avuto l’opportunità di andare a vedere la finale di questo evento, grazie al largo anticipo con cui mi sono accaparrato i biglietti. E così, domenica 16 Maggio mi sono recato al Foro Italico. L’emozione di tornare a vedere una partita di uno sport dal vivo, da frequentatore di stadio quale sono, è grandissima. La sola vista dello stadio centrale del torneo, l’unico tra l’altro a cui si poteva accedere a causa di una divisione in zone del foro italico, è incredibilmente intensa. Lo spazio a disposizione per muoversi è poco e a un rapido confronto con le edizioni precedenti, in cui stand di ogni genere e migliaia di persone riempivano tutta la zona, ci si rende subito conto della scontata difficoltà di organizzazione dell’evento. Nonostante questo, però, basta un attimo per sentirsi in una situazione ormai straniante: il rumore dei passi, a centinaia in una stessa zona, le grida di chi attendeva con impazienza le finali, qualche coda per comprare bibite al bar, gruppi seduti in posizione di fortuna a mangiare il proprio pranzo. In un attimo sento che la riapertura dello sport è vera, che forse quella situazione sarebbe stata più usuale nel prossimo anno. A sorprendermi in positivo è anche l’attenzione dei tifosi presenti, quasi tutti con le mascherine, e di chi si occupa della sicurezza, a tratti anche esageratamente attento a ricordare ai presenti di mantenere le distanze con megafoni e casse. L’entrata in campo, avvenuta alle 2:30 per la finale di singolare femminile, è incredibilmente rapida. Il tempo di mostrare i biglietti e in un attimo si entra nello stadio. Già a centinaia sono entrati, la maggior parte non ha ancora preso il proprio posto e occupa invece la zona centrale degli spalti, tutti in piedi. Mi avvicino un attimo sovrappensiero e guardo di sfuggita verso il campo, immaginando di trovarlo vuoto e invece, nella sua iconica canotta a spalle scoperte, compare Rafa Nadal, finalista del torneo e nove volte campione a Roma. Fa effetto vederlo lì, così vicino, come se fosse un tennista normale, uno di quelli che capita di vedere riscaldarsi ogni giorno. Il pubblico, già in visibilio, osserva e gioisce ad ogni gesto di Rafa, come se fosse in sala a vedere un film di un grande autore. Il maiorchino è nel suo outfit tipico, colpisce la pallina come è solito fare e si trova sulla superficie che più ama al mondo, forse più ancora del pavimento di casa sua. C’è una cosa diversa però, almeno dagli ultimi mesi: Rafa non è solo in quello stadio. Il campione spagnolo ogni tanto si guarda intorno, rivolge goffi sguardi al pubblico, quasi come se, emozionato dalla cosa, non trovasse nella sua mente la naturalezza con cui ha infuocato il centrale di Roma per decenni. Con l’aria di chi sta cercando le misure di questo tennis con pubblico 2.0, il campione conclude il suo riscaldamento e, in una bolgia, si ritira dal campo per lasciar spazio al match di femminile. In un attimo tutti gli spettatori tornano a sedersi, ricordandosi di essere in uno stadio di tennis nel quale, solitamente, è richiesta una maggior compostezza rispetto ad altre manifestazioni sportive. La magia sembra essersi spezzata, in realtà è solo rimandata di qualche ora.
Il pubblico si riscalda
A precedere il match dei due campioni è quello tra le due tenniste a esser riuscite ad arrivare in finale: la numero 9 del mondo ed ex campionessa del torneo Karolina Pliskova e la giovanissima polacca Iga Swiatek, vincitrice del Roland Garros 2020 a soli 19 anni in una vittoria che, soprattutto per la giovane età, non può che ricordare quella di Rafa. E così, la predestinata polacca, quasi a voler preparare la scena per il maiorchino, scende in campo. Il pubblico, anche se chiaramente più interessato al match successivo, si “diverte” a infiammarsi ad ogni punto, come se la mancanza dagli stadi avesse amplificato la voglia di farsi sentire. La partita infatti sembrerebbe seguita da almeno il doppio dei tifosi; ogni punto viene rimarcato con applausi quasi si stesse giocando il quinto set di una finale slam. In realtà quanto sta accadendo in campo è completamente diverso: la Swiatek, infatti, annienta (questo è l’unico termine utilizzabile) in 46 minuti l’avversaria con il punteggio di 6-0 6-0. Qualche fischio, forse un po’ inopportuno, e le parole della stessa Pliskova durante la premiazione, sottolineano una prestazione disastrosa tanto che, alla fine della partita, le statistiche segnano solamente 13 punti raccolti dalla tennista ceca. Decisamente troppo poco per la prima finale del torneo che riapre le porte dello sport in Italia ma, il pubblico, galvanizzato dal solo fatto di essere allo stadio, si accontenta, in vista della portata principale.
La next gen siamo noi
Il tempo di abbandonare lo stadio per le opportune sanificazioni e in un lampo le persone si riversano nuovamente sugli spalti, in trepidante attesa del match che, ormai da 15 anni e 57 capitoli incolla persone da tutto il mondo agli schermi. Nell’aria c’è sentore di attesa, sentore di eccitazione, sentore di grande partita. Tutti aspettano composti ai loro posti l’entrata dei due grandi campioni, come se si aspettasse la prima alla scala. Alle 5 in punto, puntuali come orologi, Rafael Nadal e Novak Djokovic mettono piede in campo. Improvvisamente lo stadio si trasforma in un’arena, il pubblico si infiamma, in attesa di vedere lo scontro tra i due gladiatori, tra due dei tre pesi massimi della storia del tennis. Inutile dire che le attese vengono ripagate: sul 4-4 del primo set, dopo decine di punti e un break per parte, l’orologio a fondo campo segna 48 minuti, più di quanto fosse durato l’intero match di femminile. Nel frattempo entrambi hanno preso perfettamente confidenza con il pubblico, traendone la carica come non li vedevamo fare ormai da tempo. Nadal in particolare, su un incredibile passante di dritto che lo fa scivolare a terra, si rialza come se non fosse successo nulla ed esulta con il pubblico. I minuti passano, il maiorchino vince il combattutissimo primo set e Djokovic rimonta, portandosi a casa più agevolmente il secondo. La partita si allunga, il vento si alza e la temperatura scende ma, riscaldato dalle giocate dei due fenomeni, il pubblico non diminuisce il proprio sostegno e anzi si carica sempre di più. L’esito finale non è importante; o meglio, è meno importante della partita stessa. Nadal strappa un break decisivo nel terzo set, dopo essersi salvato come solo lui sa fare sul 2 pari. Il match finisce 7-5 1-6 6-3 in favore del maiorchino, che vince per la decima volta in quel di Roma, dimostrandosi per l’ennesima volta il più forte su terra e confermandosi come favoritissimo in vista del Roland Garros. Lo spettacolo più bello, però, è proprio l’atmosfera che ha infiammato il centrale per quasi 3 ore di gioco, l’entusiasmo con il quale i giocatori hanno sfruttato il calore degli spettatori, i boati che hanno reso ogni punto più emozionante, ma anche quel silenzio, molto comune durante quest’anno, che come in una perfetta melodia controbilancia il rumore di altri momenti. A questo punto bastano i discorsi in italiano dei due fenomeni, i complimenti di rito e la premiazione con il solito morso di Nadal al trofeo. Djokovic, in chiusura, pronuncia una frase che farà riflettere: “Rafa, io e Roger stiamo reinventando la Next Gen. La Next Gen siamo noi”. Il tennis è tornato.
di Alessandro Simonetta

Lo sport raccontato dal divano, Zidane e Rodman a cena dal Professor Heidegger.