Un sogno troppo grande chiamato Wimbledon

Sarà finale per Matteo Berrettini in quel di Wimbledon: una prestazione di autorità assoluta, una combinazione di servizio e rovescio da manuale e un’intelligenza tattica notevole gli consegnano la prima finale slam, la prima nella storia per un italiano a Wimbledon.


Sulla partita di oggi c’era una grande scaramanzia, nessuno voleva pronunciare esattamente le parole che in realtà scorrevano nella mente di tutti: “Berrettini è favorito”. Sì perché malgrado l’ottima annata vissuta dal polacco Hurkacz, attualmente arrivato al numero 11 della posizione mondiale, l’italiano partiva obbiettivamente con qualcosa in più, non solo a livello tennistico, ma anche a livello di fiducia, una fiducia costruita in mesi di grande tennis, per certi versi in anni di grande tennis.

Matteo iniziò la sua scalata nel 2019, anno in cui si spinse agli ottavi a Wimbledon (dove fu fermato da un ingiocabile Roger Federer) e alla semifinale allo US Open (battuto da un altrettanto ingiocabile Rafa Nadal). Da allora non è più uscito dalla top 10, si è qualificato una volta alle Atp Finals di Londra e, nonostante qualche alto e basso, soprattutto fisico, non ha smesso di crescere, di maturare, di prendere consapevolezza dei suoi mezzi. Ad oggi, 9 luglio, si trova matematicamente all’ottava posizione del ranking mondiale e viene da mesi in cui ha raggiunto la sua prima finale master 1000, persa sulla terra rossa di Madrid dopo una battaglia con Zverev, e ha vinto il suo primo trofeo 500, al club Queens, tornei iconico che si gioca da sempre in preparazione per Wimbledon. L’ultimo giocatore a cui riuscì la doppietta Queens-Wimbledon fu Murray nel 2016, il primo fu John McEnroe nel 1981: nomi stellari a cui non pretendiamo per forza che Berrettini si aggiunga. Questo perché il giocatore italiano ha già fatto molto di più di quanto ci si aspettasse dopo la partenza deludente ad inizio anno.

Instagram: @matberrettini

Oltre a questi straordinari risultati su erba, ha giocato una stagione su terra di qualità incredibile nonostante, chiaramente, nel suo tennis non ci sia grande propensione a questa superficie. Il suo avversario di domenica, un certo Novak Djokovic, è forse nella migliore annata della sua vita dal 2011, sogna di infrangere il mito del grande slam di Rod Laver e, almeno in questi tornei, sembra assolutamente imbattibile. I due hanno giocato solo due volte: la prima alle Atp Finals del 2019 dove un ancora inesperto Berrettini fu travolto dal campione serbo, la seconda giusto qualche settimana fa, nei quarti di finale del Roland Garros dove, dopo due set in controllo, Djokovic subì la rimonta di un incredibile Berrettini che costrinse il serbo ad uno sforzo fuori dalla norma per chiudere nel quarto set la partita.


Quella di domenica sarà una partita storica, non solo per il tennis italiano, ma per il nostro sport in generale. Berrettini gioca senza molto da perdere, da netto sfavorito e, probabilmente, anche contro l’unico giocatore al mondo in grado di annullare la sua arma che fa così male, il servizio. Il Berrettini che stiamo vedendo in queste settimane, però, non è lo stesso di qualche mese fa: controlla lo scambio con il back di rovescio, spinge col dritto quando serve, varia al servizio, si muove per il campo come un gatto e, come se non bastasse, usa la smorzata in maniera impeccabile. Tradotto ha tutte le armi per esprimere il gioco perfetto su erba, per mettere in difficoltà chiunque ci sia dall’altra parte della rete, persino giocatori come Djokovic e Federer. Quello che gli si chiede non è vincere, d’altronde quello sarebbe un sogno. Gli si chiede di giocare il suo tennis, di crederci, di non mollare neanche una palla, di variare su ogni colpo per non dare ritmo a Djokovic. Alla fine del match con Hurkacz è lui stesso a pronunciare queste parole “Non avrei mai nemmeno sognato una cosa del genere, perché è un sogno troppo grande e invece ci sono. E non ci sono altre parole”. In fondo perché no, perché non sognare.

a cura di Alessandro Simonetta

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