Noi gli equilibri li vogliamo rompere. E’ un nostro obiettivo: la staticità della dialettica tecnica interna è quella che produce un risultato mediocre.
Questa non l’ha detta Deleuze, ma Walter Sabatini, quando era d.s. del Palermo nel 2009.
Schivo, sofisticato, anticonformista, con la fama di cacciatore di talenti, sigaretta perennemente accesa e presenza scenica da space cowboy appena di ritorno dalla frontiera insterstellare, là dove il calcio e l’umanità sono uniti per sempre nell’immaginario delle colonie terrestri extramondo. E’ il ritratto iperbolico di Walter Sabatini, attuale ds della Roma ed ex di Palermo e Lazio. Un tipo così a parte, in un mondo arido di contenuti e patetico nei sentimenti come quello del calcio odierno, che verrebbe da immaginarselo più come protagonista di una storia cinematografica di sport che come stratega di successo all’interno di un mercato ultramilionario.
Javier Pastore, Marquinhos, Stephan Lichtsteiner, Aleksandar Kolarov, Abel Hernandez, Pajtim Kasami, Erik Lamela, sono solo alcuni dei nomi “scoperti” dal talent scout che leggeva Hemingway. Lui, un cane sciolto col vizio del logos, alla ribalta nell’area idiomatica dei petroldollari. Per scoprire quale mondo complesso di pensiero e di azioni si celi dietro questo personaggio siamo andati a setacciare il suo stesso verbo, alla ricerca di indizi che ci aiutino a comprenderlo meglio*.
*Alcune delle interviste da cui sono prese le seguenti citazioni le trovate in versione integrale qui e qui.
Walter Sabatini Origins
Come ogni eroe romantico che si rispetti anche Walter Sabatini può vantare origini di impeto e tempesta, un “anno uno” batmaniano ricco di conflitti interiori e rimpianti. Lui stesso, in numerose interviste e conferenze stampa, non fa nulla per nascondere la genesi turbolenta del personaggio.
“Sono del ’55, la mia infanzia è il calcio di strada, di piazzetta, a giocare dalla prima luce del giorno al buio pesto. A casa, di sera tardi, palleggiavo in corridoio. Avevo un rapporto erotico col pallone, gli altri giochi mi sembravano inutili e oziosi.
[…] Ero un narciso innamorato delle mie qualità, della mia velocità, delle mie doti tecniche. Facevo il solista, pensavo che ogni partita fosse l’occasione per un successo personale e non il concerto di un’orchestra. Di testa non la prendevo, lo consideravo un gesto poco gratificante e questo è un particolare che ti illumina su un grande giocatore, e lo ero veramente, che non sapeva capire il calcio”.
Fin qui, ne converrete, ci sono tutti i presupposti per il momento in cui il giovane eroe romantico si produce in un frontale con un tir targato hybris.
La Roma mi pagò anche abbastanza all’epoca, perché era il ’76, mi pagò mezzo miliardo più la comproprietà del fratello di Mauro Amenta. Poi venni a Perugia e cominciò il mio declino a 21 anni perché ero veramente un coglione. Non mi facevo aiutare, mi sentivo aristocratico perché leggevo Hemingway e Dostoevskij. Fu un dolce declino perché non precipitavo da una grande altezza, nonostante ai tempi pensassi il contrario per pura superbia. Nessuna caduta. Cadono le persone che hanno fatto qualcosa, io scivolai.
Insomma, volendo sintetizzare in una frase i dolori del giovane Walter potremmo dire: un buon giocatore, tecnicamente dotato, sciupa l’occasione di una discreta carriera distratto sì da stimoli culturali ma soprattutto da un ego inquieto. In ultima analisi, però, è proprio nel desiderio escatologico di redenzione e riscatto che si forgia la tempra del più grande sponsor sportivo del tabacco dopo Zdenek Zeman. Con parole sue:
Quando ho smesso di giocare al calcio questo riverbero del mio fallimento come calciatore mi ha molto motivato e devo dire che dopo sono stato bravo. Tra gli anni ’80 e gli anni ’90 ho lavorato con una fede incrollabile. Sono uno che sta dodici ore alla scrivania: è un’espiazione delle cazzate precedenti.

Sabatini Sensei
L’esperienza di una gioventù bruciata si è rivelata prezioso fondamento del suo lavoro, negli anni della maturità. Trattandosi infatti di un impiego che lo tiene a strettissimo contatto con gli atleti, non cadere nel tranello delle loro bizze comportamentali e impedire che queste li portino a bruciarsi troppo in fretta è un gioco da ragazzi, per Walter “White” Sabbath.
So riconoscere il calciatore guardandolo in faccia, non abbocco al bluff perché lo conosco bene. Provarci con me è come tentare di rubare in casa del ladro.
Come a dire: don’t try this at home.
La consapevolezza di queste trappole psicologiche, però, non fa di lui un castigamatti. Sabatini è sempre pronto a recitare il ruolo del padre clemente nei confronti del figliol prodigo. A proposito di Osvaldo infatti, la punta italo-argentina che non è riuscito a recuperare alla Roma, in tempi non sospetti il ds giallorosso ne aveva difeso l’atteggiamento, dicendo alla stampa:
Osvaldo è fortissimo, è un personaggio in cerca d’autore, è un ragazzo che ha una ricchezza interiore che lo porta a dire una cosa, a farne un’altra, vorrebbe essere quello e poi improvvisamente vorrebbe essere qualcos’altro. Cerchiamo di volergli bene.
Come a dire, Sabatini è un vero sensei, lui prova fino all’ultimo a non lasciare indietro i suoi ragazzi. Le energie che spende nella cura dei giocatori non sembrano dunque mero interessamento professionale affinché il denaro investito per conto dei proprietari possa fruttare, bensì una questione più complessa. D’altronde, essendo ds e non mettendoci soldi di tasca sua, sembra sentirsi costretto a compensare con ingenti investimenti emotivi.
Quando finisce una campagna acquisti il saldo emotivo è sempre molto ma molto negativo per me, in ogni caso. Perché sono costretto a fare delle scelte che mi addolorano. Si creano situazioni da un punto di vista psichico per me di notevole sofferenza.
Se questo è il Re del mercato, allora è un re malinconico quanto quello del Ripellino, in cerca del suo Arcimboldo. Che sia possibilmente mezzala e di belle speranze.
Sabatini e la libertà
Mettendo insieme gli indizi precedenti abbiamo nuovi elementi che ci aiutano a delineare un già chiaro quadro di una professionalità sostenuta da inquietudine e autocritica, elementi chiave che contraddistinguono l’uomo dietro al cacciatore di talenti. Mettendolo di fianco a Clint Eastwood non lo diresti mai, ma Walter Sabatini ha un rapporto schietto con i suoi demoni. Li chiama per nome a mezzo stampa, li esorcizza mettendoli in piazza.
Mi sento libero solo quando sono da solo e con la gente attorno a distanza ragguardevole. A tavola non voglio la destra occupata.
Sabatini e Pascal
Ora facciamo un esperimento, dei prossimi quattro aforismi tre sono del filosofo Blaise Pascal e uno di Walter Sabatini. Non si chiede al lettore tanto di tirare a indovinare quale sia quello di Sabatini, perché è facile, quanto di osservare la coerenza dell’insieme, e le analogie di pensiero tra l’uno e l’altro autore, considerando che il secondo non produce riflessioni simili nell’atto di scrivere opere filosofiche, ma durante conferenze stampa in cui si parla di pallone.
– “Non posso giudicare la mia opera mentre la faccio; è necessario che mi comporti come i pittori, e che me ne allontani; non troppo però. Quanto, allora? Vattelappesca”.
– “Tutta l’infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una camera”.
– “Mentre scrivo il mio pensiero, questo talvolta mi sfugge; ma ciò mi fa ricordare la mia debolezza, che dimentico ogni momento; il che mi istruisce quanto il pensiero dimenticato, perché non tendo ad altro che a conoscere il mio nulla”.
– “La mia testa la cerco tutti i giorni, a volte non ci riesco. Sono sempre all’interno di una dimensione di inquietudine permanente, non sono mai totalmente sereno, soddisfatto”.
Secondo Blaise Pascal l’uomo è un insoddisfatto cronico: niente gli “è insopportabile quanto essere in completo riposo, senza passioni, senza faccende, senza divertimento, senza un’occupazione. Avverte allora il proprio nulla, il proprio abbandono, la propria insufficienza, la propria dipendenza, il proprio vuoto. Subito saliranno dal profondo dell’animo suo la noia, l’umor nero, la tristezza, il cruccio, il dispetto, la disperazione” (Pensieri, 131).
Secondo Sabatini, pure. Ma in più lui ha il calciomercato a cui pensare.
Sabatini e la vanità
La domanda a questo punto è: ma l’uomo è consapevole del personaggio? Se sì, se ne bea?
Nell’estate del 2014, Sabatini incontra una delegazione del Milan per parlare di Destro: la piazza romana reagisce sorpresa, non se l’aspettava. Eppure il trasferimento non va in porto, anzi pare non sia mai stato un’opzione.
“È anche vanità, mi piace poter dire no a grandi offerte”,
risponde il d.s. ai giornalisti, a mercato chiuso. Quindi la risposta al quesito iniziale è un sonante sì. La vanità c’è, ma deve essere supportata dalla funzionalità della stessa, altrimenti rimane un vezzo che White Sabbath non può concedersi.
Forse.
“Non ci sarà una sola operazione di mercato fatta senza l’allenatore, oddio forse un paio che mi prendo per mio vizio costituzionale e storico di acchiappare un paio di giocatori senza dir niente a nessuno…” (due anni prima, parlando del suo rapporto con Zeman e del calciomercato estivo).
Sabatini e la poesia
Guardate che non è retorica: io la poesia la capisco, ma non ne sono un grande frequentatore. Sono una persona prosaica. Mi si abbassano i ritmi cardiaci quando prendo gol.
Ecco che talvolta il personaggio esistenzialista che abbiamo imparato ad amare nei paragrafi precedenti rivendica il proprio ruolo di uomo d’azione. La dialettica può essere stringente, l’emotività esposta, ma tutto ciò che conta è che i suoi sforzi producano qualcosa di significativo e appaghino il suo senso estetico. Il quale, nonostante si appoggi ampiamente al pensiero, tra la prosa e i versi non ha dubbi. Il riferimento lessicale al fatto di “prendere gol” non è casuale, anzi ci riconduce al rapporto di Sabatini con l’argomento che chiude il cerchio proprio là da dove tutto era iniziato.
Sabatini e il calcio
Eravamo partiti dal giovane Walter Sabatini che gioca in strada fino all’imbrunire e vive col calcio un rapporto quasi erotico. Quello che traspare dalle sue conferenze è che esiste un filo rosso che riconduce direttamente il personaggio odierno a quella prima scintilla narrativa.
Interpretavo il calcio come una mia impresa personale, tant’è che ancora oggi dico, ai ragazzi che ho gestito in questi anni, che io ero un grande calciatore che non capiva il calcio, quindi ero un brocco.
Secondo Walter Sabatini il calcio va capito, e si può farlo solo attraverso comportamenti che lo nobilitino come sport. Il peccato originale del giovane Walter fu proprio quello di non comprenderlo, e da allora ogni sua azione è tesa a mondarsi di quella colpa iniziale, ma anche ad applicare nei fatti la sua idea di come il calcio andrebbe ripagato. White Sabbath nutre una considerazione tale, una pulsione così forte nei confronti del calcio, che è come se andasse anche oltre la sua capacità di definirlo a parole, di razionalizzarlo. Anzi, non è in discussione soltanto la sua capacità di comprenderlo, ma anche quella della stampa stessa.

Non a caso nell’estate del 2012 disse ai giornalisti, durante una conferenza stampa sui programmi della Roma:
Mi ricordo di aver fatto riferimento a un piano quinquennale di memoria staliniana. Non è proprio così, il calcio presuppone e impone tempi diversi, ma ci sentiamo ancora in un percorso. Noi siamo in divenire e invece voi fate un consuntivo.
Non si può dunque svilire con inchiostro e numeri un percorso sportivo che richiede più tempo di quello che ci vuole a descriverlo.
Con le risposte secche mi portate a dire questo piuttosto che quello, e svilisce tutto perché il calcio è una cosa più grande… complessa.
Dinnanzi a un sentimento così religioso gli perdoniamo anche l’uso disgiuntivo di ‘piuttosto che’.
Amen.
Articolo a cura di Simone Vacatello

Lo sport raccontato dal divano, Zidane e Rodman a cena dal Professor Heidegger.