L’intreccio del destino tra Saponara e Valdifiori è una storia di treni presi (o forse persi)
In stazione a Firenze, i treni per Faenza, o più in generale per la Romagna, partono spesso dai binari 17 e 18.
Con un po’ di ironia, anche poco azzeccata, c’è chi ha soprannominato il 18 “il binario di Harry Potter”, dato che è quasi invisibile.
L’ultimo avamposto conosciuto dai pendolari dei regionali, degli Intercity e delle Frecce è il binario 16, adiacente all’uscita a nord-est. Se si cammina lungo la banchina del binario 16 allora si arriva ai 17 e 18.
Bisogna fare qualche centinaio di metri e superare l’uscita di piazzale Montelungo, ritrovo degli adepti alla setta di Flixbus. Se piove è un problema perché la tettoia del binario 16 a un certo punto termina e c’è da camminare un bel pezzo all’aperto, fino ad arrivare alle panchine e alla pensilina stondata, chicca del manifesto italiano del razionalismo che risponde al nome di Santa Maria Novella.
Da lì, dicevamo, si va in Romagna.
Si parte anche per Borgo San Lorenzo, stazione centrale del Mugello, ma la via è quella: Mugello, Romagna fiorentina, Valle del Lamone, Faenza. Poi si apre un altro ventaglio di aspettative che possono essere Cesena, Bologna, Pesaro o Ravenna. Il treno che da Firenze porta a Faenza impiega circa due ore a compiere tutte le fermate, che non sono poi così tante.
Due ore in cui i pendolari si parlano, si scambiano confidenze e fanno amicizia, senza dover per forza pensare al lavoro.
Saponara e Valdifiori: in viaggio verso Empoli
Se poi i pendolari giocano in maniera più o meno continua in Serie B, allora ci sta anche che non si parli mai di calcio: sul treno da Firenze per Faenza viaggiano spesso Mirko Valdifiori e Riccardo Saponara.
Giocano a calcio nell’Empoli, sono entrambi romagnoli e valicano l’Appennino via treno.
Poi lo faranno in auto, passando da quella che ora è la Panoramica, vaso di Pandora degli autoarticolati italiani, ma in questo punto della storia sono giovani e sembrano dei fuorisede pronti a tornare in quegli appartamenti sempre troppo bianchi e sempre troppo vuoti con gli sportelli della credenza scrostati.
Riccardo Saponara è di San Martino in Strada, poco fuori Forlì, venti chilometri da Faenza.
Rappresenta appieno quella variante che si può definire paradosso della Basilicata: in una stanza con tre italiani, almeno uno ha sicuramente origini lucane. Ha iniziato a giocare nella Sammartinese e poi è andato allo Sporting Forlì, ma il calcio è entrato tardi nei suoi pensieri.
Nel suo cuore c’è Shaquille O’Neal, suo idolo d’infanzia in maglia Lakers, la sua franchigia preferita.
Eppure tanto è estroso O’Neal, tanto è timido e tranquillo Saponara. Talmente tranquillo che non pensa neppure a sfondare nel mondo del pallone e quando ci riesce lo fa tardi, a sedici anni.
Prima del treno per Empoli, c’è un altro treno – metaforico, s’intende – che cambia la sua carriera, come spesso racconta nelle interviste.
Nel 2007 si gioca una partita tra le rappresentative regionali e Saponara è tra i protagonisti. Una ruota bucata ferma Eldo Bencini nei pressi del campo da gioco e fa di lui lo scopritore di Saponara. È Bencini che fa di tutto per portarlo a Ravenna.

A diciassette anni gioca qualche partita in Lega Pro, poi nel 2009 va a Empoli e gli azzurri sborsano più di un milione di euro tra comproprietà e riscatto per prenderlo.
A Monteboro, centro di allenamento dei toscani, si capisce subito che Saponara non è un calciatore qualunque, non tanto per il suo atteggiamento. È più timido degli altri, non ha smania di apparire e il suo sorriso è sincero. A fare la differenza sono le sue doti tecniche.
Gioca seconda punta, poi lo spostano trequartista e lì la sua vita cambia.
In un ruolo in cui la sfrontatezza è uno dei requisiti principali, Saponara continua a rimanere serio, come i veterani, ma è una virtù. È ancora giovane e condivide i viaggi in treno con un altro romagnolo, che però è stabilmente in prima squadra.
Mirko Valdifiori è di Russi, diciotto chilometri da Faenza.
È nato a Lugo, ama i primi di carne, doveva chiamarsi Gianandrea, ha il calcio nel dna. Suo padre Nevio ha girato in lungo e in largo la Romagna ed è un mostro sacro del calcio locale (i casi della vita: nel 2018 è diventato responsabile delle giovanili del Ravenna e ora è lui a portare al Benelli i potenziali Saponara).
Da piccolo sogna di fare il vigile urbano, ma la divisa che il destino gli cuce addosso è quella bianconera del Cesena.
Diventerà calciatore, salvo una piccola apparizione da fruttivendolo molti anni più tardi in ritiro con il Torino, simbolo di un’ilarità che lo accompagna per tutta la carriera.
Fa tutta la trafila nelle giovanili col Cesena, ma ha in mente solo Juan Sebastian Veron: tifa Parma, Lazio, Inter, ovunque vada la Brujita.
Lo guarda, lo studia, lo segue e si mette in testa di diventare un centrocampista come lui. Esordisce in B, va in prestito in C tra Pavia e Legnano e nel 2008, a ventidue anni, diventa pendolare per la Toscana.
L’Empoli lo paga mezzo milione di euro, tra lo scetticismo generale di una squadra appena retrocessa in B.
Nelle tratte ferroviarie parla con Riccardo Saponara e diventa suo amico, anche se per un periodo si vedono solo sul treno. A Empoli uno si allena e uno va a scuola: in Romagna le direttrici sono opposte una volta approdati a Faenza. Saponara e Valdifiori arrivano a Empoli a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro e non potrebbe esserci coppia più stranamente assortita.
Sono entrambi alti e magri, ma se Saponara è imberbe e deve ancora formarsi, Valdifiori ha più l’aspetto da caratterista nei film muti. Ha il volto allegro e si diverte a suon di scherzi, ne sa qualcosa Maccarone, che una volta si vendica riempiendogli l’auto di frutta marcia.
Valdifiori è credente e scaramantico, a Empoli indossa il 6 per via di Elisa, la sua ragazza con cui si è fidanzato il 6 luglio 2005 e che conobbe a una festa a Russi.
Saponara e Valdifiori erano accomunati all’epoca per via di quel treno e lo sono tutt’oggi, a chilometri di distanza dalla città che ha cambiato le loro vite.
A Empoli diventano calciatori di Serie A, Valdifiori arriva perfino in Nazionale. Per loro i paragoni fioccano.
Saponara assomiglia a Zidane o El Shaarawy, anzi è Kakà perché ha la stessa capacità di tagliare in verticale le difese palla al piede. Nessuno lo paragona a Rui Costa, nemmeno quando andrà al Milan, anche se a volte ricorda Musagete per la cadenza del passo in mezzo al campo e per come tiene la testa alta con eleganza e cinismo.
Ma è impossibile fare similitudini e ha poco senso dire che Saponara è come Kakà, Zidane o El Shaarawy o Rui Costa: è come se un artista, per quanto di livello, facesse una cover di Due Mondi di Battisti; può pure diventare un capolavoro, sia ben chiaro, ma Battisti è Battisti, e quella canzone è la sua canzone, stop!
Un inconveniente simile è accaduto e accade con Valdifiori.
Tutti i centrocampisti centrali italiani nati dal 1983 in poi sono diventati eredi di Andrea Pirlo.
Come detto, Valdifiori aveva Veron come pupillo e di sicuro ha apprezzato anche Pirlo, ma sono due cose differenti, due maniere diverse di interpretare una posizione. Tanto è geniale uno quanto è matematico l’altro, tanto è sontuoso il bresciano quanto è sgraziato il romagnolo.
Pirlo è il ristorante stellato di cui chiunque parla bene, anche chi non ci ha mai mangiato, più perché va di moda farlo che per via di una vera e propria analisi approfondita;
Valdifiori è la trattoria delle cerimonie con la famiglia, dove si pranza la domenica con menù tradizionale e prezzo invariati da cento anni e ci si alza da tavola appagati.
Quel che avvicina Valdifiori e Saponara è la loro intelligenza, la loro sensibilità, perché entrambi sono meccanismi perfetti del calcio come si intende oggi. La rivoluzione sarrista, checché se ne pensi o se ne dica, nasce con Valdifiori e Saponara motori e propulsori dell’Empoli più bello di sempre.
Uno taglia e cuce a centrocampo, verticalizza con destrezza, batte calci d’angolo e punizione tagliati (alla Veron) e non si sottrae alla battaglia, perché spesso viene ammonito o espulso per falli tattici.
L’altro gestisce la manovra offensiva, serve le punte come nessun altro ha mai fatto a Empoli; la sua delicatezza nelle giocate è riassunta in un gol al Verona con finta sulla fascia e tiro dalla linea di fondo all’incrocio dalla parte opposta.
Empoli li ama ma li lascia andare e niente sarà più come prima.
Saponara e Valdifiori: lontani da Empoli, lontani da casa
Valdifiori soffre il morbo di Pirlo. Va al Napoli e tutti si aspettano il Maestro, ma Valdifiori ha già ventinove anni e tarda a imporsi. Ha sfortuna, perché Sarri inizia a girare quando inserisce Jorginho e cambia modulo.
I riflettori dei media italiani per l’eredità di Pirlo si spostano dal romagnolo all’italo-brasiliano – e come nel film It Follows bisogna attendere un po’ per capire chi sarà il prossimo sfortunato. Passa al Torino su richiesta di Mihajlovic e sembra riprendersi, ma poi nella seconda stagione soffre un infortunio strano (un’allergia che causa problemi circolatori) e l’arrivo di Mazzarri lo fa sparire dai radar.
Sono lontani gli anni di Empoli in cui addirittura il suo capitano Davide Moro si emozionava dopo un gol al Trapani, festeggiando la nascita di Aurora, figlia di Mirko e Elena.
C’è una foto molto bella del 2015-16: Riccardo Saponara ha la maglia azzurra dell’Empoli e tende il braccio a Mirko Valdifiori, che è a terra e si sta rialzando, con indosso la terza divisa rossa del Napoli. Quella partita, un due a due di inizio campionato, è già indicativa del fatto che per Valdifiori il 4-3-1-2 napoletano di Sarri non calzi a pennello mentre quello di Marco Giampaolo cucito su Saponara possa portare a grandi risultati (che non tarderanno ad arrivere: Empoli decimo, secondo miglior risultato di sempre).
Se Valdifiori non ride, Saponara non si può dire che passi le migliori annate della sua carriera.
Dopo la stagione con Giampaolo, parte malissimo con Martusciello: segna a Pescara e piange, poi a gennaio va alla Fiorentina a sorpresa, a poche ore da un drammatico Crotone-Empoli 4-1 che sa di retrocessione.
Cos’ha Saponara? Si chiedono i tifosi dell’Empoli.
Gli stessi che, più ingenui che ingrati, gli dedicheranno una scritta fuori dal Castellani, paragonando la sua cessione al derby vinto l’anno precedente con i viola.
Non pare più quel talento straordinario delle due parentesi empolesi, ma il problema non è tattico come nell’anno e mezzo al Milan, pare più una mancanza di fiducia. Inizia a infortunarsi, a saltare partite, a perdere stima in se stesso.
I tifosi pensano che i calciatori siano macchine, ma Saponara è prima di tutto un ragazzo di venticinque-ventisei anni incappato in un periodo storto.
La sua mente è una vela come quella di tanti alla sua età, per di più con un carattere sensibile come ‘Ricky’.
Saponara si chiude in se stesso, è frustrato, sembra non sentirsi bene in campo, ma la gente non lo capisce e lo contesta. Questa sensazione – uno strano senso di incomprensione – lo accompagna anche per parte della sua avventura a Firenze, piazza molto esigente.
Poi il 4 marzo 2018 succede la tragedia più grande: muore il suo capitano Davide Astori, ragazzo di provincia e dai sani principi come lui. Una guida praticamente.
Chi conosce Saponara pensa che il contraccolpo psicologico possa spezzarlo, il suo post sui social dopo la scomparsa di Astori è straziante e i suoi singhiozzi di fronte al muro di sciarpe al Franchi sono ancora oggi una pugnalata per qualsiasi persona dotata di un cuore.
Ma Saponara, l’umano Saponara, diventa l’uomo in più della Fiorentina.
Dopo Fiorentina-Benevento, la partita più surreale del calcio moderno, prende per mano i suoi e li guida verso l’Europa, svanita solo nelle ultime giornate.
Sembra l’idillio perfetto, un legame destinato a durare, ma il 17 agosto 2018 va in prestito con diritto di riscatto alla Sampdoria.
Ne è passata di acqua sotto i ponti. I treni continuano a circolare tra Firenze e Faenza, Empoli ha trovato altri calciatori, Sarri è emigrato a Londra. Valdifiori oggi è alla Spal e forse, continuando con la metafora ferroviaria, per lui è proprio l’ultimo treno per imporsi in Serie A, a quasi trentatré anni.
Saponara è a Genova sponda Samp e a Marassi ha ritrovato il suo maestro Marco Giampaolo, oltre all’amico ed ex compagno Lorenzo Tonelli, che a Empoli gli prestò la casa quando prese la varicella e che recentemente gli ha messo una mano nel sedere in mondovisione.

A rivederli oggi non sono più gli studenti fuorisede che parevano un tempo.
Non che l’età si sia fatta sentire – d’altronde sono ancora giovani – ma hanno entrambi un’aria da persone navigate. Valdifiori si alterna con Schiattarella e Missiroli, gli anni di Napoli e l’esperienza con Mazzarri sono ormai passati. Il campo lo vede con un po’ più di regolarità.
Saponara continua a incantare, ma con qualche pausa. Si divide con Ramirez, che meriterebbe un libro a parte, e regala colpi di genio come quelli a San Siro o all’Olimpico.
Forse entrambi rimpiangono gli anni a Empoli o forse ripensano a quel due a due e a quella foto, non è dato sapere.
Sensibile sarà anche una parola vaga come le stelle dell’orsa, ma, per dirla alla Baudelaire, Valdifiori e Saponara hanno mostrato che la sensibilità è il loro genio.
prua verso l’altra gente
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Nato e cresciuto in Toscana, con un pizzico d’Umbria. Amante dei centrocampisti completi, della letteratura italiana e sudamericana, dei primi di pesce, delle verticalizzazioni e dei piani sequenza. All’attivo collaborazioni con numerosi blog e testate calcistiche, attualmente scrive per gonews.it. Solitamente non parla di sé in terza persona.