Stadio Comunale, Torino
19 Maggio 1988
È ormai scesa la notte sulla città di Torino. L’arbitro Luigi Agnolin ha appena fischiato tre volte, decretando la conclusione della finale di ritorno della Coppa Italia 1988. Sono serviti due tempi supplementari per determinare la squadra campione tra Torino e Sampdoria. I blucerchiati, allenati da mister Vujadin Boškov, si erano imposti per 2-0 nella gara d’andata ma hanno avuto bisogno di un gol meraviglioso di Fausto Salsano al minuto 112’ di quella di ritorno per avere la meglio sull’avversario. I granata, spinti dal loro pubblico, erano stati bravi e fortunati a riprendere lo svantaggio nel primo tempo regolamentare, sfruttando prima l’autorete di Vierchowod e poi una malefica deviazione di Paganin. La squadra di Radice, però, nonostante il doppio vantaggio non è riuscita a completare la rimonta.
Il triplice fischio di Agnolin consegna alla Sampdoria la seconda Coppa Italia della sua storia. Gianluca Vialli, attaccante ventitreenne dei blucerchiati, cresciuto calcisticamente prima nel Pizzighettone e poi nella Cremonese, la sua squadra del cuore sin da bambino, è uno dei giovani talenti più interessanti e promettenti del calcio italiano. La sua non è stata affatto una partita facile, un pò per le condizioni del terreno di gioco, pesante e scivoloso, poco adatto alle sue caratteristiche tecniche, un pò per un problema intestinale che l’ha condizionato profondamente sin dal calcio d’inizio. Il numero 11 del Doria, che tutti i media danno con insistenza vicino al trasferimento al Milan, crolla in lacrime al termine della partita.
D’altronde è proprio per questo motivo che accettò, alcuni anni fa, di trasferirsi a Genova alla corte del presidente Paolo Mantovani. Un uomo d’altri tempi, dai profondi valori, che ha portato la Sampdoria ad essere riconosciuta in tutto il mondo come uno dei club più ambiziosi e intriganti, nonostante non faccia ancora parte ufficialmente dell’élite del calcio italiano. Mantovani aveva un sogno: quello di creare un’idea di calcio nobile, generosa ed educativa, che potesse rappresentare in tutto e per tutto le passioni dei suoi tifosi e, perchè no, sovvertire il perdurante dominio sportivo delle “grandi”. Vialli rimase affascinato dal Presidente ed era pronto a “morire”, calcisticamente parlando, per lui e per questo ideale.

L’interesse del Milan, però, è una di quelle cose che fanno tremare le gambe, soprattutto ad un ragazzo giovane e talentuoso. Poi il fischio finale di Agnolin, la vittoria della Coppa Italia e l’urlo del popolo blucerchiato. Gianluca si commuove perchè vede davanti a se il sogno del presidente Mantovani. Un sogno che sta iniziando a manifestarsi e a prendere forma. Un sogno che è troppo dannatamente bello per essere ignorato. Lo intervistano pochi istanti dopo il triplice fischio ma la sua voce, stanca e provata, è fresca e giovane. Gianluca Vialli rappresenta in tutto e per tutto la voglia di stupire della Sampdoria. Ne è l’espressione più vivida e significativa.
Il giornalista, però, vuole sapere quale sarà il suo futuro dopo questo importante successo di squadra. Vuole sapere se cederà o meno alla tentazione di giocare per il Milan. Gianluca, correndo verso la curva dei tifosi blucerchiati, si lascia andare ad una delle più belle dichiarazioni della storia del calcio. Una di quelle dichiarazioni che saranno per sempre riportate e scritte accanto al suo nome.
«Quale sarà il futuro di Vialli?», gli chiede.
«Ho già firmato», risponde Gianluca.
«Per chi?», incalza il giornalista.
«Per noi!».
“Per noi”. Non ricordo una migliore scelta di parole per esprimere il proprio senso d’appartenenza. Non mi nascondo, anche se, forse, si era già capito. Sono sampdoriano dal momento esatto in cui mi sono innamorato del calcio. Il momento esatto in cui mi sono innamorato di questa squadra. Gianluca Vialli rappresenta, per noi tifosi, un mito. Non solo dal punto di vista calcistico, anche se sarebbe ampiamente sufficiente, considerando il suo strabiliante talento con la palla tra i piedi, ma soprattutto dal punto di vista umano e ideologico.
Uno che i colori blucerchiati li ha impressi nel profondo dell’anima. Tatuati indelebilmente.

Non è un caso se uno dei gol più importanti della storia della Sampdoria l’abbia segnato proprio lui. È il 5 Maggio 1991 e i ragazzi di Boskov sono ospiti dell’Inter a San Siro di fronte a 78 mila spettatori. I blucerchiati sono lanciatissimi verso il primo Scudetto della loro storia ma la trasferta del Meazza rappresenta un crocevia fondamentale per poterlo conquistare. Le due milanesi sono ancora lì e non vogliono mollare.
Le parate incredibili di Pagliuca.
La durezza di Cerezo.
La generosità di Pellegrini.
La velocità di Lombardo.
La classe di Mancini.
La rasoiata di Dossena. 0-1 al sedicesimo del secondo tempo.
Poi Pagliuca, un muro invalicabile per i nerazzurri, para anche un rigore a Lothar Matthäus. Sembra tutto già scritto. L’Inter ce la mette tutta per pareggiare ma non può cambiare il destino della partita. Minuto 76. Mannini lancia lungo dalla destra, calciando fortissimo in direzione della metà campo nerazzurra. A ricevere il pallone c’è Gianluca Vialli. Il numero 9 controlla meravigliosamente con l’esterno destro e rientra verso il centro dell’area, liberandosi agevolmente della marcatura di Ferri. Davanti a lui c’è solamente Walter Zenga, il portiere a cui segnò il primo gol tra i professionisti con la maglia della Cremonese.
Quattro tocchi per superarlo. I primi due, rapidi e corti per tenere il pallone a contatto. Il terzo, forte, per creare la separazione da Zenga. Il quarto, ancora più forte, per scagliare la palla rabbiosamente dentro la rete. Due a zero. Partita chiusa.
Il gol dello Scudetto. La realizzazione del sogno di Paolo Mantovani.

Sono passati più di 27 anni dall’ultima partita di Vialli con la maglia della Sampdoria, prima del trasferimento alla Juventus, una di quelle “grandi” combattute durante tutta la sua esperienza a Genova (321 presenze con 141 gol). Non se ne sarebbe mai andato, Gianluca. Dopo otto stagioni in blucerchiato, però, era arrivato il momento di cambiare. Una decisione fottutamente sofferta, una delle più difficili di tutta la sua carriera da calciatore.
Ora la Sampdoria non è più quella di allora. Il sogno di Paolo Mantovani è svanito assieme a lui, sconfitto da una merdosa malattia di cui non voglio nemmeno pronunciare il nome. Il ricordo dell’amato Presidente, invece, non ha mai lasciato il cuore dei tifosi, così come quella squadra, o meglio quel gruppo, capace di sovvertire gli equilibri della Serie A e riscrivere la storia del calcio italiano, viaggiando anche spesso per l’Europa.
Dopo aver lasciato il Doria, Gianluca Vialli non ha smesso di avere successo, prima alla Juventus e poi in Inghilterra al Chelsea. Uno come lui vive e “si nutre” di sfide e obbiettivi importanti. Nonostante tutto, Gianluca non ha mai dimenticato Genova, cercando più volte il modo di tornare. Un momento atteso tanti anni che, purtroppo, non è ancora arrivato.
Gianluca Vialli non sarà il nuovo Presidente della Sampdoria. Quel sogno, cullato ingenuamente per mesi da tutti i tifosi blucerchiati, alla fine non è diventato realtà.
È sempre difficile raccontare tutte le emozioni di un tifoso. Figuriamoci in un momento come questo, dove ogni speranza sembra svanire nel nulla del più temibile degli epiloghi. Una trattativa estenuante, durata tredici lunghi mesi, tra voci e smentite, che ha mostrato a tutto il mondo del calcio l’incredibile voglia di ritornare a Genova di Gianluca.
Tutto questo in mezzo al dolore e al frastuono emotivo causato dalla malattia che l’ha recentemente colpito. Gianluca Vialli aveva nel suo cuore solamente la Sampdoria. Ritornare da “Noi”, portando avanti i valori che gli avevano trasmesso Paolo Mantovani e tutti i suoi favolosi compagni di squadra in quelle stagioni leggendarie. Non può esistere un messaggio più bello di questo.
Abbracciare la vita, nonostante le difficoltà, fissare nuovi orizzonti e fare di tutto per raggiungerli. Oltre l’oscurità dell’animo. Oltre il dolore fisico e mentale.
Gianluca Vialli non ha mai smesso di sognare e il suo sogno più grande si chiamava Sampdoria. Dopo esserne stato una bandiera da calciatore, voleva a tutti i costi diventarne il Presidente per riportare il club in alto, là dove merita di stare.
Voleva firmare per “Noi”. Un’altra volta.
Per “Noi” l’ha già fatto. Nei nostri cuori sarà sempre così.

Padovano, classe 1986, sono figlio di Seattle e del grunge degli anni Novanta. Amo le storie tormentate di quelli che si sono bruciati in fretta, illuminando, però, ogni cosa. Ho scritto dei libri sulla pallacanestro ma non sono un vero scrittore. Mi occupo di NBA per La Gazzetta dello Sport e collaboro con Overtimebasket.com. Al liceo i professori mi dicevano che ero un buono a nulla. Ne vado fiero.